Lo scenario di oggi, mondializzato e globalizzato, sembra del tutto sproporzionato rispetto ai concetti e agli strumenti che sono stati messi a disposizione, come abbastanza certi e sicuri, nel percorso della formazione di un architetto. Il tentativo di cercare come adattarli e renderli incisivi, rispetto a uno sviluppo (e non necessariamente progresso) che appare ancora in tutto fluido, presuppone alcune riflessioni critiche. In questo scenario occorre rendere possibile e credibile una ricerca progettuale orientata alla conoscenza, all’approfondimento della città e della sua articolazione in architettura, nonché ai raggi di reciproca influenza lungo i quali il tempo ha scambiato culture, a partire dal Mediterraneo fino al Movimento Moderno. Occorre rendere possibile che da una conoscenza così orientata si possa ricavare una contestualità, una tipizzazione e una figurazione dell’architettura in grado di instaurare un confronto autorevole e credibile ai diversi livelli di domanda che oggi pone la società internazionale. Le note che seguono intendono proporsi dal punto di vista, per cosi dire, generazionale rispetto all’attuale divenire della composizione architettonica allorché presenta non poche incertezze e conseguentemente non pochi interrogativi. Si tratta di note stimolate dalle lezioni tenute da vari docenti al corso di Teorie e Tecniche della Progettazione Architettonica, a partire dalla costituzione nel 1998 della Facoltà di Architettura Civile del Politecnico di Milano Bovisa. Esse hanno riguardato soprattutto l’architettura del Movimento Moderno, criticamente affrontata tuttavia non con intento oggettivo e filologico, poiché non erano tenute da storici, ma con atteggiamento interpretativo e operativo, poiché tenute perloppiù da docenti che insegnavano e insegnano nei Laboratori di Progettazione. Nello svolgimento di tali lezioni è corsa quella definizione, formulata da Charles Baudelaire nel 1863, per cui la modernità è il transitorio, il fuggitivo, il contingente, di cui l’altra metà è l’eterno (C. Baudelaire, L’arte romantica. Curiosità estetiche. Opere postume, Bottega di Poesia, Milano 1923, p. 249). Se essa può dirsi valevole per l’arte in generale, appare particolarmente calzante per l’architettura, dacché questa, a differenza di altre arti, si propone di soddisfare anche pratiche attese presenti fin dalle origini dell’umanità. Caverna e foresta, riparo e trascendenza, capanna e tempio, sfera individuale-familiare e comunità costituiscono il dualismo sul quale l’architettura si sviluppa nel tempo, filtrando nel percorso e nel fine materiali della costruzione gli ideali ai quali si sono ispirate le altre arti. Gli argomenti delle lezioni riguardavano soprattutto le opere e gli architetti del Movimento Moderno. L'originalità critica è insita nel fatto che i docenti sembrava lo intendessero temporalmente compreso nella fase della sua radicalizzazione ideologica e formale, assumendone l’inizio là dove l’Espressionismo si estremizza nella Sachlichkeìt (Officine Fagus ad Alfeld, 1912, di Gropius) e la conclusione là dove corre l’incerto confine concettuale e formale del Postmodemo, trascurando (forse per uno scrupolo deontologico) di pronunciarsi, se non per allusioni indirette, sull’ultima fase di notorietà raggiunta dall’architettura dell’evento, in Italia contraddistinta dalla calata di autori stranieri per incarichi e opere, alla quale anche nostri architetti tentano di adeguarsi dando luogo alla sua riduzione in una sorta di “commedia all’italiana”. Se, per quanto riguarda il Movimento Moderno, pur senza alcuna pretesa ideologica, si è qui adottata la stessa parentesi d’inizio e conclusione, per quanto riguarda il periodo seguente ci si è spinti fino a comprendere alcuni atteggiamenti e risultanze formali che, appunto, oggi prevalgono con certo successo presso la critica e l’opinione pubblica e con le quali la generazione degli ultimi architetti del Novecento dovrà comunque confrontarsi. Queste note, pertanto, si dispongono come preoccupazioni per interrogativi ancora aperti e, se qui risposte si adombrano, esse si propongono non con la presunzione di offrire soluzioni ai problemi, ma soltanto per consegnarle all’arricchimento del dibattito. Si è riflettuto a lungo per trovare un possibile ordine alle numerose questioni in gioco, fin quando si è qui provato a raccoglierle, individualizzandole per maggior chiarezza, nel trinomio: luogo, tema, forma, pur sapendo che le tre categorie sono (e qui risulteranno) strettamente interconnesse e interdipendenti.

