Tra tutte le forme di lavoro culturale, il teatro è quello che più sembra resistere al lavoro d’archivio. Il tema dell’archiviazione della performance teatrale è oggetto di un acceso dibattito internazionale. Cosa rimane di una performance una volta conclusa? È possibile salvare, attraverso la sua archiviazione, qualcosa di effimero come lo spettacolo teatrale, o la performance è destinata a rimanere esclusivamente nella memoria dello spettatore? Da questi quesiti nasce un lavoro interdisciplinare di progettazione di un archivio del teatro italiano negli anni Sessanta e Settanta. Il progetto europeo Incommon. In praise of community. Shared creativity in arts and politics in Italy (1959-1979) si propone di studiare la storia del «laboratorio Italia» (Incommon, 2016) come luogo in cui tra gli anni Sessanta e Settanta la controcultura delle arti performative si è formata in un ambiente caratterizzato da un profondo rapporto tra filosofia, politica e pratiche rivoluzionarie. L’archivio di Incommon raduna più di 4000 documenti raccolti in cantine e scatoloni sparsi per l’Italia, e si caratterizza per una varietà di formati e materiali: foto di scena, bozzetti e copioni, inviti e locandine, contratti, lettere private e articoli di giornale. La progettazione dell’interfaccia dell’archivio è da intendere come una risposta progettuale all’invito di concepire l’archivio teatrale come strumento di ricomparsa, piuttosto che come dispositivo di celebrazione della perdita. Per questo motivo il lavoro si è configurato non tanto come un tentativo di progettare una vetrina per salvare la memoria di un periodo storico attraverso l’esposizione dei documenti recuperati e digitalizzati, ma piuttosto come una serie di interventi sul materiale raccolto, decisamente più invasivi della semplice conservazione e messa in forma, con l’obiettivo di generare inedite visioni del periodo preso in esame.

Dare forma all’inarchiviabile. Progettare un archivio del teatro italiano degli anni Sessanta e Settanta

G. Colombo
2021-01-01

Abstract

Tra tutte le forme di lavoro culturale, il teatro è quello che più sembra resistere al lavoro d’archivio. Il tema dell’archiviazione della performance teatrale è oggetto di un acceso dibattito internazionale. Cosa rimane di una performance una volta conclusa? È possibile salvare, attraverso la sua archiviazione, qualcosa di effimero come lo spettacolo teatrale, o la performance è destinata a rimanere esclusivamente nella memoria dello spettatore? Da questi quesiti nasce un lavoro interdisciplinare di progettazione di un archivio del teatro italiano negli anni Sessanta e Settanta. Il progetto europeo Incommon. In praise of community. Shared creativity in arts and politics in Italy (1959-1979) si propone di studiare la storia del «laboratorio Italia» (Incommon, 2016) come luogo in cui tra gli anni Sessanta e Settanta la controcultura delle arti performative si è formata in un ambiente caratterizzato da un profondo rapporto tra filosofia, politica e pratiche rivoluzionarie. L’archivio di Incommon raduna più di 4000 documenti raccolti in cantine e scatoloni sparsi per l’Italia, e si caratterizza per una varietà di formati e materiali: foto di scena, bozzetti e copioni, inviti e locandine, contratti, lettere private e articoli di giornale. La progettazione dell’interfaccia dell’archivio è da intendere come una risposta progettuale all’invito di concepire l’archivio teatrale come strumento di ricomparsa, piuttosto che come dispositivo di celebrazione della perdita. Per questo motivo il lavoro si è configurato non tanto come un tentativo di progettare una vetrina per salvare la memoria di un periodo storico attraverso l’esposizione dei documenti recuperati e digitalizzati, ma piuttosto come una serie di interventi sul materiale raccolto, decisamente più invasivi della semplice conservazione e messa in forma, con l’obiettivo di generare inedite visioni del periodo preso in esame.
2021
archivio, teatro, performance
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