Anche nel settore navale si opera per mitigare gli impatti dei gas serra e ridurre quindi gli effetti dei cambiamenti climatici in atto: lo shipping nel suo complesso ha emesso 1.036 milioni di tonnellate di CO2 nel 2007, pari al 3,3% delle emissioni globali. Se si considera solo il trasporto marittimo in navigazione internazionale, escludendo cabotaggio e pesca, la stima è di 870 milioni di tonnellate, pari a circa il 2,7% delle emissioni globali di CO2. Il trasporto marittimo internazionale è l’unico settore, fra i principali consumatori di energia, ad essere rimasto escluso dalle misure di attuazione del protocollo di Kyoto, realizzate dall’Unione Europea e dai principali Paesi industrializzati (con l’eccezione degli USA che, come noto, non hanno ratificato il protocollo). Si può operare per aumentare l’efficienza energetica nel design della nave ma occorre rammentare come la gestione energetica di una flotta sia estremamente complessa, poiché richiede ingenti risorse e un approccio sistematico. Nel settore marittimo vi sono essenzialmente tre aree di consumo finale: l’energia meccanica necessaria per la propulsione, l’assorbimento di energia elettrica e il fabbisogno di energia termica o frigorigena. Mentre per le infrastrutture portuali si possono annoverare i sistemi di movimentazione dei TEU e l’accessibilità ai porti. I consumi primari di energia non dipendono solo dall’efficienza e della modalità di gestione delle flotte in rapporto ai carichi ma anche dalla gestione della velocità di navigazione in relazione alle attese ai terminal. E si può operare affinché questi impatti possano essere ridotti: il 90% di tutte le merci necessarie alla vita quotidiana ed alle attività industriali attraversano gli oceani e che, con circa 16 miliardi di euro/anno, il trasporto marittimo in Italia rappresenta oltre il 50% del contributo al PIL dell’intero comparto marittimo.
Portualità, logistica, sviluppo sostenibile
VILLANI, PAOLA MARIA CHIARA
2011-01-01
Abstract
Anche nel settore navale si opera per mitigare gli impatti dei gas serra e ridurre quindi gli effetti dei cambiamenti climatici in atto: lo shipping nel suo complesso ha emesso 1.036 milioni di tonnellate di CO2 nel 2007, pari al 3,3% delle emissioni globali. Se si considera solo il trasporto marittimo in navigazione internazionale, escludendo cabotaggio e pesca, la stima è di 870 milioni di tonnellate, pari a circa il 2,7% delle emissioni globali di CO2. Il trasporto marittimo internazionale è l’unico settore, fra i principali consumatori di energia, ad essere rimasto escluso dalle misure di attuazione del protocollo di Kyoto, realizzate dall’Unione Europea e dai principali Paesi industrializzati (con l’eccezione degli USA che, come noto, non hanno ratificato il protocollo). Si può operare per aumentare l’efficienza energetica nel design della nave ma occorre rammentare come la gestione energetica di una flotta sia estremamente complessa, poiché richiede ingenti risorse e un approccio sistematico. Nel settore marittimo vi sono essenzialmente tre aree di consumo finale: l’energia meccanica necessaria per la propulsione, l’assorbimento di energia elettrica e il fabbisogno di energia termica o frigorigena. Mentre per le infrastrutture portuali si possono annoverare i sistemi di movimentazione dei TEU e l’accessibilità ai porti. I consumi primari di energia non dipendono solo dall’efficienza e della modalità di gestione delle flotte in rapporto ai carichi ma anche dalla gestione della velocità di navigazione in relazione alle attese ai terminal. E si può operare affinché questi impatti possano essere ridotti: il 90% di tutte le merci necessarie alla vita quotidiana ed alle attività industriali attraversano gli oceani e che, con circa 16 miliardi di euro/anno, il trasporto marittimo in Italia rappresenta oltre il 50% del contributo al PIL dell’intero comparto marittimo.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.