Nei suoi celebri “Modi” Nicolas Poussin concepì il fenomeno colore come una maniera sinestetica di pensare in quanto gli enunciati teorici e le regole pratiche si potevano applicare non solo alla poesia e alla musica ma anche alla pittura e all’espressione concettuale. “Niente è visibile senza la luce; niente è visibile senza un mezzo trasparente; niente è visibile senza il colore; niente è visibile senza la distanza; niente è visibile senza un meccanismo” sosteneva Nicolas Poussin avvicinando il fruitore delle sue opere verso una definizione di pittura che doveva includere “l’imitazione nelle linee e nei colori di tutto ciò che si vede alla luce del sole” [1]. Gli interessi di Poussin si erano particolarmente rinnovati a seguito della lettura dell’Ars magna lucis et umbrae di Athanasius Kircher pubblicato a Roma nel 1646; il gesuita, oltre ad occuparsi di ottica e musica, sviluppò la sua teoria dei colori a partire dagli schemi aristotelici ampliando i principi di Aguilonius che definì una versione di scala cromatica basata su cinque specie di colori “semplici” (bianco, giallo, rosso, azzurro e nero) e tre specie di colori “composti” (arancione, porpora e verde) [2]. Poussin inoltre, in un suo celebre autoritratto, si fece immortalare con in mano un libro intitolato De Lumine et colore testimoniando esplicitamente il tributo a tali argomenti ma forse anche omaggiando il manoscritto omonimo e mai ritrovato attribuito a Peter Paul Rubens.
Prospettiva del colore. Significati geometrici e cromatici nell’architettura di quadratura
AMORUSO, GIUSEPPE;
2014-01-01
Abstract
Nei suoi celebri “Modi” Nicolas Poussin concepì il fenomeno colore come una maniera sinestetica di pensare in quanto gli enunciati teorici e le regole pratiche si potevano applicare non solo alla poesia e alla musica ma anche alla pittura e all’espressione concettuale. “Niente è visibile senza la luce; niente è visibile senza un mezzo trasparente; niente è visibile senza il colore; niente è visibile senza la distanza; niente è visibile senza un meccanismo” sosteneva Nicolas Poussin avvicinando il fruitore delle sue opere verso una definizione di pittura che doveva includere “l’imitazione nelle linee e nei colori di tutto ciò che si vede alla luce del sole” [1]. Gli interessi di Poussin si erano particolarmente rinnovati a seguito della lettura dell’Ars magna lucis et umbrae di Athanasius Kircher pubblicato a Roma nel 1646; il gesuita, oltre ad occuparsi di ottica e musica, sviluppò la sua teoria dei colori a partire dagli schemi aristotelici ampliando i principi di Aguilonius che definì una versione di scala cromatica basata su cinque specie di colori “semplici” (bianco, giallo, rosso, azzurro e nero) e tre specie di colori “composti” (arancione, porpora e verde) [2]. Poussin inoltre, in un suo celebre autoritratto, si fece immortalare con in mano un libro intitolato De Lumine et colore testimoniando esplicitamente il tributo a tali argomenti ma forse anche omaggiando il manoscritto omonimo e mai ritrovato attribuito a Peter Paul Rubens.File | Dimensione | Formato | |
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