Il tempo non si misura direttamente come avviene, ad esempio, per una lunghezza. L’intervallo di tempo fra due fenomeni che si succedono si può misurare per confronto con le variazioni le quali si sappia siano proporzionali al tempo. La rotazione della Terra attorno al proprio asse si manifesta a noi con la rotazione diurna delle stelle poste sulla sfera celeste con il loro moto apparente da Est verso Ovest, moto circolare che si compie con grande regolarità. Del resto già Aristotele aveva detto, nella sua Fisica “Il tempo sembra essere identico col moto della sfera celeste”. E’ dunque il Sole, stella primaria per la nostra vita, che ci fornisce anche la misura del tempo attraverso strumenti che chiamiamo orologi solari. Orologi solari egizi sono noti a partire dal Nuovo Regno (1540-1076), ma esistono prove della loro esistenza nel millennio precedente. Questi orologi traevano e traggono l’informazione oraria dall’ombra di uno stilo illuminato dal Sole, da cui anche la denominazione di “orologi ad ombra”, e funzionano, naturalmente, di giorno e col bel tempo. Ne esistono di due tipi: quelli in cui l’indicazione oraria è fornita dalla lunghezza dell’ombra e quelli in cui l’indicazione oraria è data dalla direzione dell’ombra. Per il primo, detto orologio a lunghezza d’ombra, ci si serviva in Egitto di apposite tabelle di lunghezza d’ombra in funzione di ora, giorno e mese, riportate su una sorta di regoli pentagonali lunghi un cubito (0,523m) e detti “cubiti sacri”. Per il secondo, detto orologio a direzione d’ombra, si aveva una serie di linee convergenti verso il punto dove sta lo stilo e queste linee distano fra loro di un angolo di 15°. Erano posti su pareti poste nella direzione prevalente Est-Ovest oppure sul piano orizzontale. L’esemplare più antico ritrovato risale al periodo di Merenptah (13° sec. a.C). Gli orologi solari vedono nei secoli successivi una grande diffusione nell’Impero Romano. Un orologio solare, con le sue linee orarie, si può considerare come uno strumento tipico per la misura del tempo, non 2 fondato su congegni meccanici o elettronici, ma sulla registrazione, per così dire, di un moto celeste ovvero legato a una grandezza di origine “naturale”, come del resto avverrà alla fine del 18° secolo per il metro, con la sua definizione di decimilionesima parte del meridiano terrestre. Di orologi solari veri e propri ne esistono di molti tipi, divisi in due grandi categorie: quelli portatili e quelli fissi. Ci si occupa qui di quelli fissi più diffusi e cioè quelli con giacitura del piano, su cui si osserva l’ombra dello stilo, orizzontale e verticale. Diffusi, ma assai meno, anche gli orologi equatoriali, cioè con giacitura del piano parallela all’equatore. La bibliografia sugli orologi solari è numerosissima. Fra i vari trattati è stato ritenuto particolarmente esaustivo quello di Enrico Garnier dal titolo “Gnomonica” (Hoepli, 1939) a cui si ispira, seguendone l’impostazione logica la presente nota, anche se nel pieno della propria autonomia. Sono trattati unicamente la teoria e la costruzione pratica degli orologi solari a quadrante verticale declinanti e non declinanti a stilo parallelo all’asse di rotazione terrestre e i quadranti orizzontale e verticale a stilo perpendicolare al piano. I casi qui trattati sia dal punto di vista teorico sia pratico non esauriscono le curiosità degli amanti degli orologi solari, perché la numerosità e varietà degli orologi solari, soprattutto portatili, è incredibile. Quindi nulla di nuovo, ma semplicemente una rielaborazione rigorosa e analitica di cose più o meno note, che possono ancora interessare gli appassionati di questi oggetti del passato, che ora hanno perso la loro funzione originale di orologio, ma ci comunicano se non altro attraverso una forma d'arte lor propria il rendiconto che la funzione aveva per gli uomini di un'altra epoca, e ancor oggi per la comunicazione intrinseca che offrono, sempre che venga percepita.

