Quella di Giuseppe Samonà è una figura prepotente e complessa, ricca e per tanti versi sfuggente. Forse per questo, e per l’alone mitico che ha seguitato a circondarlo, ancor oggi non disponiamo di una ricostruzione storica adeguata e di un ritratto convincente. Il volume è il principale tentativo recente di procedere a questa ricostruzione con un’angolazione critica. Certo non si tratta solo di disegnare l’opera e la personalità in sé, ma di individuare il ruolo che Samonà ha avuto dentro quel quadro corale che è stata l’architettura italiana. Il saggio nasce da un lungo lavoro di ricerca. C’è un’ipotesi che si può in principio assumere, e che attribuisce centralità nella vicenda italiana alle figure di Rogers, Quaroni e Samonà, e in modo da loro diverso a Muratori. È una scelta controversa e non scontata, da altri non condivisa, ma che non s’appoggia solo al carisma personale. Contano le predilezioni, ma ancor più il privilegio accordato a un tipo di figura. Luciano Semerani sostiene che «ai tempi nostri i maestri erano intelligenti, maliziosi e colti. Intendo qui, con Rogers, Giuseppe Samonà. Non erano, nessuno dei due, grandissimi artigiani; più sapiens che faber ma soprattutto homines». Sapientes e homines sono stati pure pochi altri, rispetto a quelli che Semerani sul piano personale riconosce: coinvolti in un lavoro e in una dimensione intellettuale cui di solito sono estranei i bravi architetti, ma che ha consentito loro di svolgere un ruolo in un momento nodale dell’architettura e della storia italiana. La scelta decisiva è stata di riferirsi alla città: e di vederla nella sua densità di storia e di cultura. Non attraverso gli schemi e le procedure della tecnica urbanistica, ma come poderosa realtà architettonica e formale. È una scelta su cui Samonà fonda la scuola di Venezia. Venezia diventa la principale e più viva scuola italiana: ed è in senso proprio e per merito suo «scuola di parola». Il ruolo di Samonà come architetto è non coincidente, ma parallelo a quello di professore e direttore di un’istituzione. Grazie a lui, la città entra in modo prepotente nell’insegnamento e diviene base e riferimento del progetto. La questione dei centri storici esce dai suoi limiti convenzionali e conservativi e diviene terreno decisivo di ricerca. Il saggio considera sia l’opera dell’architetto, che il ruolo del professore, e cerca di ricollocarli in un quadro unitario. Analizza alcuni progetti e insieme i discorsi e i libri e ne scopre i nessi.
Giuseppe Samonà tra architettura e parola
VITALE, DANIELE
2006-01-01
Abstract
Quella di Giuseppe Samonà è una figura prepotente e complessa, ricca e per tanti versi sfuggente. Forse per questo, e per l’alone mitico che ha seguitato a circondarlo, ancor oggi non disponiamo di una ricostruzione storica adeguata e di un ritratto convincente. Il volume è il principale tentativo recente di procedere a questa ricostruzione con un’angolazione critica. Certo non si tratta solo di disegnare l’opera e la personalità in sé, ma di individuare il ruolo che Samonà ha avuto dentro quel quadro corale che è stata l’architettura italiana. Il saggio nasce da un lungo lavoro di ricerca. C’è un’ipotesi che si può in principio assumere, e che attribuisce centralità nella vicenda italiana alle figure di Rogers, Quaroni e Samonà, e in modo da loro diverso a Muratori. È una scelta controversa e non scontata, da altri non condivisa, ma che non s’appoggia solo al carisma personale. Contano le predilezioni, ma ancor più il privilegio accordato a un tipo di figura. Luciano Semerani sostiene che «ai tempi nostri i maestri erano intelligenti, maliziosi e colti. Intendo qui, con Rogers, Giuseppe Samonà. Non erano, nessuno dei due, grandissimi artigiani; più sapiens che faber ma soprattutto homines». Sapientes e homines sono stati pure pochi altri, rispetto a quelli che Semerani sul piano personale riconosce: coinvolti in un lavoro e in una dimensione intellettuale cui di solito sono estranei i bravi architetti, ma che ha consentito loro di svolgere un ruolo in un momento nodale dell’architettura e della storia italiana. La scelta decisiva è stata di riferirsi alla città: e di vederla nella sua densità di storia e di cultura. Non attraverso gli schemi e le procedure della tecnica urbanistica, ma come poderosa realtà architettonica e formale. È una scelta su cui Samonà fonda la scuola di Venezia. Venezia diventa la principale e più viva scuola italiana: ed è in senso proprio e per merito suo «scuola di parola». Il ruolo di Samonà come architetto è non coincidente, ma parallelo a quello di professore e direttore di un’istituzione. Grazie a lui, la città entra in modo prepotente nell’insegnamento e diviene base e riferimento del progetto. La questione dei centri storici esce dai suoi limiti convenzionali e conservativi e diviene terreno decisivo di ricerca. Il saggio considera sia l’opera dell’architetto, che il ruolo del professore, e cerca di ricollocarli in un quadro unitario. Analizza alcuni progetti e insieme i discorsi e i libri e ne scopre i nessi.File | Dimensione | Formato | |
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