Nella storia della città europea l’idea di demolizione assume una notevole ampiezza di significati: a un estremo un desiderio di rimozione, all’altro l’accettazione di una riscrittura continua dei fatti urbani e dei processi di più nascosta metamorfosi. Fra questi estremi si situano molte altre forme e ragioni: la demolizione come risarcimento di un danno, come esorcizzazione di un’utopia fallita, come scelta economicamente indotta, come ripristino di uno stato originario, come cancellazione di un simbolo, come azione di messa in sicurezza e di tutela collettiva… Una pluralità di interventi che convivono attraversando periodi diversi e che incrociano dimensioni differenti, dalla pratica del progetto della città ai saperi tecnico-costruttivi, dalla sfera simbolica a quella delle politiche urbane. Si tratta di un tema articolato e complesso che, tuttavia, sembra essere confinato in un dibattito un po’ marginale e dai toni spesso emotivi, deformato dalle approssimazioni del linguaggio quotidiano. Considerata come una sorta di anomalia nei processi di modificazione urbana, solo di rado la demolizione assume lo statuto, al pari della costruzione e della conservazione, di un atto progettuale. Il saggio cerca di rivedere le molte semplificazioni e ambiguità che pesano sul tema, e di riconsiderare la questione entro la varietà di accezioni e di prospettive progettuali che la demolizione assume oggi. In questo senso la riflessione si articola su tre aspetti principali. Eccezionalità vs ordinarietà. Anzitutto ci si interroga sulla natura quasi esclusivamente eccezionale riservata alla demolizione, il suo essere scelta estrema e riparatoria. Spogliata in parte dall’enfasi assegnata a quella “rottura” che distinguerebbe nettamente un prima e un dopo, la demolizione potrebbe forse ritrovare anche un ruolo come azione “normale” e non definitiva, come tecnica del progetto urbano coerente con l’avvicendamento della città, con il suo farsi e disfarsi. Una accezione della demolizione come azione di “cura” che necessita di una revisione degli stessi criteri di giudizio della condizione esistente e un ripensamento della stessa idea di durata della architettura. Bellezza (e mostruosità) vs abitabilità. Intesa il più delle volte come risarcimento di un’offesa o di un danno, annullamento di un errore, la demolizione si delinea soprattutto come atto riparatorio. Tale concezione solleva questioni che hanno a che fare con la giustizia da un lato (il risarcimento, il ripristino della legalità, il recupero di un valore), e con la bellezza dall’altro (si demolisce il “mostro”). Nella fase attuale tuttavia la moltiplicazione dei linguaggi e delle posizioni fa sì che non sia più possibile legittimare la demolizione per questa via. Più che una imprecisata nozione di bellezza (o di mostruosità), è forse allora la nozione di abitabilità dello spazio a essere nuovamente posta al centro di un progetto di riqualificazione che adotta, tra le sue tecniche, la demolizione. Argomentata dalla ricerca del confort, la demolizione acquista un senso che non si basa su un’idea di cancellazione (tolgo il brutto, l’errore), ma piuttosto di aggiunta (immettere una abitabilità che si misura con le pratiche d’uso più attuali). Rimozione vs riconciliazione. Rischio e simbolo sono due termini ricorrenti nella letteratura sul tema; in molti casi la demolizione cerca le sue ragioni nella rimozione di un pericolo, nell’eliminazione di un rischio. Demolire diventa intervento per mettere in sicurezza, per tutelare la collettività. La percezione del rischio, al pari di altri aspetti, si carica così di quella dimensione simbolica che costituisce forse il più influente argomento a sostegno del demolire. Anche questi aspetti, però, si ridimensionano se il progetto agisce per sottrazione con lo scopo di riconfigurare e riassimilare l’esistente, se ridefinisce e circoscrive il proprio obiettivo in una prospettiva di riconciliazione, come modo per adeguare il vecchio e far posto al nuovo.

