“La più grande tra le responsabilità umane - fisiche e morali - è la responsabilità della nostra verticalità”, ha scritto Gaston Bachelard. Frase memorabile, che in esergo a questa “Fenomenologia della verticalità” ne racchiude perfettamente il senso e il progetto: quello di mettere in luce una priorità “metaforologica” di questo archetipo, fonte di senso per tutti gli altri; e di seguirne le tracce in una perlustrazione di realtà e nozioni architettoniche, antropologiche, archeologiche, mitologiche, ontologiche. Dall’irruzione verticale dello “spazio sacro” di Mircea Eliade - al processo di ominizzazione innescato dalla postura eretta come chiave antropologica primaria di Helmuth Plessner; dalla “supremazia della verticale” di Sigfried Giedion, che segna il passaggio dall’erranza primordiale alla monumentalità architettonica nelle grandi civiltà del mondo antico - alla tradizione moderna della “delirante” pulsione ascensionale newyorkese di Rem Koolhaas; dalla “cosmologia della casa” di Gaston Bachelard che “illustra la verticalità dell’umano” - alla tradizione etnologica delle “cliff cities”, trasfigurazioni architettoniche della verticalità territoriale governate dall’universale impulso esistenziale ed estetico ad “abitare l’impervio”; dalla tradizione fondativa “abissale” del “mundus” nell’antichità, evocata dall’“Antropologia della forma urbana” di Joseph Rykwert e architettonicamente materializzata dal geologico mito oracolare del santuario di Delfi - a quel “fondo abissale” del pensiero heideggeriano, “Ab-Grund” come duplicità di fondamento-abisso che rappresenta la figura ontologica più estrema, la dimora ontologica ultima dell’umano nel “gioco” dell’Essere: tutto ciò converge in uno “sguardo dalla vetta”, che scorge il panorama metamorfico di questa pervasiva e perenne “metaforologia verticale”.
Fenomenologia della verticalità. Immagini e teorie (architettoniche, antropologiche, ontologiche) dell’archetipo spaziale primario
GIACOMINI, LORENZO
2005-01-01
Abstract
“La più grande tra le responsabilità umane - fisiche e morali - è la responsabilità della nostra verticalità”, ha scritto Gaston Bachelard. Frase memorabile, che in esergo a questa “Fenomenologia della verticalità” ne racchiude perfettamente il senso e il progetto: quello di mettere in luce una priorità “metaforologica” di questo archetipo, fonte di senso per tutti gli altri; e di seguirne le tracce in una perlustrazione di realtà e nozioni architettoniche, antropologiche, archeologiche, mitologiche, ontologiche. Dall’irruzione verticale dello “spazio sacro” di Mircea Eliade - al processo di ominizzazione innescato dalla postura eretta come chiave antropologica primaria di Helmuth Plessner; dalla “supremazia della verticale” di Sigfried Giedion, che segna il passaggio dall’erranza primordiale alla monumentalità architettonica nelle grandi civiltà del mondo antico - alla tradizione moderna della “delirante” pulsione ascensionale newyorkese di Rem Koolhaas; dalla “cosmologia della casa” di Gaston Bachelard che “illustra la verticalità dell’umano” - alla tradizione etnologica delle “cliff cities”, trasfigurazioni architettoniche della verticalità territoriale governate dall’universale impulso esistenziale ed estetico ad “abitare l’impervio”; dalla tradizione fondativa “abissale” del “mundus” nell’antichità, evocata dall’“Antropologia della forma urbana” di Joseph Rykwert e architettonicamente materializzata dal geologico mito oracolare del santuario di Delfi - a quel “fondo abissale” del pensiero heideggeriano, “Ab-Grund” come duplicità di fondamento-abisso che rappresenta la figura ontologica più estrema, la dimora ontologica ultima dell’umano nel “gioco” dell’Essere: tutto ciò converge in uno “sguardo dalla vetta”, che scorge il panorama metamorfico di questa pervasiva e perenne “metaforologia verticale”.File | Dimensione | Formato | |
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