La fase finale della riflessione schellinghiana, la "filosofia positiva", è stata a lungo trascurata e valutata come macchinoso esercizio erudito. E' merito di un grande interprete di Schelling come Xavier Tilliette (“Attualità di Schelling”, 1972) aver risollevato le sorti anche di quest'ultima parte dell'opera del grande idealista tedesco. Il mito rappresenta senza dubbio uno dei nodi centrali del pensiero contemporaneo. E proprio il tratto più caratteristico della filosofia positiva, la “religiosa” devozione nei confronti dei documenti originali della tradizione, può oggi essere apprezzato nella sua intenzione più profonda, dopo che le correnti ermeneutiche hanno decostruito l'assolutismo della metafisica. La dipendenza che la filosofia di Schelling si autoassegna nei riguardi del "fatto" mitologico, della configurazione reale e storica dei miti, si rispecchia a livello speculativo nel teorema dell'insuperabile priorità dell’“essere immemoriale” (unvordenkliches Seyn), assolutamente indeducibile da parte della ragione, la quale deve necessariamente incontrarlo quando voglia attingere alle fonti della propria legittimità. Il problema del mito fu argomento del primo scritto di Schelling e, cinquant'anni dopo, del suo ultimo corso a Berlino: è l'emblema di un lungo itinerario speculativo ed esistenziale che unisce due secoli, il mito ovvero la possibilità di autodeterminazione della ragione. La mitologia non dev'essere spiegata da noi ma deve spiegarsi da se stessa, questa la massima "fenomenologica" di una teoria che vuol essere totalmente scientifica e totalmente storica. Per comprendere la mitologia occorre un superiore grado di sviluppo della coscienza umana, un ampliamento generale del pensiero che corrisponde alle più profonde istanze del nostro tempo. Secondo Schelling, la ricerca sul significato della mitologia è assolutamente degna della filosofia moderna: la filosofia proviene dal mito, è il risultato dell'allontanamento della coscienza dalla mitologia, e in effetti solo la distanza storica che intercorre tra le due formazioni culturali crea le condizioni ermeneutiche della comprensione. La traduzione italiana della “Filosofia della mitologia” di F.W.J. Schelling (1990), anche se parziale, rappresenta dunque un grande evento non solo da un punto di vista storico-filosofico, ma anche nella prospettiva di nuovi sviluppi teorici: un contributo decisivo alla riapertura di un capitolo quasi dimenticato, ma ricchissimo, del pensiero moderno. Un’immensa erudizione in queste lezioni, ma anche nozioni teoriche preziose ed estremamente attuali. La traduzione di Lidia Procesi nella "Biblioteca di Filosofia" di Mursia, diretta da Luigi Pareyson, viene pubblicata in concomitanza con una monografia della stessa traduttrice, “La genesi della coscienza nella ‘Filosofia della mitologia’ di Schelling” (1990), ricostruzione organica di tutti gli aspetti delle lezioni e complemento pressoché indispensabile al testo tradotto.

Schelling e il mito

GIACOMINI, LORENZO
1990-01-01

Abstract

La fase finale della riflessione schellinghiana, la "filosofia positiva", è stata a lungo trascurata e valutata come macchinoso esercizio erudito. E' merito di un grande interprete di Schelling come Xavier Tilliette (“Attualità di Schelling”, 1972) aver risollevato le sorti anche di quest'ultima parte dell'opera del grande idealista tedesco. Il mito rappresenta senza dubbio uno dei nodi centrali del pensiero contemporaneo. E proprio il tratto più caratteristico della filosofia positiva, la “religiosa” devozione nei confronti dei documenti originali della tradizione, può oggi essere apprezzato nella sua intenzione più profonda, dopo che le correnti ermeneutiche hanno decostruito l'assolutismo della metafisica. La dipendenza che la filosofia di Schelling si autoassegna nei riguardi del "fatto" mitologico, della configurazione reale e storica dei miti, si rispecchia a livello speculativo nel teorema dell'insuperabile priorità dell’“essere immemoriale” (unvordenkliches Seyn), assolutamente indeducibile da parte della ragione, la quale deve necessariamente incontrarlo quando voglia attingere alle fonti della propria legittimità. Il problema del mito fu argomento del primo scritto di Schelling e, cinquant'anni dopo, del suo ultimo corso a Berlino: è l'emblema di un lungo itinerario speculativo ed esistenziale che unisce due secoli, il mito ovvero la possibilità di autodeterminazione della ragione. La mitologia non dev'essere spiegata da noi ma deve spiegarsi da se stessa, questa la massima "fenomenologica" di una teoria che vuol essere totalmente scientifica e totalmente storica. Per comprendere la mitologia occorre un superiore grado di sviluppo della coscienza umana, un ampliamento generale del pensiero che corrisponde alle più profonde istanze del nostro tempo. Secondo Schelling, la ricerca sul significato della mitologia è assolutamente degna della filosofia moderna: la filosofia proviene dal mito, è il risultato dell'allontanamento della coscienza dalla mitologia, e in effetti solo la distanza storica che intercorre tra le due formazioni culturali crea le condizioni ermeneutiche della comprensione. La traduzione italiana della “Filosofia della mitologia” di F.W.J. Schelling (1990), anche se parziale, rappresenta dunque un grande evento non solo da un punto di vista storico-filosofico, ma anche nella prospettiva di nuovi sviluppi teorici: un contributo decisivo alla riapertura di un capitolo quasi dimenticato, ma ricchissimo, del pensiero moderno. Un’immensa erudizione in queste lezioni, ma anche nozioni teoriche preziose ed estremamente attuali. La traduzione di Lidia Procesi nella "Biblioteca di Filosofia" di Mursia, diretta da Luigi Pareyson, viene pubblicata in concomitanza con una monografia della stessa traduttrice, “La genesi della coscienza nella ‘Filosofia della mitologia’ di Schelling” (1990), ricostruzione organica di tutti gli aspetti delle lezioni e complemento pressoché indispensabile al testo tradotto.
1990
filosofia; mitologia; mito; religione; tradizione; ragione; coscienza; distanza; moderno; ermeneutica; fenomenologia; idealismo
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