L’apprezzamento per le forme di indagine proprie dell’archeologia stratigrafica ha portato ad assorbirle a pieno titolo, soprattutto nel corso dei primi anni Novanta, nel modus operandi delle discipline che si rivolgono allo studio e alla tutela dell’esistente. Discipline di peso assai limitato nel contrastare l’incalzante depauperamento del sopravvissuto, ma tuttavia in grado di acquisire conoscenza e quasi costrette a sviluppare continuamente nuovi modelli interpretativi, ad affinarsi a fronte della perdita progressiva della materia da studiare. Questo percorso vede ora ridursi drasticamente il proprio territorio. La conservazione è sempre più largamente disattesa proprio e soprattutto sulle fondamentali tematiche inerenti la superficie, intesa come interfaccia di interazione fisica e visiva del manufatto con il mondo materiale e immateriale. Disassata rispetto ai suoi stessi più vitali principi, è divenuta pratica solo enunciata oppure occasionale, in entrambi i casi, quindi: paradossale. Se si escludono alcuni cantieri paradigmatici si è assistito negli ultimi decenni ad una indefessa opera di rifacimento e di omologazione delle facciate degli edifici della città ad un criterio di omogeneità materiale e cromatica, distruggendo ogni forma di stratificazione e di permanenza. La portata di questo processo di sostituzione è stata tale da rendere appunto paradossale, mosca bianca, elemento di disturbo, ogni forma di permanenza che mostri segni di discontinuità, sovrapposizione, invecchiamento. L’abitudine a questa pratica illimitata di restyling urbano la ratifica del Decreto 8 marzo 2017, n. 2456 della Regione Lombardia, che sancisce l’obbligo di sostituire integralmente i rivestimenti esistenti sulle facciate di un edificio con un “cappotto” o altro materiale ad alta capacità termoisolante, qualora un intervento manutentivo comporti la rimozione di una quantità di intonaco di rivestimento superiore al 10% della superficie disperdente lorda complessiva. Ed è di questi giorni la conversione in Legge dello Stato del Decreto rilancio 2020 che ha istituito sconti fiscali pari al 90% e al 110% per il rifacimento di rivestimenti di edifici con miglioramento termico (“bonus facciate”). Su questo fronte la battaglia per la conservazione dell’informazione e della possibilità di accedervi è perduta. Ci si aspetta che le facciate degli edifici cittadini e non diventino rapidamente repliche impoverite e caricaturali, ma verosimile, di sé. E’ ora importante domandarsi se, oltre a risorse immateriali, esistono ancora risorse materiali autentiche e genuine alle quali estendere una difesa preventiva facendo opera di conoscenza. Indubbiamente esistono territori marginali, di nicchia, non ancora toccati da omologazione e rifacimento, ma si tratta di oggetti ai margini dell’architettura, che hanno piuttosto a che fare con l’ingegnerizzazione del territorio. Segni territoriali, tracciati stradali, traverse fluviali, interfacce di distruzione, fragmenta dimenticati, rotaie, residui di mondo rurale incastonati nelle periferie, opere idrauliche, attrezzature urbane, oggetti in disuso ma ingombranti, incompresi, che costituiscono un bagaglio documentario ingente e pressoché sconosciuto, anche perché in effetti di relativo interesse storiografico e difficile da sistematizzare. Alla loro individuazione, e alla discussione delle possibilità di applicazione e di lettura di queste fonti apparentemente secondarie intende rivolgersi il contributo che si propone.
Prospettive e nuove traiettorie per le letture archeologiche sul soprassuolo al tempo del "bonus facciate" e del "cappotto termico".
pertot
2021-01-01
Abstract
L’apprezzamento per le forme di indagine proprie dell’archeologia stratigrafica ha portato ad assorbirle a pieno titolo, soprattutto nel corso dei primi anni Novanta, nel modus operandi delle discipline che si rivolgono allo studio e alla tutela dell’esistente. Discipline di peso assai limitato nel contrastare l’incalzante depauperamento del sopravvissuto, ma tuttavia in grado di acquisire conoscenza e quasi costrette a sviluppare continuamente nuovi modelli interpretativi, ad affinarsi a fronte della perdita progressiva della materia da studiare. Questo percorso vede ora ridursi drasticamente il proprio territorio. La conservazione è sempre più largamente disattesa proprio e soprattutto sulle fondamentali tematiche inerenti la superficie, intesa come interfaccia di interazione fisica e visiva del manufatto con il mondo materiale e immateriale. Disassata rispetto ai suoi stessi più vitali principi, è divenuta pratica solo enunciata oppure occasionale, in entrambi i casi, quindi: paradossale. Se si escludono alcuni cantieri paradigmatici si è assistito negli ultimi decenni ad una indefessa opera di rifacimento e di omologazione delle facciate degli edifici della città ad un criterio di omogeneità materiale e cromatica, distruggendo ogni forma di stratificazione e di permanenza. La portata di questo processo di sostituzione è stata tale da rendere appunto paradossale, mosca bianca, elemento di disturbo, ogni forma di permanenza che mostri segni di discontinuità, sovrapposizione, invecchiamento. L’abitudine a questa pratica illimitata di restyling urbano la ratifica del Decreto 8 marzo 2017, n. 2456 della Regione Lombardia, che sancisce l’obbligo di sostituire integralmente i rivestimenti esistenti sulle facciate di un edificio con un “cappotto” o altro materiale ad alta capacità termoisolante, qualora un intervento manutentivo comporti la rimozione di una quantità di intonaco di rivestimento superiore al 10% della superficie disperdente lorda complessiva. Ed è di questi giorni la conversione in Legge dello Stato del Decreto rilancio 2020 che ha istituito sconti fiscali pari al 90% e al 110% per il rifacimento di rivestimenti di edifici con miglioramento termico (“bonus facciate”). Su questo fronte la battaglia per la conservazione dell’informazione e della possibilità di accedervi è perduta. Ci si aspetta che le facciate degli edifici cittadini e non diventino rapidamente repliche impoverite e caricaturali, ma verosimile, di sé. E’ ora importante domandarsi se, oltre a risorse immateriali, esistono ancora risorse materiali autentiche e genuine alle quali estendere una difesa preventiva facendo opera di conoscenza. Indubbiamente esistono territori marginali, di nicchia, non ancora toccati da omologazione e rifacimento, ma si tratta di oggetti ai margini dell’architettura, che hanno piuttosto a che fare con l’ingegnerizzazione del territorio. Segni territoriali, tracciati stradali, traverse fluviali, interfacce di distruzione, fragmenta dimenticati, rotaie, residui di mondo rurale incastonati nelle periferie, opere idrauliche, attrezzature urbane, oggetti in disuso ma ingombranti, incompresi, che costituiscono un bagaglio documentario ingente e pressoché sconosciuto, anche perché in effetti di relativo interesse storiografico e difficile da sistematizzare. Alla loro individuazione, e alla discussione delle possibilità di applicazione e di lettura di queste fonti apparentemente secondarie intende rivolgersi il contributo che si propone.File | Dimensione | Formato | |
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