All’inizio degli anni 50 l’architetto milanese Gio Ponti inaugura una seconda stagione della sua architettura, progettando una serie di edifici a scala internazionale ( ville Planchart e Gorrondona, Caracas; Predio Italia e Istituto di Fisica Nucleare , San Paolo del Brasile; villa Nemazee, Teheran; auditorium Alitalia, New York,etc,) che è possibile valutare come varianti applicative di una singolare teoria: quella della forma finita ! Progettato con la prestigiosa collaborazione di Pier Luigi Nervi, l’Istituto Italiano di Cultura a Stoccolma fu fortemente voluto dall’amico industriale ed archeologo Lerici come testimonianza della vitalità del “lavoro italiano” e come tale la sfida fu raccolta da Ponti che in quegli stessi anni – dal timone della rivista “Domus” – aveva lanciato un’efficace campagna di promozione della creatività italiana. Il saggio - partendo dall’esame degli archivi in cui è distribuita la documentazione della sua opera – propone una lettura del lungo processo progettuale, esaminando le varie proposte che stanno dietro la soluzione definitiva. In tal modo il chiarimento della strategia insediativa aiuta a comprendere le idee di Ponti sulla necessità di una nuova architettura capace di interpretare appieno la seconda modernità, sposandone materiali, tecniche di comunicazione e strategie al fine di riprodurre – in un contesto dove l’industrializzazione è ormai un dato di fatto – l’antica aspirazione dell’”opera d’arte totale”. Collocando la fabbrica svedese nel variegato contesto progettuale pontiano ( non solo architettura, ma architettura delle navi, ad esempio, e sistemazioni esemplari d’interni in edifici pubblici e privati), il saggio ne mette in luce la straordinaria ricchezza di significati connessi ai temi dell’arte nella vita, del cultural heritage come campo d’innovazione, della sperimentazione come necessità prima ancora che come evasione dallo standard. La genesi dell’edificio viene così ricostruita attraverso lì’enunciazione dei suoi passaggi interni, ma anche attraverso la corrispondenza con Lerici, con Nervi, con i corrispondenti svedesi e attraverso la disanima della recezione della fabbrica sia nel contesto italiano che in quello internazionale. Questo ha consentito di evidenziare la sintonia di Ponti con l’ambiente internazionale , ma allo stesso tempo anche il suo relativo isolamento rispetto ai canini consolidati della critica italiana, da Ernesto N. Rogers a Bruno Zevi.

Un Edificio in Esilio

IRACE, FULVIO
2007-01-01

Abstract

All’inizio degli anni 50 l’architetto milanese Gio Ponti inaugura una seconda stagione della sua architettura, progettando una serie di edifici a scala internazionale ( ville Planchart e Gorrondona, Caracas; Predio Italia e Istituto di Fisica Nucleare , San Paolo del Brasile; villa Nemazee, Teheran; auditorium Alitalia, New York,etc,) che è possibile valutare come varianti applicative di una singolare teoria: quella della forma finita ! Progettato con la prestigiosa collaborazione di Pier Luigi Nervi, l’Istituto Italiano di Cultura a Stoccolma fu fortemente voluto dall’amico industriale ed archeologo Lerici come testimonianza della vitalità del “lavoro italiano” e come tale la sfida fu raccolta da Ponti che in quegli stessi anni – dal timone della rivista “Domus” – aveva lanciato un’efficace campagna di promozione della creatività italiana. Il saggio - partendo dall’esame degli archivi in cui è distribuita la documentazione della sua opera – propone una lettura del lungo processo progettuale, esaminando le varie proposte che stanno dietro la soluzione definitiva. In tal modo il chiarimento della strategia insediativa aiuta a comprendere le idee di Ponti sulla necessità di una nuova architettura capace di interpretare appieno la seconda modernità, sposandone materiali, tecniche di comunicazione e strategie al fine di riprodurre – in un contesto dove l’industrializzazione è ormai un dato di fatto – l’antica aspirazione dell’”opera d’arte totale”. Collocando la fabbrica svedese nel variegato contesto progettuale pontiano ( non solo architettura, ma architettura delle navi, ad esempio, e sistemazioni esemplari d’interni in edifici pubblici e privati), il saggio ne mette in luce la straordinaria ricchezza di significati connessi ai temi dell’arte nella vita, del cultural heritage come campo d’innovazione, della sperimentazione come necessità prima ancora che come evasione dallo standard. La genesi dell’edificio viene così ricostruita attraverso lì’enunciazione dei suoi passaggi interni, ma anche attraverso la corrispondenza con Lerici, con Nervi, con i corrispondenti svedesi e attraverso la disanima della recezione della fabbrica sia nel contesto italiano che in quello internazionale. Questo ha consentito di evidenziare la sintonia di Ponti con l’ambiente internazionale , ma allo stesso tempo anche il suo relativo isolamento rispetto ai canini consolidati della critica italiana, da Ernesto N. Rogers a Bruno Zevi.
2007
Gio Ponti a Stoccolma.L’Istituto Italiano di cultura “C.M.Lerici”
8837056842
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