L'articolo esamina la fenomenologia dello spazio, la poetica della trasposizione concettuale e la topologia multidimensionale espresse nel Graduate Centre per la London Metropolitan University, progettato da Daniel Libeskind. Posto tra "zero" e "infinito", il Graduate Centre è un "dominio spirituale", un’area di presenze invisibili, in cui il significato dell'opera si costruisce nel "fluire delle cose" e nelle relative "aspirazioni"; il risultato morfologico è costretto alla "indicibilità", all'estraneità rispetto all'immaginario collettivo e alle manifestazioni intorno alla verità, e al senso del suo porsi. L'esperienza costruttiva, che oltrepassa le pareti e le superfici inclinate, è alternativa alle approssimazioni euclidee, soprattutto nella sperimentazione in un contesto "no-space", debole e indefinito, incompiuto e "marginale", dovuto a relazioni effimere tra molteplici episodi urbani. La composizione è definita da una molteplicità di direzioni, logica espressionista di coordinamento di linee di forza, di flussi e di "impulsi di energia" che oltrepassano gli allineamenti richiesti e attraversano l'area di nuova costruzione, delineando la forma e le sezioni volumetriche. Le superfici, con prospettive instabili, avvolgendo i volumi non producono "spessori", ma possiedono una loro tettonica e profondità che permette di ordinare la serie spaziale ininterrotta: qui la tecnologia non è la "sostanza" dell'architettura. Piuttosto, le chiusure verticali a setti inclinati in cemento e, soprattutto, il rivestimento in pannelli goffrati di acciaio inossidabile conciliano la strumentalità costruttiva con il desiderio, "non ragionevole", di determinare la corporeità che rompe, estende, frantuma, frattura e "piega" le superfici.

In-between, paradosso "sostenibile"

NASTRI, MASSIMILIANO
2006-01-01

Abstract

L'articolo esamina la fenomenologia dello spazio, la poetica della trasposizione concettuale e la topologia multidimensionale espresse nel Graduate Centre per la London Metropolitan University, progettato da Daniel Libeskind. Posto tra "zero" e "infinito", il Graduate Centre è un "dominio spirituale", un’area di presenze invisibili, in cui il significato dell'opera si costruisce nel "fluire delle cose" e nelle relative "aspirazioni"; il risultato morfologico è costretto alla "indicibilità", all'estraneità rispetto all'immaginario collettivo e alle manifestazioni intorno alla verità, e al senso del suo porsi. L'esperienza costruttiva, che oltrepassa le pareti e le superfici inclinate, è alternativa alle approssimazioni euclidee, soprattutto nella sperimentazione in un contesto "no-space", debole e indefinito, incompiuto e "marginale", dovuto a relazioni effimere tra molteplici episodi urbani. La composizione è definita da una molteplicità di direzioni, logica espressionista di coordinamento di linee di forza, di flussi e di "impulsi di energia" che oltrepassano gli allineamenti richiesti e attraversano l'area di nuova costruzione, delineando la forma e le sezioni volumetriche. Le superfici, con prospettive instabili, avvolgendo i volumi non producono "spessori", ma possiedono una loro tettonica e profondità che permette di ordinare la serie spaziale ininterrotta: qui la tecnologia non è la "sostanza" dell'architettura. Piuttosto, le chiusure verticali a setti inclinati in cemento e, soprattutto, il rivestimento in pannelli goffrati di acciaio inossidabile conciliano la strumentalità costruttiva con il desiderio, "non ragionevole", di determinare la corporeità che rompe, estende, frantuma, frattura e "piega" le superfici.
2006
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11311/567729
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