Spesso il racconto urbanistico assume le forme di una grande narrazione, entro la quale si muovono corruttori ed eroi, in un’alternanza di epiche battaglie, di sconfitte, di qualche rara vittoria. In altri casi la grande narrazione si focalizza sui processi di adeguamento della città e del territorio al nuovo ciclo economico e sociale, alle nuove condizioni generali della società e dell’economia; valuta le ragioni di eventuali resistenze al mutamento o le possibilità di politiche che favoriscano, accompagnino o accelerino questo adeguamento. Quasi sempre è un racconto con pochi attori - promotori, costruttori, politici, funzionari - analizzati nelle loro interazioni e con pochi oggetti - gli spazi e le architetture - che queste interazioni lasciano sul territorio. Il volume “Esperienze e paesaggi dell’abitare” propone, forse, un punto di vista inusuale. Esso pone al centro le pratiche dell’abitare e i paesaggi ordinari della regione urbana, entro un racconto dell’urbanistica, che “non cerca nella realtà ciò che è eccezionale”, i grandi interventi, gli eventi più sorprendenti, ma piuttosto “cerca di guardare in modo eccezionale la realtà” (Olmi): la quotidianità dell’abitare e i paesaggi ordinari. Al centro di questo racconto vi è, dunque, l’abitare. Un tema polisemico che può essere osservato da molte angolature, come insieme di pratiche, di abitudini, di tradizioni legate ad un gruppo sociale, come tema progettuale che coinvolge competenze tecniche, professionalità, o ancora come scenario di politiche urbane, sociali, economiche, che coinvolge direttamente l’azione di tecnici e amministratori locali. La ricerca vuole esplorare l’abitare nel suo significato più ampio che non si esaurisce nell’oggetto della casa, ma è una esperienza, un processo che ci riporta ai soggetti, agli “abitanti”, alle loro storie, alle loro biografie, così spesso ignorate e rimosse dai fautori del libero mercato urbano, dalle politiche e dai piani urbanistici, sempre più focalizzate sul confronto tra pubblica amministrazione e promotori immobiliari. L’abitare, tuttavia, non si esaurisce neppure nella “vita” che attraversa la casa, nella relazione mutevole tra questo interno e i suoi abitanti, che spesso sovvertono ordinamenti tipologici, funzionali, sociali (ad esempio, nella cascina riabitata, nel loft, nell’edilizia popolare riscattata). Si abita pertanto non solo la casa, ma anche un vario insieme di spazi esterni prossimi all’abitazione, il cortile, la panchina sotto casa, la strada, e pure una pluralità di “spazi di vita” variamente ubicati e diffusi (il supermercato, il treno e la metropolitana dei movimenti ripetuti quotidiani, il marciapiede all’uscita della scuola dei figli, il grande parco metropolitano, la rete discontinua di luoghi condivisa da una comunità di pratiche sportive, culturali). Nell’esperienza dell’abitare si incontra così non solo lo spazio della casa, ma anche quella più ampio, aperto e relazionale del paesaggio. Un paesaggio intrecciato e impensabile fuori dall’esperienza del soggetto, ma irriducibile ad ogni semplificazione iper-soggettivistica, così tipica della contemporaneità, perché altresì legato sia alle relazioni interpersonali che emergono nello spazio pubblico, alla sua costitutiva dimensione di immagine ed esperienza intersoggettiva. Come sta cambiando il nostro modo di abitare? Alcune immagini, alcuni quadri, tratteggiano le trasformazioni in corso nel tentativo di raccontare la pluralità dei modi d’abitare. L’abitare come mestiere. Un tempo la casa era un dato, un sito naturale che ospitava la famiglia e il suo futuro, un elemento di stabilità legato ad un progetto ed al suo sviluppo; la casa era il segno esplicito di uno status, di una posizione sociale, raggiunta o mancata. Oggi non sono più così certe quelle variabili che rendevano vera quella equazione, o comunque non sono più sempre valide: lavoro, casa, famiglia, luogo. Il fatto più evidente è certamente il venire meno della linearità di