Negli ultimi quindici anni, sulla scia di studi e ricerche in ambito internazionale, i dibattiti italiani sulla programmazione di politiche culturali e sulle politiche urbane hanno approfonditamente discusso le ipotesi secondo cui la presenza di strutture, servizi, eventi e pratiche artistiche e culturali sia capace di indurre effetti territoriali positivi. La consistenza, rilevanza e diffusione geografica di arte e cultura in Italia ha indotto molti studiosi e policy maker a intendere beni e attività culturali come motori di sviluppo del territorio e rivitalizzazione urbana. Posizioni simili hanno certamente avuto il merito di incrementare l’attenzione e in qualche caso gli investimenti sia pubblici che privati nel settore, ma non sempre hanno dato luogo agli effetti territoriali e culturali attesi. Spesso rappresentazioni e retoriche semplificate hanno portato a giustificare interventi inefficaci, talvolta con obiettivi parziali e non pienamente condivisi. In questa fase sembra utile circoscrivere e discutere come l’intreccio tra forme d’arte contemporanea e trasformazioni urbane possano essere interpretate in modo semplicistico e potenzialmente rischioso, non solo per la collettività, ma anche per alcuni interessi parziali coinvolti. In particolare questo saggio si concentra su tre narrazioni: la retorica del “Bilbao effect” secondo cui l’architettura spettacolare, in particolare quella dei musei d’arte contemporanea, sia in grado di riattivare contesti urbani in declino; l’utilizzo della public art come garanzia di inclusione partecipativa della popolazione locale; la convinzione che la localizzazione di attività e comunità di artisti o appartenenti alla cosiddetta classe creativa sia in grado di innescare processi spontanei di rivitalizzazione urbana.
Forme d’arte contemporanea e trasformazioni urbane: tre temi critici
PONZINI, DAVIDE
2011-01-01
Abstract
Negli ultimi quindici anni, sulla scia di studi e ricerche in ambito internazionale, i dibattiti italiani sulla programmazione di politiche culturali e sulle politiche urbane hanno approfonditamente discusso le ipotesi secondo cui la presenza di strutture, servizi, eventi e pratiche artistiche e culturali sia capace di indurre effetti territoriali positivi. La consistenza, rilevanza e diffusione geografica di arte e cultura in Italia ha indotto molti studiosi e policy maker a intendere beni e attività culturali come motori di sviluppo del territorio e rivitalizzazione urbana. Posizioni simili hanno certamente avuto il merito di incrementare l’attenzione e in qualche caso gli investimenti sia pubblici che privati nel settore, ma non sempre hanno dato luogo agli effetti territoriali e culturali attesi. Spesso rappresentazioni e retoriche semplificate hanno portato a giustificare interventi inefficaci, talvolta con obiettivi parziali e non pienamente condivisi. In questa fase sembra utile circoscrivere e discutere come l’intreccio tra forme d’arte contemporanea e trasformazioni urbane possano essere interpretate in modo semplicistico e potenzialmente rischioso, non solo per la collettività, ma anche per alcuni interessi parziali coinvolti. In particolare questo saggio si concentra su tre narrazioni: la retorica del “Bilbao effect” secondo cui l’architettura spettacolare, in particolare quella dei musei d’arte contemporanea, sia in grado di riattivare contesti urbani in declino; l’utilizzo della public art come garanzia di inclusione partecipativa della popolazione locale; la convinzione che la localizzazione di attività e comunità di artisti o appartenenti alla cosiddetta classe creativa sia in grado di innescare processi spontanei di rivitalizzazione urbana.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.