La riforma urbanistica in Italia ha permesso di cambiare la vecchia strumentazione, ereditata dalla legge n° 1150 del 1942 e circa sessant’anni di modifiche e feroci meccanismi di (mancato) equilibrio tra la spinta speculativa e la necessità di pianificazione. Il periodo riformista ha permesso che sul tavolo della pianificazione ci fossero strumenti e processi nuovi, più o meno inspirati e più o meno rispettosi delle impostazioni profonde del dibattito urbanistico riformista. Proprio nel momento in cui, tuttavia, grandi tensioni si muovevano sul territorio, e grandi forze, palesi o meno, spingevano ad una strutturazione dei contesti urbani un po’ differente, non più leggibile quanto meno con gli stessi strumenti di prima. Riassetti infrastrutturali, saturazione fisica della maggior parte degli ambiti e degli spazi disponibili, emergere di nuovi punti di riferimento e di nuovi episodi di urbanità all’interno di un continuo costruito, sono solo alcuni dei temi che simultaneamente modificavano la strutturazione delle aree urbane, spingendo a non considerarle più banalmente aree metropolitane ma regioni urbane densamente attrezzate di nuovi episodi di urbanità. Questo racconto si pone la seguente domanda: quale attrezzatura concettuale, metodologica e pratica hanno offerto i nuovi strumenti di piano per un panorama come questo? Con quali attrezzi hanno permesso che questi fenomeni, così rilevanti e così incidenti sull’assetto delle regioni urbane, potessero essere percepiti, prima di tutto, e governati insieme alle micro trasformazioni quotidiane che i piani stessi erano chiamati a controllare? La risposta è leggibile attraverso una rassegna di casi studio, di strumenti di piano comunali per alcuni territori lombardi direttamente impattati da grandi temi e da grandi problemi di scala metropolitana. Più profondamente, ci si interroga di come il lungo processo di riforma della legislazione urbanistica italiana, a partire dal dibattito degli anni Novanta tra fautori di impostazioni strutturali e sostenitori di visioni strategiche, attraverso il decentramento e le soluzioni che ogni regione ha poi adottato, abbia definito strumenti di piano effettivi, e di come questi stessi strumenti, al di là del giudizio sulla loro struttura, sulla forma dei processi che intavolano e sulla positività dei risultati che offrono, siano o non siano in grado di affrontare temi rilevanti, di grande scala e di grande impatto.
Il piano che c'è. Disegno e regole alla prova dell'evoluzione delle regioni urbane
FACCHINETTI, MARCO;
2014-01-01
Abstract
La riforma urbanistica in Italia ha permesso di cambiare la vecchia strumentazione, ereditata dalla legge n° 1150 del 1942 e circa sessant’anni di modifiche e feroci meccanismi di (mancato) equilibrio tra la spinta speculativa e la necessità di pianificazione. Il periodo riformista ha permesso che sul tavolo della pianificazione ci fossero strumenti e processi nuovi, più o meno inspirati e più o meno rispettosi delle impostazioni profonde del dibattito urbanistico riformista. Proprio nel momento in cui, tuttavia, grandi tensioni si muovevano sul territorio, e grandi forze, palesi o meno, spingevano ad una strutturazione dei contesti urbani un po’ differente, non più leggibile quanto meno con gli stessi strumenti di prima. Riassetti infrastrutturali, saturazione fisica della maggior parte degli ambiti e degli spazi disponibili, emergere di nuovi punti di riferimento e di nuovi episodi di urbanità all’interno di un continuo costruito, sono solo alcuni dei temi che simultaneamente modificavano la strutturazione delle aree urbane, spingendo a non considerarle più banalmente aree metropolitane ma regioni urbane densamente attrezzate di nuovi episodi di urbanità. Questo racconto si pone la seguente domanda: quale attrezzatura concettuale, metodologica e pratica hanno offerto i nuovi strumenti di piano per un panorama come questo? Con quali attrezzi hanno permesso che questi fenomeni, così rilevanti e così incidenti sull’assetto delle regioni urbane, potessero essere percepiti, prima di tutto, e governati insieme alle micro trasformazioni quotidiane che i piani stessi erano chiamati a controllare? La risposta è leggibile attraverso una rassegna di casi studio, di strumenti di piano comunali per alcuni territori lombardi direttamente impattati da grandi temi e da grandi problemi di scala metropolitana. Più profondamente, ci si interroga di come il lungo processo di riforma della legislazione urbanistica italiana, a partire dal dibattito degli anni Novanta tra fautori di impostazioni strutturali e sostenitori di visioni strategiche, attraverso il decentramento e le soluzioni che ogni regione ha poi adottato, abbia definito strumenti di piano effettivi, e di come questi stessi strumenti, al di là del giudizio sulla loro struttura, sulla forma dei processi che intavolano e sulla positività dei risultati che offrono, siano o non siano in grado di affrontare temi rilevanti, di grande scala e di grande impatto.File | Dimensione | Formato | |
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