Fin dall’inizio c’è stato per l’architettura di Ignazio Gardella un problema di identificazione. Già Pagano, che ne fu amico ed estimatore, aveva sentito il bisogno di articolare il giudizio intorno alle sue prime opere, che a un’impostazione chiaramente moderna affiancavano elementi espunti dall’estetica razionalista. Come il grigliato in mattoni del Dispensario antitubercolare di Alessandria, fonte all’epoca di numerose discussioni intorno al suo relativismo contrastante con lo spirito dell’avanguardia. Non è dunque un caso che Argan abbia dedicato a Gardella l’unica monografia da lui scritta su un architetto contemporaneo, per approfondire determinati aspetti non in linea con le principali correnti architettoniche del momento, quella del Bauhaus e quella di Le Corbusier. Con Gardella non si era in presenza di un’enunciazione stilistica definita (Gardella stesso riconosceva, al termine della sua vita, la mancanza di uno stile personale); si trattava piuttosto di una partecipazione incompleta al programma moderno, contrassegnata da un’adesione empirica alle diverse situazioni nelle quali l’architetto andava a operare. Era quindi necessario chiarire gli aspetti “piuttosto insoliti” della sua architettura. Argan sviluppò quindi un’importante riflessione sulla tecnica e sul metodo di Gardella, individuando i punti fermi del suo linguaggio nel fatto di non scaturire da considerazioni aprioristiche, ma di formarsi gradualmente all’interno del processo compositivo. Andando controcorrente, Gardella riteneva infatti che la forma rappresentasse uno dei requisiti da soddisfare al pari di tutti gli altri nel piano di lavoro progettuale. Vent’anni dopo il libro di Argan, Alberto Samonà riprendeva il discorso critico su Gardella, individuando nella sua condizione professionale la chiave di lettura che meglio ne definiva il ruolo all’interno di una stagione dell’architettura italiana ricca di risorse intellettuali. Per comprendere l’atteggiamento antidogmatico di Gardella bisogna tener conto anche della sua formazione di ingegnere, precedente quella di architetto. Più del dato autobiografico conta il fatto che in questo modo egli dimostrava di aver colto un aspetto non secondario dello spirito dell’avanguardia, quello che aveva portato Le Corbusier a esaltare la figura dell’ingegnere contro quella dell’architetto legato allo storicismo. Oltretutto, l’essere ingegnere consentiva a Gardella di liberarsi del mito della tecnica. Allo stesso modo, non subiva il fascino della macchina come rigeneratrice del mondo, anzi nutriva un certo scetticismo nei suoi confronti. Coltivava invece un sincero interesse per l’ambiente e la tradizione. Col passare del tempo Gardella recupera anche il rapporto con la storia, intesa in senso non accademico ma come logos, e ne fa il termine di riferimento ideale della sua ultima fase, dove troviamo un capolavoro senile come la Facoltà di Architettura di Genova. Molto è stato scritto su questi argomenti, meno invece su altri aspetti importanti, come il “carattere” dell’architettura gardelliana. Ogni edificio, diceva Gardella, deve possedere un carattere che lo rappresenti all’interno di un determinato luogo. Ma questo carattere non può essere precostituito, trattandosi di una variabile dipendente dalle condizioni che contornano il rapporto tra progettista e sito. Questa capacità di fissare in pochi tratti il carattere di un’architettura Gardella la ricavava da Mies van der Rohe, del quale riconosceva l’influenza dichiarandosi debitore del Padiglione di Barcellona nel riordino della Villa Borletti a Milano. Ma la peculiarità segreta dell’architettura di Gardella è la leggerezza, quella spiegata da Italo Calvino nelle Lezioni americane come “qualcosa che si crea nella scrittura, con i mezzi linguistici che sono quelli del poeta, indipendentemente dalla dottrina del filosofo che il poeta dichiara di voler seguire”. La leggerezza è in Gardella un dato calligrafico che procede di pari passo con la sensibilità per la qualità dei materiali (vetrocemento, clinker, mattone, intonaco rosa) e delle forme modellate sotto la luce (la facciata flessa della Casa per impiegati della Borsalino). Si tratta di un’istanza poetica che supera la questione dello stile per affermare con discrezione l’idea di un bello difficile e raffinato. La leggerezza pervade tutta l’opera di Gardella in modo ogni volta diverso. Nelle sue varie articolazioni si caratterizza come attributo dell’eleganza, un’altra componente tipica del modo di pensare di Gardella.