alcune sequenze, quella che Richard Sennet definisce “la linearità del tempo delle nostre vite. Oggi questa linearità di sequenze sembra essere compromessa. E l’abitare si configura sempre più come un mestiere, un fare, esercizio di una radicale libertà che si muove tra un insieme di vincoli e di opportunità e risente dei diversi gradi di capacitazione degli individui. L’abitare tra interno ed esterno. Il secondo quadro sottolinea la rilevanza che lo spazio interno ha avuto storicamente nell’abitare lombardo e milanese, la successiva riduzione a puro bene di confort avvenuta nell’ultimo cinquantennio. Esso tuttavia osserva anche tracce di una recente parziale estroversione dell’abitare entro la quale assumono rilevanza il tema della mixitè degli spazi e delle attività, della natura dello spazio di prossimità, della possibile porosità e trascalarità degli spazi dell’abitare. Più in particolare si interroga sulla possibilità che la ricerca di specifici “paesaggi” dell’abitare ha di riscoprire la dimensione relazionale dell’abitare, del suo costruirsi nella relazione con gli altri, prossimi e lontani, e con gli spazi e gli oggetti che circondano la casa. L’abitare tra lavoro e rendita. Il terzo quadro si sofferma sul peso di alcune “forze” che strutturano il campo entro cui si muovono le pratiche dell’abitare. In particolare al centro della scena è il passaggio da un legame stretto tra la casa e il lavoro ad uno sempre più rilevante tra la casa e la rendita. In questo quadro la regione milanese appare sempre più povera di periferie porose complesse contrassegnate dalla presenza di fabbriche e sempre più ci appare come una grande fabbrica intenta a produrre nuove periferie, generalmente frammentate e invisibili, e forse anche per questo ai margini della politica.
Storie di case e di persone: l'abitare in forma di racconto
GRANATA, ELENA;LANZANI, ARTURO SERGIO
2006-01-01
Abstract
Spesso il racconto urbanistico assume le forme di una grande narrazione, entro la quale si muovono corruttori ed eroi, in un’alternanza di epiche battaglie, di sconfitte, di qualche rara vittoria. In altri casi la grande narrazione si focalizza sui processi di adeguamento della città e del territorio al nuovo ciclo economico e sociale, alle nuove condizioni generali della società e dell’economia; valuta le ragioni di eventuali resistenze al mutamento o le possibilità di politiche che favoriscano, accompagnino o accelerino questo adeguamento. Quasi sempre è un racconto con pochi attori - promotori, costruttori, politici, funzionari - analizzati nelle loro interazioni e con pochi oggetti - gli spazi e le architetture - che queste interazioni lasciano sul territorio. Il volume “Esperienze e paesaggi dell’abitare” propone, forse, un punto di vista inusuale. Esso pone al centro le pratiche dell’abitare e i paesaggi ordinari della regione urbana, entro un racconto dell’urbanistica, che “non cerca nella realtà ciò che è eccezionale”, i grandi interventi, gli eventi più sorprendenti, ma piuttosto “cerca di guardare in modo eccezionale la realtà” (Olmi): la quotidianità dell’abitare e i paesaggi ordinari. Al centro di questo racconto vi è, dunque, l’abitare. Un tema polisemico che può essere osservato da molte angolature, come insieme di pratiche, di abitudini, di tradizioni legate ad un gruppo sociale, come tema progettuale che coinvolge competenze tecniche, professionalità, o ancora come scenario di politiche urbane, sociali, economiche, che coinvolge direttamente l’azione di tecnici e amministratori locali. La ricerca vuole esplorare l’abitare nel suo significato più ampio che non si esaurisce nell’oggetto della casa, ma è una esperienza, un processo che ci riporta ai soggetti, agli “abitanti”, alle loro storie, alle loro biografie, così spesso ignorate e rimosse dai fautori del libero mercato urbano, dalle politiche e dai piani urbanistici, sempre più focalizzate sul confronto tra pubblica amministrazione e promotori immobiliari. L’abitare, tuttavia, non