La società occidentale sta invecchiando. In Europa, l'Italia sta invecchiando più delle altre nazioni e Genova ha gli indici di invecchiamento più alti: qui i bambini sono sempre meno, i giovani si allontanano e gli anziani sono molti di più, lo sono più a lungo e lo sono entro strutture sociali che non li assorbono più nel corpo di famiglie multiformi e numerose. La speranza di vita per le donne occidentali è di 84,8 anni, per gli uomini di 79,3: solo 50 anni fa era rispettivamente di 72,3 e 67,2 . Se la terza o quarta età sono oggetto di studi, al centro delle preoccupazioni delle istituzioni e delle mire del mercato per il giro di affari potenziale, appare ancora fuori fuoco la riflessione sulle implicazioni che la vecchiaia ha sulla città, sui suoi spazi, sulla sua organizzazione. E i sempre più diffusi studi specifici su questi aspetti non riescono ad uscire da un approccio che oscilla tra il tecnicismo e la generalità. Intorno a questo tema sembra mancare una visione di ampio respiro come quelle che solo le avanguardie artistiche e il pensiero utopico sono riusciti a proporre. Platone, Campanella, Thomas More, Charles Owen, Étienne Cabet, per citare alcuni casi noti, hanno re-inventato la società secondo principi di giustizia, equità e modelli organizzativi e spaziali rivoluzionari. Un analogo afflato prospettico, fiducioso e idealista ha alimentato altre visioni del futuro altrettanto utopiche: dalle architetture "radicali" italiane a quelle di Archigram e dei Metabolisti, alle utopie geografiche di Herbert Sörgel a quelle ecologiste di Ernest Callenbach. In tutti i casi, l'uomo al centro dell'utopia è sempre sano, nel pieno delle energie, della maturità e delle sue capacità produttive e riproduttive. Cosa succede dunque se invece proviamo a mettere al centro di un'utopia un idealtipico uomo anziano? Un uomo, o una donna, che ha oltrepassato la soglia dei 65 anni, che deve fare i conti con una condizione di debolezza o di malattia? E soprattutto cosa significa costruire una visione urbana per una città dedicata e costruita su misura per questo genere di persone? "Appunti per la città del poco futuro" è un lavoro in itinere che chi scrive ha avviato in occasione di una recente mostra presso la galleria d'arte Pinksummer a Genova che prova a dare risposta a queste domande a partire dalle constatazioni sopra citate, usando il pensiero utopico come sponda. Il paper illustra i contenuti del lavoro e ne restituisce in maniera critica alcuni nodi.
Appunti per la città del poco futuro
BRUZZESE, MARIA ANTONELLA;
2013-01-01
Abstract
La società occidentale sta invecchiando. In Europa, l'Italia sta invecchiando più delle altre nazioni e Genova ha gli indici di invecchiamento più alti: qui i bambini sono sempre meno, i giovani si allontanano e gli anziani sono molti di più, lo sono più a lungo e lo sono entro strutture sociali che non li assorbono più nel corpo di famiglie multiformi e numerose. La speranza di vita per le donne occidentali è di 84,8 anni, per gli uomini di 79,3: solo 50 anni fa era rispettivamente di 72,3 e 67,2 . Se la terza o quarta età sono oggetto di studi, al centro delle preoccupazioni delle istituzioni e delle mire del mercato per il giro di affari potenziale, appare ancora fuori fuoco la riflessione sulle implicazioni che la vecchiaia ha sulla città, sui suoi spazi, sulla sua organizzazione. E i sempre più diffusi studi specifici su questi aspetti non riescono ad uscire da un approccio che oscilla tra il tecnicismo e la generalità. Intorno a questo tema sembra mancare una visione di ampio respiro come quelle che solo le avanguardie artistiche e il pensiero utopico sono riusciti a proporre. Platone, Campanella, Thomas More, Charles Owen, Étienne Cabet, per citare alcuni casi noti, hanno re-inventato la società secondo principi di giustizia, equità e modelli organizzativi e spaziali rivoluzionari. Un analogo afflato prospettico, fiducioso e idealista ha alimentato altre visioni del futuro altrettanto utopiche: dalle architetture "radicali" italiane a quelle di Archigram e dei Metabolisti, alle utopie geografiche di Herbert Sörgel a quelle ecologiste di Ernest Callenbach. In tutti i casi, l'uomo al centro dell'utopia è sempre sano, nel pieno delle energie, della maturità e delle sue capacità produttive e riproduttive. Cosa succede dunque se invece proviamo a mettere al centro di un'utopia un idealtipico uomo anziano? Un uomo, o una donna, che ha oltrepassato la soglia dei 65 anni, che deve fare i conti con una condizione di debolezza o di malattia? E soprattutto cosa significa costruire una visione urbana per una città dedicata e costruita su misura per questo genere di persone? "Appunti per la città del poco futuro" è un lavoro in itinere che chi scrive ha avviato in occasione di una recente mostra presso la galleria d'arte Pinksummer a Genova che prova a dare risposta a queste domande a partire dalle constatazioni sopra citate, usando il pensiero utopico come sponda. Il paper illustra i contenuti del lavoro e ne restituisce in maniera critica alcuni nodi.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.