"La demolizione tra retoriche e tecniche del progetto urbano"

MERLINI, CHIARA
2008-01-01

Abstract

Nella storia della città europea l’idea di demolizione assume una notevole ampiezza di significati: a un estremo un desiderio di rimozione, all’altro l’accettazione di una riscrittura continua dei fatti urbani e dei processi di più nascosta metamorfosi. Fra questi estremi si situano molte altre forme e ragioni: la demolizione come risarcimento di un danno, come esorcizzazione di un’utopia fallita, come scelta economicamente indotta, come ripristino di uno stato originario, come cancellazione di un simbolo, come azione di messa in sicurezza e di tutela collettiva… Una pluralità di interventi che convivono attraversando periodi diversi e che incrociano dimensioni differenti, dalla pratica del progetto della città ai saperi tecnico-costruttivi, dalla sfera simbolica a quella delle politiche urbane. Si tratta di un tema articolato e complesso che, tuttavia, sembra essere confinato in un dibattito un po’ marginale e dai toni spesso emotivi, deformato dalle approssimazioni del linguaggio quotidiano. Considerata come una sorta di anomalia nei processi di modificazione urbana, solo di rado la demolizione assume lo statuto, al pari della costruzione e della conservazione, di un atto progettuale. Il saggio cerca di rivedere le molte semplificazioni e ambiguità che pesano sul tema, e di riconsiderare la questione entro la varietà di accezioni e di prospettive progettuali che la demolizione assume oggi. In questo senso la riflessione si articola su tre aspetti principali. Eccezionalità vs ordinarietà. Anzitutto ci si interroga sulla natura quasi esclusivamente eccezionale riservata alla demolizione, il suo essere scelta estrema e riparatoria. Spogliata in parte dall’enfasi assegnata a quella “rottura” che distinguerebbe nettamente un prima e un dopo, la demolizione potrebbe forse ritrovare anche un ruolo come azione “normale” e non definitiva, come tecnica del progetto urbano coerente con l’avvicendamento della città, con il suo farsi e disfarsi. Una accezione della demolizione come azione di “cura” che necessita di una revisione degli stessi criteri di giudizio della condizione esistente e un ripensamento della stessa idea di durata della architettura. Bellezza (e mostruosità) vs abitabilità. Intesa il più delle volte come risarcimento di un’offesa o di un danno, annullamento di un errore, la demolizione si delinea soprattutto come atto riparatorio. Tale concezione solleva questioni che hanno a che fare con la giustizia da un lato (il risarcimento, il ripristino della legalità, il recupero di un valore), e con la bellezza dall’altro (si demolisce il “mostro”). Nella fase attuale tuttavia la moltiplicazione dei linguaggi e delle posizioni fa sì che non sia più possibile legittimare la demolizione per questa via. Più che una imprecisata nozione di bellezza (o di mostruosità), è forse allora la nozione di abitabilità dello spazio a essere nuovamente posta al centro di un progetto di riqualificazione che adotta, tra le sue tecniche, la demolizione. Argomentata dalla ricerca del confort, la demolizione acquista un senso che non si basa su un’idea di cancellazione (tolgo il brutto, l’errore), ma piuttosto di aggiunta (immettere una abitabilità che si misura con le pratiche d’uso più attuali). Rimozione vs riconciliazione. Rischio e simbolo sono due termini ricorrenti nella letteratura sul tema; in molti casi la demolizione cerca le sue ragioni nella rimozione di un pericolo, nell’eliminazione di un rischio. Demolire diventa intervento per mettere in sicurezza, per tutelare la collettività. La percezione del rischio, al pari di altri aspetti, si carica così di quella dimensione simbolica che costituisce forse il più influente argomento a sostegno del demolire. Anche questi aspetti, però, si ridimensionano se il progetto agisce per sottrazione con lo scopo di riconfigurare e riassimilare l’esistente, se ridefinisce e circoscrive il proprio obiettivo in una prospettiva di riconciliazione, come modo per adeguare il vecchio e far posto al nuovo.
2008
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