La frequente condizione di insostenibilità del nostro sviluppo e la conseguente dimensione delle nostre città, ci suggeriscono la necessità di ritrovare un processo virtuoso che ristabilisca nuovi equilibri tra lo spazio costruito e la vita degli individui. Dobbiamo imparare un nuovo modo di abitare più sostenibile, che sappia agire nella civiltà contemporanea, nelle sue politiche e nei suoi spazi. Un abitare intelligente che eviti sprechi, che agisca negli spazi con flessibilità e saggezza, in modo non aggressivo o parassitario. E’ una nuova società che abita lo spazio in maniera più libera e aperta, una società più errante, capace di entrare indifferentemente negli spazi immateriali della rete, come negli spazi costruiti della città; capace di abitare in un modo non sedentario, itinerante e trasversale, che adotta un più ampio sistema di riferimenti. Parlo di una nuova forma di mobilità dell’abitare, che a differenza del nomadismo classico, si esprime in una generale movimentazione di masse di persone, come una sorta di migrazione continua che va dal turismo alla mobilità professionale, dalla circolazione dei prodotti alle immagini e alle informazioni. E’ il curioso effetto di un mondo in cui, teoricamente, stando fermi, si può fare qualunque cosa, ottenendo gli stessi risultati forniti dalla mobilità reale degli individui. La realtà a cui ci riferiamo è sempre più mobile, anche se curiosamente coincide ancora con l’impianto fisso delle nostre città. Lo spazio si frammenta e si espande in tutte le direzioni indifferentemente e il termine abitare non ha più un significato univoco. Possono essere abitati molti luoghi contemporaneamente e lo spazio abitato non è soltanto quello fisico, ma è anche quello immateriale, quello virtuale della rete, quello a cui accediamo in via provvisoria, come in una sorta di multitasking spaziale. Possiamo affermare che la condizione di dinamicità e flessibilità della società contemporanea si identifica in una classe di nuovi soggetti abitatori, che utilizzano in modo trasversale le architettura della città, modificandone spesso l’uso e adattandole a qualunque tipo di funzione voglia assegnargli il suo abitatore. Ne derivano spazi caratterizzati da un basso grado di identità, che trovano spesso la loro condizione salvifica in una nuova serie di manufatti e nel sistema diffuso degli oggetti e degli arredi mobili, intesi come sottosistemi ambientali, capaci di esercitare la loro influenza oltre i propri limiti. Così, la progettazione degli interni supera i confini della disciplina dell’arredamento per trasformarsi in un una sorta di nuovo sistema pianificatorio adatto al funzionamento complessivo della città.

Sottosistemi pianificatori per un abitare sostenibile

SALVADEO, PIERLUIGI
2010-01-01

Abstract

La frequente condizione di insostenibilità del nostro sviluppo e la conseguente dimensione delle nostre città, ci suggeriscono la necessità di ritrovare un processo virtuoso che ristabilisca nuovi equilibri tra lo spazio costruito e la vita degli individui. Dobbiamo imparare un nuovo modo di abitare più sostenibile, che sappia agire nella civiltà contemporanea, nelle sue politiche e nei suoi spazi. Un abitare intelligente che eviti sprechi, che agisca negli spazi con flessibilità e saggezza, in modo non aggressivo o parassitario. E’ una nuova società che abita lo spazio in maniera più libera e aperta, una società più errante, capace di entrare indifferentemente negli spazi immateriali della rete, come negli spazi costruiti della città; capace di abitare in un modo non sedentario, itinerante e trasversale, che adotta un più ampio sistema di riferimenti. Parlo di una nuova forma di mobilità dell’abitare, che a differenza del nomadismo classico, si esprime in una generale movimentazione di masse di persone, come una sorta di migrazione continua che va dal turismo alla mobilità professionale, dalla circolazione dei prodotti alle immagini e alle informazioni. E’ il curioso effetto di un mondo in cui, teoricamente, stando fermi, si può fare qualunque cosa, ottenendo gli stessi risultati forniti dalla mobilità reale degli individui. La realtà a cui ci riferiamo è sempre più mobile, anche se curiosamente coincide ancora con l’impianto fisso delle nostre città. Lo spazio si frammenta e si espande in tutte le direzioni indifferentemente e il termine abitare non ha più un significato univoco. Possono essere abitati molti luoghi contemporaneamente e lo spazio abitato non è soltanto quello fisico, ma è anche quello immateriale, quello virtuale della rete, quello a cui accediamo in via provvisoria, come in una sorta di multitasking spaziale. Possiamo affermare che la condizione di dinamicità e flessibilità della società contemporanea si identifica in una classe di nuovi soggetti abitatori, che utilizzano in modo trasversale le architettura della città, modificandone spesso l’uso e adattandole a qualunque tipo di funzione voglia assegnargli il suo abitatore. Ne derivano spazi caratterizzati da un basso grado di identità, che trovano spesso la loro condizione salvifica in una nuova serie di manufatti e nel sistema diffuso degli oggetti e degli arredi mobili, intesi come sottosistemi ambientali, capaci di esercitare la loro influenza oltre i propri limiti. Così, la progettazione degli interni supera i confini della disciplina dell’arredamento per trasformarsi in un una sorta di nuovo sistema pianificatorio adatto al funzionamento complessivo della città.
2010
Abitare il futuro...dopo Copenhagen - Inhabiting the future...after Copenhagen
9788884971630
abitare; futuro; città. pianificazione; interni
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