L’immagine della città di Kevin Lynch, uno dei testi che definiscono quel crinale della storia dell’architettura contemporanea, databile intorno agli anni 1960 del secolo scorso, in cui si mettono in discussione i principi del Movimento Moderno, tanto rispetto all’oggetto architettonico quanto in relazione alla città, muove da una posizione riformista: confrontandosi con la velocità e la vastità delle trasformazioni indotte nell’ambiente urbano dalla pluralità dei processi di espansione e di ricostruzione. L’autore si pone l’obiettivo esplicito di dotare il pianificatore degli strumenti di analisi necessari per arrivare al controllo della produzione dell’immagine urbana tramite la stesura di un piano visivo della città, che promuova il riordino delle immagini mentali pubbliche dell’ambiente urbano, in vista di una maggiore integrazione del cittadino col proprio luogo di residenza e di lavoro (A. Vezzani). L’approccio lynchano tende ad accentuare un possibile ordine esistente al di sotto delle apparenze caotiche della scena urbana e si propone di accentuarlo aumentandone la figurabilità, ovvero l’individualità ed evidenza visiva delle forme. Lynch, del resto, in un suo testo pubblicato postumo, The travel journals (1952-53), propone ancora la città italiana, Firenze, Roma e Venezia come modello urbano di figurabilità, e riconosce però allo stesso tempo anche ai segnali della comunicazione Pop un valore di strutturazione dell’immagine urbana, ad esempio nella sua analisi di Scollay Square a Boston. Il progetto a cui punta Lynch è il progetto della figurabilità urbana, destinato a formalizzarsi in un piano visivo che l’autore non circoscrive al solo ambito estetico: Lynch mira a quel benessere e a quella sicurezza psichica degli utenti urbani (feeling of adeguacy) che si lega alle capacità di orientamento; la figurabilità è quindi leggibilità delle matrici visive. Il fine è quello di poter arrivare a progettare un’immagine mentale pubblica condivisa della città. Il progetto di architettura allora deve costituire un tratto saliente della città in quanto costitutivo della sua immagine mentale. Quello che Lynch chiama landmark, allora, possiamo intenderlo non solo come meta visiva, quanto piuttosto come “marchio del piede” della torre e soprattutto come costruzione di uno skyline per un paesaggio totale reso visibile. Firenze diventa modello di paradigma urbano che dispone le piante e prepara le scene. Torre urbana e Cattedrale sono allora marchi diversi per il flusso pedonale e sono potenti indici di posizione. La torre di Giotto, allora, danza con la cupola del Brunelleschi, perché “vedere è una danza”, ma già nella storica Firenze, quando la città salta di scala nella terza cerchia, il landmark deve assumere la funzione di marchio alla scala del paesaggio deve mettersi in relazione con i suoli, le reti e i paesaggi. Oggi, infatti, il grattacielo viene inteso come elemento che costringe la tipologia a ibridarsi.

“VEDERE È UNA DANZA”. L’APPROCCIO AMERICANO PRAGMATICO ALLA TECNOLOGIA E QUELLO COMPOSITIVO E SIMBOLICO DI MATRICE EUROPEA

A. , Contin
2014-01-01

Abstract

L’immagine della città di Kevin Lynch, uno dei testi che definiscono quel crinale della storia dell’architettura contemporanea, databile intorno agli anni 1960 del secolo scorso, in cui si mettono in discussione i principi del Movimento Moderno, tanto rispetto all’oggetto architettonico quanto in relazione alla città, muove da una posizione riformista: confrontandosi con la velocità e la vastità delle trasformazioni indotte nell’ambiente urbano dalla pluralità dei processi di espansione e di ricostruzione. L’autore si pone l’obiettivo esplicito di dotare il pianificatore degli strumenti di analisi necessari per arrivare al controllo della produzione dell’immagine urbana tramite la stesura di un piano visivo della città, che promuova il riordino delle immagini mentali pubbliche dell’ambiente urbano, in vista di una maggiore integrazione del cittadino col proprio luogo di residenza e di lavoro (A. Vezzani). L’approccio lynchano tende ad accentuare un possibile ordine esistente al di sotto delle apparenze caotiche della scena urbana e si propone di accentuarlo aumentandone la figurabilità, ovvero l’individualità ed evidenza visiva delle forme. Lynch, del resto, in un suo testo pubblicato postumo, The travel journals (1952-53), propone ancora la città italiana, Firenze, Roma e Venezia come modello urbano di figurabilità, e riconosce però allo stesso tempo anche ai segnali della comunicazione Pop un valore di strutturazione dell’immagine urbana, ad esempio nella sua analisi di Scollay Square a Boston. Il progetto a cui punta Lynch è il progetto della figurabilità urbana, destinato a formalizzarsi in un piano visivo che l’autore non circoscrive al solo ambito estetico: Lynch mira a quel benessere e a quella sicurezza psichica degli utenti urbani (feeling of adeguacy) che si lega alle capacità di orientamento; la figurabilità è quindi leggibilità delle matrici visive. Il fine è quello di poter arrivare a progettare un’immagine mentale pubblica condivisa della città. Il progetto di architettura allora deve costituire un tratto saliente della città in quanto costitutivo della sua immagine mentale. Quello che Lynch chiama landmark, allora, possiamo intenderlo non solo come meta visiva, quanto piuttosto come “marchio del piede” della torre e soprattutto come costruzione di uno skyline per un paesaggio totale reso visibile. Firenze diventa modello di paradigma urbano che dispone le piante e prepara le scene. Torre urbana e Cattedrale sono allora marchi diversi per il flusso pedonale e sono potenti indici di posizione. La torre di Giotto, allora, danza con la cupola del Brunelleschi, perché “vedere è una danza”, ma già nella storica Firenze, quando la città salta di scala nella terza cerchia, il landmark deve assumere la funzione di marchio alla scala del paesaggio deve mettersi in relazione con i suoli, le reti e i paesaggi. Oggi, infatti, il grattacielo viene inteso come elemento che costringe la tipologia a ibridarsi.
2014
Grattanuvole.Milano
9788899165000
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