Gli orologi solari dall'antichità ad oggi: la sperimentazione empirica ed i principi scientifici

MONTI, CARLO
2008-01-01

Abstract

Il tempo non si misura direttamente come avviene, ad esempio, per una lunghezza. L’intervallo di tempo fra due fenomeni che si succedono si può misurare per confronto con le variazioni le quali si sappia siano proporzionali al tempo. La rotazione della Terra attorno al proprio asse si manifesta a noi con la rotazione diurna delle stelle poste sulla sfera celeste con il loro moto apparente da Est verso Ovest, moto circolare che si compie con grande regolarità. Del resto già Aristotele aveva detto, nella sua Fisica “Il tempo sembra essere identico col moto della sfera celeste”. E’ dunque il Sole, stella primaria per la nostra vita, che ci fornisce anche la misura del tempo attraverso strumenti che chiamiamo orologi solari. Orologi solari egizi sono noti a partire dal Nuovo Regno (1540-1076), ma esistono prove della loro esistenza nel millennio precedente. Questi orologi traevano e traggono l’informazione oraria dall’ombra di uno stilo illuminato dal Sole, da cui anche la denominazione di “orologi ad ombra”, e funzionano, naturalmente, di giorno e col bel tempo. Ne esistono di due tipi: quelli in cui l’indicazione oraria è fornita dalla lunghezza dell’ombra e quelli in cui l’indicazione oraria è data dalla direzione dell’ombra. Per il primo, detto orologio a lunghezza d’ombra, ci si serviva in Egitto di apposite tabelle di lunghezza d’ombra in funzione di ora, giorno e mese, riportate su una sorta di regoli pentagonali lunghi un cubito (0,523m) e detti “cubiti sacri”. Per il secondo, detto orologio a direzione d’ombra, si aveva una serie di linee convergenti verso il punto dove sta lo stilo e queste linee distano fra loro di un angolo di 15°. Erano posti su pareti poste nella direzione prevalente Est-Ovest oppure sul piano orizzontale. L’esemplare più antico ritrovato risale al periodo di Merenptah (13° sec. a.C). Gli orologi solari vedono nei secoli successivi una grande diffusione nell’Impero Romano. Un orologio solare, con le sue linee orarie, si può considerare come uno strumento tipico per la misura del tempo, non 2 fondato su congegni meccanici o elettronici, ma sulla registrazione, per così dire, di un moto celeste ovvero legato a una grandezza di origine “naturale”, come del resto avverrà alla fine del 18° secolo per il metro, con la sua definizione di decimilionesima parte del meridiano terrestre. Di orologi solari veri e propri ne esistono di molti tipi, divisi in due grandi categorie: quelli portatili e quelli fissi. Ci si occupa qui di quelli fissi più diffusi e cioè quelli con giacitura del piano, su cui si osserva l’ombra dello stilo, orizzontale e verticale. Diffusi, ma assai meno, anche gli orologi equatoriali, cioè con giacitura del piano parallela all’equatore. La bibliografia sugli orologi solari è numerosissima. Fra i vari trattati è stato ritenuto particolarmente esaustivo quello di Enrico Garnier dal titolo “Gnomonica” (Hoepli, 1939) a cui si ispira, seguendone l’impostazione logica la presente nota, anche se nel pieno della propria autonomia. Sono trattati unicamente la teoria e la costruzione pratica degli orologi solari a quadrante verticale declinanti e non declinanti a stilo parallelo all’asse di rotazione terrestre e i quadranti orizzontale e verticale a stilo perpendicolare al piano. I casi qui trattati sia dal punto di vista teorico sia pratico non esauriscono le curiosità degli amanti degli orologi solari, perché la numerosità e varietà degli orologi solari, soprattutto portatili, è incredibile. Quindi nulla di nuovo, ma semplicemente una rielaborazione rigorosa e analitica di cose più o meno note, che possono ancora interessare gli appassionati di questi oggetti del passato, che ora hanno perso la loro funzione originale di orologio, ma ci comunicano se non altro attraverso una forma d'arte lor propria il rendiconto che la funzione aveva per gli uomini di un'altra epoca, e ancor oggi per la comunicazione intrinseca che offrono, sempre che venga percepita.
2008
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