Ignazio Gardella architetto della leggerezza

BOIDI, SERGIO
2008-01-01

Abstract

Fin dall’inizio c’è stato per l’architettura di Ignazio Gardella un problema di identificazione. Già Pagano, che ne fu amico ed estimatore, aveva sentito il bisogno di articolare il giudizio intorno alle sue prime opere, che a un’impostazione chiaramente moderna affiancavano elementi espunti dall’estetica razionalista. Come il grigliato in mattoni del Dispensario antitubercolare di Alessandria, fonte all’epoca di numerose discussioni intorno al suo relativismo contrastante con lo spirito dell’avanguardia. Non è dunque un caso che Argan abbia dedicato a Gardella l’unica monografia da lui scritta su un architetto contemporaneo, per approfondire determinati aspetti non in linea con le principali correnti architettoniche del momento, quella del Bauhaus e quella di Le Corbusier. Con Gardella non si era in presenza di un’enunciazione stilistica definita (Gardella stesso riconosceva, al termine della sua vita, la mancanza di uno stile personale); si trattava piuttosto di una partecipazione incompleta al programma moderno, contrassegnata da un’adesione empirica alle diverse situazioni nelle quali l’architetto andava a operare. Era quindi necessario chiarire gli aspetti “piuttosto insoliti” della sua architettura. Argan sviluppò quindi un’importante riflessione sulla tecnica e sul metodo di Gardella, individuando i punti fermi del suo linguaggio nel fatto di non scaturire da considerazioni aprioristiche, ma di formarsi gradualmente all’interno del processo compositivo. Andando controcorrente, Gardella riteneva infatti che la forma rappresentasse uno dei requisiti da soddisfare al pari di tutti gli altri nel piano di lavoro progettuale. Vent’anni dopo il libro di Argan, Alberto Samonà riprendeva il discorso critico su Gardella, individuando nella sua condizione professionale la chiave di lettura che meglio ne definiva il ruolo all’interno di una stagione dell’architettura italiana ricca di risorse intellettuali. Per comprendere l’atteggiamento antidogmatico di Gardella bisogna tener conto anche della sua formazione di ingegnere, precedente quella di architetto. Più del dato autobiografico conta il fatto che in questo modo egli dimostrava di aver colto un aspetto non secondario dello spirito dell’avanguardia, quello che aveva portato Le Corbusier a esaltare la figura dell’ingegnere contro quella dell’architetto legato allo storicismo. Oltretutto, l’essere ingegnere consentiva a Gardella di liberarsi del mito della tecnica. Allo stesso modo, non subiva il fascino della macchina come rigeneratrice del mondo, anzi nutriva un certo scetticismo nei suoi confronti. Coltivava invece un sincero interesse per l’ambiente e la tradizione. Col passare del tempo Gardella recupera anche il rapporto con la storia, intesa in senso non accademico ma come logos, e ne fa il termine di riferimento ideale della sua ultima fase, dove troviamo un capolavoro senile come la Facoltà di Architettura di Genova. Molto è stato scritto su questi argomenti, meno invece su altri aspetti importanti, come il “carattere” dell’architettura gardelliana. Ogni edificio, diceva Gardella, deve possedere un carattere che lo rappresenti all’interno di un determinato luogo. Ma questo carattere non può essere precostituito, trattandosi di una variabile dipendente dalle condizioni che contornano il rapporto tra progettista e sito. Questa capacità di fissare in pochi tratti il carattere di un’architettura Gardella la ricavava da Mies van der Rohe, del quale riconosceva l’influenza dichiarandosi debitore del Padiglione di Barcellona nel riordino della Villa Borletti a Milano. Ma la peculiarità segreta dell’architettura di Gardella è la leggerezza, quella spiegata da Italo Calvino nelle Lezioni americane come “qualcosa che si crea nella scrittura, con i mezzi linguistici che sono quelli del poeta, indipendentemente dalla dottrina del filosofo che il poeta dichiara di voler seguire”. La leggerezza è in Gardella un dato calligrafico che procede di pari passo con la sensibilità per la qualità dei materiali (vetrocemento, clinker, mattone, intonaco rosa) e delle forme modellate sotto la luce (la facciata flessa della Casa per impiegati della Borsalino). Si tratta di un’istanza poetica che supera la questione dello stile per affermare con discrezione l’idea di un bello difficile e raffinato. La leggerezza pervade tutta l’opera di Gardella in modo ogni volta diverso. Nelle sue varie articolazioni si caratterizza come attributo dell’eleganza, un’altra componente tipica del modo di pensare di Gardella.
2008
1900-1996 I Gardella ad Alessandria
9788896139080
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