Sono state numerose le riflessioni piovute da diversi versanti – disciplinari e non – sui destini del cosiddetto “Piano Casa” e sulla sua evoluzione, dall’emissione del Decreto Legge, nel Marzo 2009, fino all’inclusione di questo testo in una variegata e intricata normativa regionale, nei mesi a chiusura dell’anno appena trascorso. Il tratto comune a tutti questi interventi – che hanno definito un ampio spettro di posizioni sull’emendamento, da un’avversione serrata motivata da rischi ambientali, ad un debole apprezzamento con qualche riserva sui punti deboli, ad un entusiasmo moderato verso una nuova stagione di rinnovo urbano – è stato quello di immaginare un’attuazione lineare e col segno “+”, sempre additiva, della politica di incentivi, presupponendo – in questo senso ragionando come il legislatore – che nel Paese risiedessero i presupposti socioeconomici per un suo svolgimento in tal senso. L’ipotesi che queste note avanzano è che i territori cui il “Piano Casa” si rivolge implicitamente – l’urbanizzato a bassa densità presente un po’ ovunque nelle nostre valli e sulle nostre coste, costituito da piccoli tasselli residenziali e produttivi teoricamente espandibili – mostri da tempo sintomi di malessere e difficoltà, e che imponga qualche riflessione più profonda attorno al tema di una sua ipotetica crescita. Più precisamente, gli spazi dell’abitare e del lavorare sono oggi attraversati da dinamiche di sottoutilizzo e parziale svuotamento che impongono semmai una riflessione su di una loro urgente riorganizzazione interna, o su di un loro “riciclaggio” economicamente e socialmente sostenibile. In questa prospettiva, l’ultima parte dello scritto avanza alcune ipotesi progettuali, ragionando sul come uno strumento operativo – il Piano Casa in questione – calibrato sulle fasi espansive di uno scenario che oggi si dimostra in declino, possa trovare applicazione diventando un dispositivo utile alla suddivisione, alla riorganizzazione e alla risignificazione di spazi troppo abbondanti, oggi sempre meno utilizzati, e in attesa di un futuro.

Piano Casa. E se la domanda fosse quella di ridurre gli spazi?

LANZANI, ARTURO SERGIO;ZANFI, FEDERICO
2010-01-01

Abstract

Sono state numerose le riflessioni piovute da diversi versanti – disciplinari e non – sui destini del cosiddetto “Piano Casa” e sulla sua evoluzione, dall’emissione del Decreto Legge, nel Marzo 2009, fino all’inclusione di questo testo in una variegata e intricata normativa regionale, nei mesi a chiusura dell’anno appena trascorso. Il tratto comune a tutti questi interventi – che hanno definito un ampio spettro di posizioni sull’emendamento, da un’avversione serrata motivata da rischi ambientali, ad un debole apprezzamento con qualche riserva sui punti deboli, ad un entusiasmo moderato verso una nuova stagione di rinnovo urbano – è stato quello di immaginare un’attuazione lineare e col segno “+”, sempre additiva, della politica di incentivi, presupponendo – in questo senso ragionando come il legislatore – che nel Paese risiedessero i presupposti socioeconomici per un suo svolgimento in tal senso. L’ipotesi che queste note avanzano è che i territori cui il “Piano Casa” si rivolge implicitamente – l’urbanizzato a bassa densità presente un po’ ovunque nelle nostre valli e sulle nostre coste, costituito da piccoli tasselli residenziali e produttivi teoricamente espandibili – mostri da tempo sintomi di malessere e difficoltà, e che imponga qualche riflessione più profonda attorno al tema di una sua ipotetica crescita. Più precisamente, gli spazi dell’abitare e del lavorare sono oggi attraversati da dinamiche di sottoutilizzo e parziale svuotamento che impongono semmai una riflessione su di una loro urgente riorganizzazione interna, o su di un loro “riciclaggio” economicamente e socialmente sostenibile. In questa prospettiva, l’ultima parte dello scritto avanza alcune ipotesi progettuali, ragionando sul come uno strumento operativo – il Piano Casa in questione – calibrato sulle fasi espansive di uno scenario che oggi si dimostra in declino, possa trovare applicazione diventando un dispositivo utile alla suddivisione, alla riorganizzazione e alla risignificazione di spazi troppo abbondanti, oggi sempre meno utilizzati, e in attesa di un futuro.
2010
piano casa città diffusa dismissione sottoutilizzo
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