Nel 1912, con le fondamentali pagine di "Filosofia del paesaggio", Georg Simmel stabilisce uno spartiacque della teoria contemporanea, definendo il paesaggio come “tradizione moderna”, di massimo rilievo in quel processo evolutivo che è al centro della sua visione socio-filosofica del mondo. A partire da questo classico, si individuano alcune linee esemplari della riflessione contemporanea sul paesaggio: da un lato la sua definizione come vera e propria “funzione” estetica, con ruolo compensativo della moderna scissione tecnico-scientifica tra uomo e natura (Joachim Ritter); dall’altro la più recente versione geografica di Augustin Berque, che oltrepassa la semplice valenza estetico-soggettiva per aderire all’idea simmeliana di una “oggettività di paesaggio” come “senso” materialmente sedimentato nella trama naturale/artificiale dell’ambiente umano, con importanti implicazioni progettuali ma anche giuridiche (come nel caso della Convenzione Europea del paesaggio). Ma si vuole anche evidenziare il teorema più profetico incluso nel saggio di Simmel: quella “filosofia del moderno” che fu la sua più grande ambizione e che “Filosofia del paesaggio” presenta in estrema sintesi, anticipando l’ultimo lascito del pensiero simmeliano, contenuto nel saggio del 1918 “Il conflitto della cultura moderna”, ovvero il teorema del moderno come “epoca dell’informe”, della progressiva “crisi della forma” in ogni ambito materiale e ideologico della civiltà, concetto chiave ereditato e riformulato da varie correnti e personalità dai tempi di Simmel fino ad oggi (dalla “perdita del centro” di Sedlmayr alla “condizione postmoderna” di Lyotard, dallo “sprawl” urbanistico alla “bigness” e alla “città generica” di Koolhaas, fino all’“informe” della critica d’arte contemporanea e d’avanguardia).
Nuove forme per una "vita senza forma". Filosofia del paesaggio ed ermeneutica del moderno in Georg Simmel
GIACOMINI, LORENZO
2008-01-01
Abstract
Nel 1912, con le fondamentali pagine di "Filosofia del paesaggio", Georg Simmel stabilisce uno spartiacque della teoria contemporanea, definendo il paesaggio come “tradizione moderna”, di massimo rilievo in quel processo evolutivo che è al centro della sua visione socio-filosofica del mondo. A partire da questo classico, si individuano alcune linee esemplari della riflessione contemporanea sul paesaggio: da un lato la sua definizione come vera e propria “funzione” estetica, con ruolo compensativo della moderna scissione tecnico-scientifica tra uomo e natura (Joachim Ritter); dall’altro la più recente versione geografica di Augustin Berque, che oltrepassa la semplice valenza estetico-soggettiva per aderire all’idea simmeliana di una “oggettività di paesaggio” come “senso” materialmente sedimentato nella trama naturale/artificiale dell’ambiente umano, con importanti implicazioni progettuali ma anche giuridiche (come nel caso della Convenzione Europea del paesaggio). Ma si vuole anche evidenziare il teorema più profetico incluso nel saggio di Simmel: quella “filosofia del moderno” che fu la sua più grande ambizione e che “Filosofia del paesaggio” presenta in estrema sintesi, anticipando l’ultimo lascito del pensiero simmeliano, contenuto nel saggio del 1918 “Il conflitto della cultura moderna”, ovvero il teorema del moderno come “epoca dell’informe”, della progressiva “crisi della forma” in ogni ambito materiale e ideologico della civiltà, concetto chiave ereditato e riformulato da varie correnti e personalità dai tempi di Simmel fino ad oggi (dalla “perdita del centro” di Sedlmayr alla “condizione postmoderna” di Lyotard, dallo “sprawl” urbanistico alla “bigness” e alla “città generica” di Koolhaas, fino all’“informe” della critica d’arte contemporanea e d’avanguardia).File | Dimensione | Formato | |
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