“Le stazioni sono veramente delle fabbriche di sogni”: così Walter Benjamin annotava, sotto il titolo “Dimore oniriche del collettivo”, nel suo capolavoro mancato sui passages parigini. Anche il più atopico degli edifici ha sempre un volto che non conosciamo ancora, e ciò che Marc Augé chiama “nonluogo” è in realtà una zona di dislocazione, di germinazione, di perenne genesi di luoghi. La nuova “forma-stazione” è un caso esemplare: si potrebbe definire così quel fervore creativo che ha investito questo tema architettonico negli ultimi decenni, con l’irruzione dell’Alta Velocità che ha generato un nuovo legame tra tecnologia e monumentalità, una “svolta simbolica” che ha fatto uscire il tema dalle secche del razionalismo nobilitandolo con grandi impronte architettoniche. Bisogna dunque affrontare dichiaratamente la prospettiva di “dislocazione” inevitabilmente generata dai nuovi interventi urbanistici, anticipando strategie per compensarla e controllarla: superare l’autoreferenzialità del progetto per aprirlo al contesto eteronomo della sua recezione, traduzione e legittimazione. “Ogni tradizione è tradizione del futuro”: questa formula racchiude il principio etico-estetico di quella moderna “mitologia dell’architettura” che William Richard Lethaby pubblicò alle soglie del ventesimo secolo, con il suo “Architecture, Mysticism and Myth” - ovvero “The Cosmos” per gli adepti del maestro. Anche nell’ambito dell’architettura moderna non mancano esempi a conferma di questa “legge” ermeneutica, che governa ogni tipo di cultura e di sapere in quanto forme comunicative, dialoganti, tramandate. Caso quanto mai simbolico è quella Tour Eiffel in cui “l’epoca eroica della tecnica trovava il suo incomparabile monumento”, così Benjamin che vedeva in quella vetta dell’architettura “onirica” dei passages parigini una forma “protostorica” del moderno, una sorta di premonizione inconscia. Anche il “manifesto retroattivo per Manhattan” di Rem Koolhaas, altro modello ideale di “tradizione del futuro”, sembra ispirato da questa capovolta “logica profetica”: la stessa affinità che, sotterraneamente, apparenta l’esperimento di Gustave Eiffel al laboratorio collettivo di Manhattan.
Teorie del moderno e “tradizione del futuro”: prospettive sulla nuova forma-stazione
GIACOMINI, LORENZO
2005-01-01
Abstract
“Le stazioni sono veramente delle fabbriche di sogni”: così Walter Benjamin annotava, sotto il titolo “Dimore oniriche del collettivo”, nel suo capolavoro mancato sui passages parigini. Anche il più atopico degli edifici ha sempre un volto che non conosciamo ancora, e ciò che Marc Augé chiama “nonluogo” è in realtà una zona di dislocazione, di germinazione, di perenne genesi di luoghi. La nuova “forma-stazione” è un caso esemplare: si potrebbe definire così quel fervore creativo che ha investito questo tema architettonico negli ultimi decenni, con l’irruzione dell’Alta Velocità che ha generato un nuovo legame tra tecnologia e monumentalità, una “svolta simbolica” che ha fatto uscire il tema dalle secche del razionalismo nobilitandolo con grandi impronte architettoniche. Bisogna dunque affrontare dichiaratamente la prospettiva di “dislocazione” inevitabilmente generata dai nuovi interventi urbanistici, anticipando strategie per compensarla e controllarla: superare l’autoreferenzialità del progetto per aprirlo al contesto eteronomo della sua recezione, traduzione e legittimazione. “Ogni tradizione è tradizione del futuro”: questa formula racchiude il principio etico-estetico di quella moderna “mitologia dell’architettura” che William Richard Lethaby pubblicò alle soglie del ventesimo secolo, con il suo “Architecture, Mysticism and Myth” - ovvero “The Cosmos” per gli adepti del maestro. Anche nell’ambito dell’architettura moderna non mancano esempi a conferma di questa “legge” ermeneutica, che governa ogni tipo di cultura e di sapere in quanto forme comunicative, dialoganti, tramandate. Caso quanto mai simbolico è quella Tour Eiffel in cui “l’epoca eroica della tecnica trovava il suo incomparabile monumento”, così Benjamin che vedeva in quella vetta dell’architettura “onirica” dei passages parigini una forma “protostorica” del moderno, una sorta di premonizione inconscia. Anche il “manifesto retroattivo per Manhattan” di Rem Koolhaas, altro modello ideale di “tradizione del futuro”, sembra ispirato da questa capovolta “logica profetica”: la stessa affinità che, sotterraneamente, apparenta l’esperimento di Gustave Eiffel al laboratorio collettivo di Manhattan.File | Dimensione | Formato | |
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