Sul rapporto tra luogo, tema e forma in architettura. Alcune note per un breviario generazionale di composizione

CANELLA, RICCARDO
2005-01-01

Abstract

Lo scenario di oggi, mondializzato e globalizzato, sembra del tutto sproporzionato rispetto ai concetti e agli strumenti che sono stati messi a disposizione, come abbastanza certi e sicuri, nel percorso della formazione di un architetto. Il tentativo di cercare come adattarli e renderli incisivi, rispetto a uno sviluppo (e non necessariamente progresso) che appare ancora in tutto fluido, presuppone alcune riflessioni critiche. In questo scenario occorre rendere possibile e credibile una ricerca progettuale orientata alla conoscenza, all’approfondimento della città e della sua articolazione in architettura, nonché ai raggi di reciproca influenza lungo i quali il tempo ha scambiato culture, a partire dal Mediterraneo fino al Movimento Moderno. Occorre rendere possibile che da una conoscenza così orientata si possa ricavare una contestualità, una tipizzazione e una figurazione dell’architettura in grado di instaurare un confronto autorevole e credibile ai diversi livelli di domanda che oggi pone la società internazionale. Le note che seguono intendono proporsi dal punto di vista, per cosi dire, generazionale rispetto all’attuale divenire della composizione architettonica allorché presenta non poche incertezze e conseguentemente non pochi interrogativi. Si tratta di note stimolate dalle lezioni tenute da vari docenti al corso di Teorie e Tecniche della Progettazione Architettonica, a partire dalla costituzione nel 1998 della Facoltà di Architettura Civile del Politecnico di Milano Bovisa. Esse hanno riguardato soprattutto l’architettura del Movimento Moderno, criticamente affrontata tuttavia non con intento oggettivo e filologico, poiché non erano tenute da storici, ma con atteggiamento interpretativo e operativo, poiché tenute perloppiù da docenti che insegnavano e insegnano nei Laboratori di Progettazione. Nello svolgimento di tali lezioni è corsa quella definizione, formulata da Charles Baudelaire nel 1863, per cui la modernità è il transitorio, il fuggitivo, il contingente, di cui l’altra metà è l’eterno (C. Baudelaire, L’arte romantica. Curiosità estetiche. Opere postume, Bottega di Poesia, Milano 1923, p. 249). Se essa può dirsi valevole per l’arte in generale, appare particolarmente calzante per l’architettura, dacché questa, a differenza di altre arti, si propone di soddisfare anche pratiche attese presenti fin dalle origini dell’umanità. Caverna e foresta, riparo e trascendenza, capanna e tempio, sfera individuale-familiare e comunità costituiscono il dualismo sul quale l’architettura si sviluppa nel tempo, filtrando nel percorso e nel fine materiali della costruzione gli ideali ai quali si sono ispirate le altre arti. Gli argomenti delle lezioni riguardavano soprattutto le opere e gli architetti del Movimento Moderno. L'originalità critica è insita nel fatto che i docenti sembrava lo intendessero temporalmente compreso nella fase della sua radicalizzazione ideologica e formale, assumendone l’inizio là dove l’Espressionismo si estremizza nella Sachlichkeìt (Officine Fagus ad Alfeld, 1912, di Gropius) e la conclusione là dove corre l’incerto confine concettuale e formale del Postmodemo, trascurando (forse per uno scrupolo deontologico) di pronunciarsi, se non per allusioni indirette, sull’ultima fase di notorietà raggiunta dall’architettura dell’evento, in Italia contraddistinta dalla calata di autori stranieri per incarichi e opere, alla quale anche nostri architetti tentano di adeguarsi dando luogo alla sua riduzione in una sorta di “commedia all’italiana”. Se, per quanto riguarda il Movimento Moderno, pur senza alcuna pretesa ideologica, si è qui adottata la stessa parentesi d’inizio e conclusione, per quanto riguarda il periodo seguente ci si è spinti fino a comprendere alcuni atteggiamenti e risultanze formali che, appunto, oggi prevalgono con certo successo presso la critica e l’opinione pubblica e con le quali la generazione degli ultimi architetti del Novecento dovrà comunque confrontarsi. Queste note, pertanto, si dispongono come preoccupazioni per interrogativi ancora aperti e, se qui risposte si adombrano, esse si propongono non con la presunzione di offrire soluzioni ai problemi, ma soltanto per consegnarle all’arricchimento del dibattito. Si è riflettuto a lungo per trovare un possibile ordine alle numerose questioni in gioco, fin quando si è qui provato a raccoglierle, individualizzandole per maggior chiarezza, nel trinomio: luogo, tema, forma, pur sapendo che le tre categorie sono (e qui risulteranno) strettamente interconnesse e interdipendenti.
2005
Clup
8870908321
File in questo prodotto:
File Dimensione Formato  
Sul rapporto tra luogo, tema e forma in architettura_Clup_2004.pdf

Accesso riservato

Descrizione: Testo
: Post-Print (DRAFT o Author’s Accepted Manuscript-AAM)
Dimensione 3.97 MB
Formato Adobe PDF
3.97 MB Adobe PDF   Visualizza/Apri

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11311/505497
Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact