L'esperienza filosofica comincia spesso da una delusione: scoprire l’impossibile espressione del sensibile attraverso la parola. Dai sofismi scettici di Gorgia fino all'hegeliana “Fenomenologia dello spirito”, la qualità sensibile dell’empirico manifesta un’irriducibilità inviolabile e singolare, che dà scacco al linguaggio e lo costringe a una eterna attesa sulla soglia dell’espressione, sospeso tra l’insondabile densità del fenomeno e l’impotente indicazione del “questo”: colore, sfumatura, dettaglio, impressione, intuizione o quant’altro. Anche il “Tractatus” di Wittgenstein non fa che riproporre l’esito della classica dialettica hegeliana: “Gli oggetti li posso solo nominare... Posso solo dirne, non dirli. Una proposizione può dire solo come una cosa è, non che cosa essa è”. Questa tradizione filosofica raggiunge il suo apogeo con il radicalismo neopositivista del Circolo di Vienna, perfettamente rappresentato da un testo come “Forma e contenuto” di Moritz Schlick. La classica cesura metafisica e linguistica tra astratto e concreto, tra universale e individuale che blocca il “contatto” tra pensiero ed essere si ripresenta qui nella sua forma più dogmatica e in apparenza inattaccabile: Schlick raccoglie il testimone antico di Gorgia e si attiene al medesimo, totale distacco e sganciamento del linguaggio dal sensibile, allo stesso abisso invalicabile tra parola e cosa, evocato con gesto hegeliano. Ma un’attenzione fenomenologica rivolta senza pregiudizi alle realtà espressive del linguaggio - quotidiane, poetiche, metaforologiche, tassonomiche e descrittive in generale - non può che contraddire l’idea di una netta separazione tra forma e contenuto. Quando l’oggetto nominato è “l’individuo irriducibile” - sfumatura della percezione, tonalità emotiva, fraseggio poetico o alfabeto artistico - il nostro linguaggio evade dal contesto descrittivo convenzionale e attinge dalla stessa fonte sensibile il potenziale che traduce poi in forma espressiva: il metaforico non si può più ridurre a semplice ornamento, ma si rivela come ricchezza di informazione su una concreta singolarità. Il sensibile non è privo di forma, bensì “fonte della forma”: offre una direzione, un “senso” all’espressione, che non può essere attinto se non da questa sorgente, da un “contatto” che di continuo rigenera le facoltà espressive. Come nelle rappresentazioni grafiche della teoria della relatività, la “curvatura” metaforica dello spazio linguistico dirige il reticolo, all’infinito, verso un punto che tocca l’esperienza sensibile. Questa “torsione” che l’arte (o filosofia, religione, poesia, teoria scientifica, ecc.) produce sul linguaggio è il “fenomeno” degno di pensiero: fenomenologicamente parlando, il contenuto esercita un effetto di “attrazione gravitazionale” sul linguaggio, deformandolo in modo plasticamente espressivo. Ovunque sia soggetto a questa pressione e pulsione dello spirito, esso non rispetta più la semplice dicotomia forma/contenuto, ma cerca di parlare sulla scia di quella “indicazione” puntuale che la “Fenomenologia” hegeliana faceva ammutolire.

Le ragioni della certezza sensibile. Linguaggio ed esperienza in “Forma e contenuto” di Moritz Schlick

GIACOMINI, LORENZO
1987-01-01

Abstract

L'esperienza filosofica comincia spesso da una delusione: scoprire l’impossibile espressione del sensibile attraverso la parola. Dai sofismi scettici di Gorgia fino all'hegeliana “Fenomenologia dello spirito”, la qualità sensibile dell’empirico manifesta un’irriducibilità inviolabile e singolare, che dà scacco al linguaggio e lo costringe a una eterna attesa sulla soglia dell’espressione, sospeso tra l’insondabile densità del fenomeno e l’impotente indicazione del “questo”: colore, sfumatura, dettaglio, impressione, intuizione o quant’altro. Anche il “Tractatus” di Wittgenstein non fa che riproporre l’esito della classica dialettica hegeliana: “Gli oggetti li posso solo nominare... Posso solo dirne, non dirli. Una proposizione può dire solo come una cosa è, non che cosa essa è”. Questa tradizione filosofica raggiunge il suo apogeo con il radicalismo neopositivista del Circolo di Vienna, perfettamente rappresentato da un testo come “Forma e contenuto” di Moritz Schlick. La classica cesura metafisica e linguistica tra astratto e concreto, tra universale e individuale che blocca il “contatto” tra pensiero ed essere si ripresenta qui nella sua forma più dogmatica e in apparenza inattaccabile: Schlick raccoglie il testimone antico di Gorgia e si attiene al medesimo, totale distacco e sganciamento del linguaggio dal sensibile, allo stesso abisso invalicabile tra parola e cosa, evocato con gesto hegeliano. Ma un’attenzione fenomenologica rivolta senza pregiudizi alle realtà espressive del linguaggio - quotidiane, poetiche, metaforologiche, tassonomiche e descrittive in generale - non può che contraddire l’idea di una netta separazione tra forma e contenuto. Quando l’oggetto nominato è “l’individuo irriducibile” - sfumatura della percezione, tonalità emotiva, fraseggio poetico o alfabeto artistico - il nostro linguaggio evade dal contesto descrittivo convenzionale e attinge dalla stessa fonte sensibile il potenziale che traduce poi in forma espressiva: il metaforico non si può più ridurre a semplice ornamento, ma si rivela come ricchezza di informazione su una concreta singolarità. Il sensibile non è privo di forma, bensì “fonte della forma”: offre una direzione, un “senso” all’espressione, che non può essere attinto se non da questa sorgente, da un “contatto” che di continuo rigenera le facoltà espressive. Come nelle rappresentazioni grafiche della teoria della relatività, la “curvatura” metaforica dello spazio linguistico dirige il reticolo, all’infinito, verso un punto che tocca l’esperienza sensibile. Questa “torsione” che l’arte (o filosofia, religione, poesia, teoria scientifica, ecc.) produce sul linguaggio è il “fenomeno” degno di pensiero: fenomenologicamente parlando, il contenuto esercita un effetto di “attrazione gravitazionale” sul linguaggio, deformandolo in modo plasticamente espressivo. Ovunque sia soggetto a questa pressione e pulsione dello spirito, esso non rispetta più la semplice dicotomia forma/contenuto, ma cerca di parlare sulla scia di quella “indicazione” puntuale che la “Fenomenologia” hegeliana faceva ammutolire.
1987
Fenomenologia e scienze dell’uomo. 5: Fenomenologia dell'esperienza
8840001107
linguaggio; esperienza; fenomenologia; sensibilità; senso; qualità; universale-singolare; forma-contenuto; indicazione; descrizione; contatto; metafora; torsione; curvatura; relatività; gravitazione; neopositivismo; sofistica
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