si esaurisce neppure nella “vita” che attraversa la casa, nella relazione mutevole tra questo interno e i suoi abitanti, che spesso sovvertono ordinamenti tipologici, funzionali, sociali (ad esempio, nella cascina riabitata, nel loft, nell’edilizia popolare riscattata). Si abita pertanto non solo la casa, ma anche un vario insieme di spazi esterni prossimi all’abitazione, il cortile, la panchina sotto casa, la strada, e pure una pluralità di “spazi di vita” variamente ubicati e diffusi (il supermercato, il treno e la metropolitana dei movimenti ripetuti quotidiani, il marciapiede all’uscita della scuola dei figli, il grande parco metropolitano, la rete discontinua di luoghi condivisa da una comunità di pratiche sportive, culturali). Nell’esperienza dell’abitare si incontra così non solo lo spazio della casa, ma anche quella più ampio, aperto e relazionale del paesaggio. Un paesaggio intrecciato e impensabile fuori dall’esperienza del soggetto, ma irriducibile ad ogni semplificazione iper-soggettivistica, così tipica della contemporaneità, perché altresì legato sia alle relazioni interpersonali che emergono nello spazio pubblico, alla sua costitutiva dimensione di immagine ed esperienza intersoggettiva. Come sta cambiando il nostro modo di abitare? Alcune immagini, alcuni quadri, tratteggiano le trasformazioni in corso nel tentativo di raccontare la pluralità dei modi d’abitare. L’abitare come mestiere. Un tempo la casa era un dato, un sito naturale che ospitava la famiglia e il suo futuro, un elemento di stabilità legato ad un progetto ed al suo sviluppo; la casa era il segno esplicito di uno status, di una posizione sociale, raggiunta o mancata. Oggi non sono più così certe quelle variabili che rendevano vera quella equazione, o comunque non sono più sempre valide: lavoro, casa, famiglia, luogo. Il fatto più evidente è certamente il venire meno della linearità di alcune sequenze, quella che Richard Sennet definisce “la linearità del tempo delle nostre vite. Oggi questa linearità di sequenze sembra essere compromessa. E l’abitare si configura sempre più come un mestiere, un fare, esercizio di una radicale libertà che si muove tra un insieme di vincoli e di opportunità e risente dei diversi gradi di capacitazione degli individui. L’abitare tra interno ed esterno. Il secondo quadro sottolinea la rilevanza che lo spazio interno ha avuto storicamente nell’abitare lombardo e milanese, la successiva riduzione a puro bene di confort avvenuta nell’ultimo cinquantennio. Esso tuttavia osserva anche tracce di una recente parziale estroversione dell’abitare entro la quale assumono rilevanza il tema della mixitè degli spazi e delle attività, della natura dello spazio di prossimità, della possibile porosità e trascalarità degli spazi dell’abitare. Più in particolare si interroga sulla possibilità che la ricerca di specifici “paesaggi” dell’abitare ha di riscoprire la dimensione relazionale dell’abitare, del suo costruirsi nella relazione con gli altri, prossimi e lontani, e con gli spazi e gli oggetti che circondano la casa. L’abitare tra lavoro e rendita. Il terzo quadro si sofferma sul peso di alcune “forze” che strutturano il campo entro cui si muovono le pratiche dell’abitare. In particolare al centro della scena è il passaggio da un legame stretto tra la casa e il lavoro ad uno sempre più rilevante tra la casa e la rendita. In questo quadro la regione milanese appare sempre più povera di periferie porose complesse contrassegnate dalla presenza di fabbriche e sempre più ci appare come una grande fabbrica intenta a produrre nuove periferie, generalmente frammentate e invisibili, e forse anche per questo ai margini della politica.File | Dimensione | Formato | |
---|---|---|---|
Esperienze e paesaggi dell'abitare.pdf
Accesso riservato
:
Post-Print (DRAFT o Author’s Accepted Manuscript-AAM)
Dimensione
1.51 MB
Formato
Adobe PDF
|
1.51 MB | Adobe PDF | Visualizza/Apri |
I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.