L’architettura è per definizione una disciplina che si rapporta col proprio tempo: lo sfida o lo abbraccia, ma non può esimersi dal relazionarsi con esso. Come sappiamo dalla Critica della ragion pura di Kant, il tempo è la maniera universale attraverso la quale percepiamo tutti gli oggetti, ma noi possiamo, attraverso la creazione di manufatti collettivi importanti, dare al tempo in cui viviamo anche un’anima. L’architettura, infatti, non si fa per sé, ma per la comunità, l’architettura è un gesto pubblico, legato alla polis, alla città nel suo complesso e a questa deve rispondere per essere socialmente utile. L’architettura è la conseguenza materiale di un’idea preesistente e per tradursi in manufatto necessita del supporto della tèchne, ovvero del sapere legato alla tecnica che comprende una serie di passaggi e di calcoli. Una fra le operazioni preliminari e propedeutiche all’attività costruttiva è quella della misurazione, del riconoscimento e della comprensione del luogo con cui ci si rapporta. La misura, in architettura, concerne le dimensioni veritiere dell’oggetto, ovvero la lunghezza, la larghezza e la profondità e mentre queste definiscono le proporzioni di una forma, la sua scala è determinata dalla sua dimensione in relazione a quella di altre forme del medesimo contesto. Con la misura, gli elementi architettonici acquisiscono una sequenza logica, un valore narrativo, identificano l’architettura come textura, trama, tessitura, intreccio, ordine di parti. La misura diventa quindi ritmo, ovvero il luogo di convergenza tra spazio e tempo ed incide sulle relazioni fra gli elementi e, più in generale, sul linguaggio architettonico. L’architettura è composizione, costruzione, un’attività di equilibrio e di simmetria in cui pieni e vuoti, luci ed ombre si alternano per strutturarsi in un linguaggio complesso che, come in linguistica, si esplica attraverso due grandi concetti: il senso e il significato, ovvero, il punto di vista da cui guardiamo l’oggetto, e l’oggetto stesso. Inoltre, il linguaggio architettonico è governato da due principi linguistici base che concernono anche la “scrittura” dell’architettura: il principio di composizionalità e il principio di contestualità. Questi due principi semantici possono essere adottati anche in architettura per dire che un oggetto ha un valore di per sé, ma, allo stesso tempo non può prescindere dal contesto nel quale viene inserito perché il contesto contribuisce al significato di una parte e ad una mutazione di contesto consegue una mutazione di significato. «L’architettura è forma e sostanza, astratta e concreta, il suo significato dipende dalle sue caratteristiche interne e dal contesto in cui si colloca. Un elemento architettonico è percepito come forma e struttura, trama e materiale. Queste relazioni oscillanti, complesse e contraddittorie, generano l’ambiguità e la tensione caratteristiche di un mezzo architettonico»1. Oggi, siamo spesso di fronte ad un’architettura mesta, senza invenzione, senza fantasia e questo accade perché non abitiamo il nostro tempo e di conseguenza non siamo in grado di costruire; per costruire, infatti, per dare inizio a qualcosa è necessario immettersi nella trama del tempo, avere un télos, un fine, uno scopo, un orizzonte davanti a sé. Non ci sono cause grandiose e universali a cui rispondere, ma costruendo si lascia sempre un’eredità ai posteri: bisogna costruire pensando di lasciare delle cose eterne, credere nel manufatto che si produce, allora ci sarà una mutazione che cambierà anche i parametri estetici e l’architettura potrà rapportarsi nuovamente con la natura e riconciliarsi con la forma della città.

Scritture Ritmiche_Segni Complementari

DALL'ASTA, JUAN CARLOS
2012-01-01

Abstract

L’architettura è per definizione una disciplina che si rapporta col proprio tempo: lo sfida o lo abbraccia, ma non può esimersi dal relazionarsi con esso. Come sappiamo dalla Critica della ragion pura di Kant, il tempo è la maniera universale attraverso la quale percepiamo tutti gli oggetti, ma noi possiamo, attraverso la creazione di manufatti collettivi importanti, dare al tempo in cui viviamo anche un’anima. L’architettura, infatti, non si fa per sé, ma per la comunità, l’architettura è un gesto pubblico, legato alla polis, alla città nel suo complesso e a questa deve rispondere per essere socialmente utile. L’architettura è la conseguenza materiale di un’idea preesistente e per tradursi in manufatto necessita del supporto della tèchne, ovvero del sapere legato alla tecnica che comprende una serie di passaggi e di calcoli. Una fra le operazioni preliminari e propedeutiche all’attività costruttiva è quella della misurazione, del riconoscimento e della comprensione del luogo con cui ci si rapporta. La misura, in architettura, concerne le dimensioni veritiere dell’oggetto, ovvero la lunghezza, la larghezza e la profondità e mentre queste definiscono le proporzioni di una forma, la sua scala è determinata dalla sua dimensione in relazione a quella di altre forme del medesimo contesto. Con la misura, gli elementi architettonici acquisiscono una sequenza logica, un valore narrativo, identificano l’architettura come textura, trama, tessitura, intreccio, ordine di parti. La misura diventa quindi ritmo, ovvero il luogo di convergenza tra spazio e tempo ed incide sulle relazioni fra gli elementi e, più in generale, sul linguaggio architettonico. L’architettura è composizione, costruzione, un’attività di equilibrio e di simmetria in cui pieni e vuoti, luci ed ombre si alternano per strutturarsi in un linguaggio complesso che, come in linguistica, si esplica attraverso due grandi concetti: il senso e il significato, ovvero, il punto di vista da cui guardiamo l’oggetto, e l’oggetto stesso. Inoltre, il linguaggio architettonico è governato da due principi linguistici base che concernono anche la “scrittura” dell’architettura: il principio di composizionalità e il principio di contestualità. Questi due principi semantici possono essere adottati anche in architettura per dire che un oggetto ha un valore di per sé, ma, allo stesso tempo non può prescindere dal contesto nel quale viene inserito perché il contesto contribuisce al significato di una parte e ad una mutazione di contesto consegue una mutazione di significato. «L’architettura è forma e sostanza, astratta e concreta, il suo significato dipende dalle sue caratteristiche interne e dal contesto in cui si colloca. Un elemento architettonico è percepito come forma e struttura, trama e materiale. Queste relazioni oscillanti, complesse e contraddittorie, generano l’ambiguità e la tensione caratteristiche di un mezzo architettonico»1. Oggi, siamo spesso di fronte ad un’architettura mesta, senza invenzione, senza fantasia e questo accade perché non abitiamo il nostro tempo e di conseguenza non siamo in grado di costruire; per costruire, infatti, per dare inizio a qualcosa è necessario immettersi nella trama del tempo, avere un télos, un fine, uno scopo, un orizzonte davanti a sé. Non ci sono cause grandiose e universali a cui rispondere, ma costruendo si lascia sempre un’eredità ai posteri: bisogna costruire pensando di lasciare delle cose eterne, credere nel manufatto che si produce, allora ci sarà una mutazione che cambierà anche i parametri estetici e l’architettura potrà rapportarsi nuovamente con la natura e riconciliarsi con la forma della città.
2012
Maggioli Editore
978-88-387-6142-6
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11311/747172
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