Il libro affronta il tema della prevenzione sotto diversi aspetti, legati tutti da quello che è il filo conduttore del lavoro, ovvero come migliorare le pratiche di mitigazione e riduzione dei danni conseguenti a calamità naturali e non. Si dimostra, infatti, che quando l’oggetto dell’analisi e dell’azione è il territorio e non la fonte del pericolo, la minaccia fisica, non vi è una sostanziale differenza tra rischi naturali e tecnologici. Ciò che conta è la capacità di risposta, le resistenza dei sistemi esposti, in una parola la vulnerabilità. Questa viene scissa in diverse componenti, da quella fisica degli oggetti esposti a una sollecitazione quale può essere un terremoto, una frana, un’industria chimica, a quella sistemica, relativa alle relazioni e ai vincoli di dipendenza tra sistemi territoriali, tanto più rilevanti quanto più complessa è la realtà urbana in questione, a quella organizzativa, che si riferisce ai problemi che sorgono nel coordinamento tra varie istituzioni e nel reperimento dei materiali e delle risorse in caso di necessità vuoi per l’emergenza vuoi per la ricostruzione. L’ordine dei capitoli è apparentemente bizzarro, poiché si parte dall’analisi e valutazione dei danni in seguito a calamità per arrivare ai modelli di analisi e valutazione del rischio, anziché viceversa, come si è abituati a fare usualmente. Tale ordine però nasce dalla convinzione che nel modo in cui si stimano i danni si annidi già la costruzione o la riduzione delle varie forme di vulnerabilità ad eventi futuri. In altri termini il modo in cui viene generalmente effettuata la stima dei danni è funzionale ad un sistema gestionale che aspetta l’evento per mobilitarsi, che si cura solo degli aspetti più evidenti e manifesti e trascura invece le questioni legate alla resilienza dei sistemi, alla loro organizzazione, facendo perdere anche agli analisti dati e informazioni preziose per capire come migliorare tali aspetti. Si tratta di dati e informazioni che nessuno si cura di raccogliere e archiviare, nell’urgenza di ricostruire il più velocemente possibile. Un altro aspetto che viene sottolineato nel libro, riguarda l’importanza di lavorare con scenari completi di evento; fino ad oggi gli scenari sono stati poco utilizzati dalla comunità scientifica, soprattutto nell’ambito dei rischi naturali, a favore di una conoscenza probabilistica dei danni attesi. Quest’ultima va ovviamente ancora coltivata, ma maggiore spazio merita l’analisi per scenari, soprattutto se viene considerata come lo strumento che consente, data una sollecitazione tecnologica o naturale iniziale di studiare la concatenazione di danni, guasti, problemi che ad essa conseguono ma sono soprattutto il risultato delle condizioni di vulnerabilità sempre latenti nel sistema. Al concetto di scenario si rifanno ormai molte linee guida della Protezione Civile, sia nazionale sia regionali, con l’obiettivo di migliorare significativamente il contenuto tecnico di programmi di previsione e prevenzione e di piani di protezione civile. La parte “teorica” è intervallata da esempi e applicazioni concrete: si tratta in parte di casi studio, come ad esempio quello relativo alla ricostruzione del drammatico terremoto di Kobe in Giappone nel 1995, che ha provocato più di seimila vittime, in un paese che si dice abituato a convivere con questo tipo di calamità, e di piani e programmi di protezione civile elaborati dall’autrice con vari gruppi di lavoro e di ricerca. Il libro cerca di parlare in un linguaggio non accademico, pur rispettando la complessità di alcuni concetti e delle metodologie tecnico-scientifiche, mostrando con esempi e casi studio quanto viene detto sul piano analitico. Il suo obiettivo principale d’altronde è proprio quello di contribuire alla prevenzione, affrontando i vari campi che è necessario attraversare per arrivarvi: quello tecnico-scientifico, fondamentale, ma non sufficiente da solo a “convincere” politici e pubblico della necessità di lavorare prima del disastro a favore di sicurezza, quello economico, finora poco esplorato dagli economisti di professione, quello giuridico. L’apporto della pianificazione territoriale, disciplina cui appartiene l’autrice, è sostanzialmente di due tipi: da un lato consiste nella capacità di vedere le relazioni tra diversi sistemi (economici, sociali, territoriali) e di cogliere eventuali fragilità nei sistemi stessi e nelle loro relazioni, dall’altro di cogliere tali relazioni in uno spazio fisico tridimensionale, facendo emergere le relazioni tra decisioni apparentemente lontane, di tipo amministrativo ad esempio, e le ripercussioni territoriali anche in termini di incremento o viceversa riduzione del rischio.
