La riflessione parte dalle radici mitiche della nostra cultura e dei nostri paesaggi per entrare nella profondità dei luoghi, spazi dell’esperienza tattile del corpo e dei sensi e piattaforme della visibilità, aprendo l’orizzonte della scoperta. In questo procedere sta il significato della potenza dello sguardo e la funzione della luce, che per il mito è nello stesso tempo la dea e la vista. L’occhio scruta in profondità per rivelare le relazioni e le trame dell’accadere, cioè l’intreccio degli eventi caduti in un luogo, quindi i fatti avvenuti che lo hanno caratterizzato: eventi rappresentati a teatro con il mito e il suo eterno ritorno. Il teatro, con il suo orizzonte critico, è il punto privilegiato di osservazione per il suo stretto rapporto con il paesaggio, inclusivo. Non c’è paesaggio senza teatro. La lettura di Sofocle e della Poetica di Aristotele ci insegna che dal teatro si osserva la trama palese e nascosta di un paesaggio e la sua trasformazione verso il bene o il male. Il teatro offre le migliori condizioni possibili per un’esperienza dello sguardo: l’ingresso in un luogo per provare emozioni con la scoperta, favorite dalla buona visibilità dell’insieme. Questa leggibilità, di grande attualità, è studiata in funzione del processo. Vedere è conoscere e l’azione scenica porta alla conoscenza paesaggistica. Il nostro percorso attraversa due parti. La prima, Luce, tratta le origini mitiche dell’agire dell’uomo costruttore di luoghi dell’abitare, creatore di paesaggi: un racconto che giunge allo sguardo sulla città, oggi luogo di soggiorno della maggior parte della popolazione mondiale, dove matura l’interesse del filosofo. La seconda parte, Narrazione, si muove tra teoria e progetto. Tratta del paesaggismo come «sinfonia di una polifonia» che supera l’odierna polemica tra architettura e paesaggio, proponendo un percorso idoneo a un «paesaggista informato», che sappia leggere, quindi «entrare» nei luoghi. Conseguente è il tema della dimensione estetica e della qualità di un paesaggio come opera d’arte offerta allo sguardo e circoscrivibile nel suo orizzonte. Arriviamo quindi al processo di una pratica di sistemazione del visibile nella sua dimensione narrativa, comprensiva della costellazione degli elementi che costituiscono le trame di paesaggio: sono i concetti derivati dallo sguardo sul campo di un «filosofo paesaggista», che vorrebbe tradurre nella pratica le riflessioni teoriche di etica. Si apre un pensiero paesaggistico senza bordi che reclama un glossario dei termini usati a supporto dei concetti: antiche parole scaturite dall’abissale profondità dei luoghi, che portano una tensione costante che indica, semainei, mostra con un segno, ma non dice. Indica l’origine di un evento, la radice di un fatto accaduto, l’atto fondativo di un sito, che lo ha caratterizzato e continua a dargli l’impronta in un processo continuo di trasformazione con nuovi accadimenti, rappresentati a teatro attraverso la connessione dei miti. Forte è il legame che unisce, dunque, teatro, mito e paesaggio. Perché il mito? È l’indicazione originaria nella cui cornice si realizza di volta in volta l’esistenza umana riflessa in un paesaggio nei suoi diversi tempi, luoghi ed epoche storiche. È la premessa di ogni svelarsi della realtà come processo del mondo umano: un progetto nato da questa tensione costante creativa del costruire la dimora stabile nel movimento. Apre un gioco continuo tra evento e trasformazione, narrazione e racconto, uno stasimo: il canto sul posto accompagnato dalla danza dei corpi in un luogo, configurando il conflitto perenne tra ethos e nomos. La tensione raccoglie tutti i mezzi dell’espressione artistica nell’unità del mondo possibile: lo spettacolo colto dallo sguardo. Riconnettere i miti equivale a riconnettere i luoghi: un insegnamento per l’eternità, dal quale viene la proposta di cinque proposizioni per una pratica attuale di paesaggio: visibilità, temporalità, temporaneità, accessibilità, narrazione.

Percepire paesaggi. La potenza dello sguardo

VENTURI FERRIOLO, MASSIMO
2009-01-01

Abstract

La riflessione parte dalle radici mitiche della nostra cultura e dei nostri paesaggi per entrare nella profondità dei luoghi, spazi dell’esperienza tattile del corpo e dei sensi e piattaforme della visibilità, aprendo l’orizzonte della scoperta. In questo procedere sta il significato della potenza dello sguardo e la funzione della luce, che per il mito è nello stesso tempo la dea e la vista. L’occhio scruta in profondità per rivelare le relazioni e le trame dell’accadere, cioè l’intreccio degli eventi caduti in un luogo, quindi i fatti avvenuti che lo hanno caratterizzato: eventi rappresentati a teatro con il mito e il suo eterno ritorno. Il teatro, con il suo orizzonte critico, è il punto privilegiato di osservazione per il suo stretto rapporto con il paesaggio, inclusivo. Non c’è paesaggio senza teatro. La lettura di Sofocle e della Poetica di Aristotele ci insegna che dal teatro si osserva la trama palese e nascosta di un paesaggio e la sua trasformazione verso il bene o il male. Il teatro offre le migliori condizioni possibili per un’esperienza dello sguardo: l’ingresso in un luogo per provare emozioni con la scoperta, favorite dalla buona visibilità dell’insieme. Questa leggibilità, di grande attualità, è studiata in funzione del processo. Vedere è conoscere e l’azione scenica porta alla conoscenza paesaggistica. Il nostro percorso attraversa due parti. La prima, Luce, tratta le origini mitiche dell’agire dell’uomo costruttore di luoghi dell’abitare, creatore di paesaggi: un racconto che giunge allo sguardo sulla città, oggi luogo di soggiorno della maggior parte della popolazione mondiale, dove matura l’interesse del filosofo. La seconda parte, Narrazione, si muove tra teoria e progetto. Tratta del paesaggismo come «sinfonia di una polifonia» che supera l’odierna polemica tra architettura e paesaggio, proponendo un percorso idoneo a un «paesaggista informato», che sappia leggere, quindi «entrare» nei luoghi. Conseguente è il tema della dimensione estetica e della qualità di un paesaggio come opera d’arte offerta allo sguardo e circoscrivibile nel suo orizzonte. Arriviamo quindi al processo di una pratica di sistemazione del visibile nella sua dimensione narrativa, comprensiva della costellazione degli elementi che costituiscono le trame di paesaggio: sono i concetti derivati dallo sguardo sul campo di un «filosofo paesaggista», che vorrebbe tradurre nella pratica le riflessioni teoriche di etica. Si apre un pensiero paesaggistico senza bordi che reclama un glossario dei termini usati a supporto dei concetti: antiche parole scaturite dall’abissale profondità dei luoghi, che portano una tensione costante che indica, semainei, mostra con un segno, ma non dice. Indica l’origine di un evento, la radice di un fatto accaduto, l’atto fondativo di un sito, che lo ha caratterizzato e continua a dargli l’impronta in un processo continuo di trasformazione con nuovi accadimenti, rappresentati a teatro attraverso la connessione dei miti. Forte è il legame che unisce, dunque, teatro, mito e paesaggio. Perché il mito? È l’indicazione originaria nella cui cornice si realizza di volta in volta l’esistenza umana riflessa in un paesaggio nei suoi diversi tempi, luoghi ed epoche storiche. È la premessa di ogni svelarsi della realtà come processo del mondo umano: un progetto nato da questa tensione costante creativa del costruire la dimora stabile nel movimento. Apre un gioco continuo tra evento e trasformazione, narrazione e racconto, uno stasimo: il canto sul posto accompagnato dalla danza dei corpi in un luogo, configurando il conflitto perenne tra ethos e nomos. La tensione raccoglie tutti i mezzi dell’espressione artistica nell’unità del mondo possibile: lo spettacolo colto dallo sguardo. Riconnettere i miti equivale a riconnettere i luoghi: un insegnamento per l’eternità, dal quale viene la proposta di cinque proposizioni per una pratica attuale di paesaggio: visibilità, temporalità, temporaneità, accessibilità, narrazione.
2009
Bollati Boringhieri
9788833920078
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11311/560450
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