Costruire la prevenzione. Strategie di riduzione e mitigazione dei rischi territoriali
MENONI, SCIRA
2005-01-01
Abstract
Il libro affronta il tema della prevenzione sotto diversi aspetti, legati tutti da quello che è il filo conduttore del lavoro, ovvero come migliorare le pratiche di mitigazione e riduzione dei danni conseguenti a calamità naturali e non. Si dimostra, infatti, che quando l’oggetto dell’analisi e dell’azione è il territorio e non la fonte del pericolo, la minaccia fisica, non vi è una sostanziale differenza tra rischi naturali e tecnologici. Ciò che conta è la capacità di risposta, le resistenza dei sistemi esposti, in una parola la vulnerabilità. Questa viene scissa in diverse componenti, da quella fisica degli oggetti esposti a una sollecitazione quale può essere un terremoto, una frana, un’industria chimica, a quella sistemica, relativa alle relazioni e ai vincoli di dipendenza tra sistemi territoriali, tanto più rilevanti quanto più complessa è la realtà urbana in questione, a quella organizzativa, che si riferisce ai problemi che sorgono nel coordinamento tra varie istituzioni e nel reperimento dei materiali e delle risorse in caso di necessità vuoi per l’emergenza vuoi per la ricostruzione. L’ordine dei capitoli è apparentemente bizzarro, poiché si parte dall’analisi e valutazione dei danni in seguito a calamità per arrivare ai modelli di analisi e valutazione del rischio, anziché viceversa, come si è abituati a fare usualmente. Tale ordine però nasce dalla convinzione che nel modo in cui si stimano i danni si annidi già la costruzione o la riduzione delle varie forme di vulnerabilità ad eventi futuri. In altri termini il modo in cui viene generalmente effettuata la stima dei danni è funzionale ad un sistema gestionale che aspetta l’evento per mobilitarsi, che si cura solo degli aspetti più evidenti e manifesti e trascura invece le questioni legate alla resilienza dei sistemi, alla loro organizzazione, facendo perdere anche agli analisti dati e informazioni preziose per capire come migliorare tali aspetti. Si tratta di dati e informazioni che nessuno si cura di raccogliere e archiviare, nell’urgenza di ricostruire il più velocemente possibile. Un altro aspetto che viene sottolineato nel libro, riguarda l’importanza di lavorare con scenari completi di evento; fino ad oggi gli scenari sono stati poco utilizzati dalla comunità scientifica, soprattutto nell’ambito dei rischi naturali, a favore di una conoscenza probabilistica dei danni attesi. Quest’ultima va ovviamente ancora coltivata, ma maggiore spazio merita l’analisi per scenari, soprattutto se viene considerata come lo strumento che consente, data una sollecitazione tecnologica o naturale iniziale di studiare la concatenazione di danni, guasti, problemi che ad essa conseguono ma sono soprattutto il risultato delle condizioni di vulnerabilità sempre latenti nel sistema. Al concetto di scenario si rifanno ormai molte linee guida della Protezione Civile, sia nazionale sia regionali, con l’obiettivo di migliorare significativamente il contenuto tecnico di programmi di previsione e prevenzione e di piani di protezione civile. La parte “teorica” è intervallata da esempi e applicazioni concrete: si tratta in parte di casi studio, come ad esempio quello relativo alla ricostruzione del drammatico terremoto di Kobe in Giappone nel 1995, che ha provocato più di seimila vittime, in un paese che si dice abituato a convivere con questo tipo di calamità, e di piani e programmi di protezione civile elaborati dall’autrice con vari gruppi di lavoro e di ricerca. Il libro cerca di parlare in un linguaggio non accademico, pur rispettando la complessità di alcuni concetti e delle metodologie tecnico-scientifiche, mostrando con esempi e casi studio quanto viene detto sul piano analitico. Il suo obiettivo principale d’altronde è proprio quello di contribuire alla prevenzione, affrontando i vari campi che è necessario attraversare per arrivarvi: quello tecnico-scientifico, fondamentale, ma non sufficiente da solo a “convincere” politici e pubblico della necessità di lavorare prima del disastro a favore di sicurezza, quello economico, finora poco esplorato dagli economisti di professione, quello giuridico. L’apporto della pianificazione territoriale, disciplina cui appartiene l’autrice, è sostanzialmente di due tipi: da un lato consiste nella capacità di vedere le relazioni tra diversi sistemi (economici, sociali, territoriali) e di cogliere eventuali fragilità nei sistemi stessi e nelle loro relazioni, dall’altro di cogliere tali relazioni in uno spazio fisico tridimensionale, facendo emergere le relazioni tra decisioni apparentemente lontane, di tipo amministrativo ad esempio, e le ripercussioni territoriali anche in termini di incremento o viceversa riduzione del rischio.File | Dimensione | Formato | |
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