Oggetto del libro è il progetto, realizzato solo parzialmente, di costituire una colonia d’artisti sull’Isola Comacina nei primi decenni del Novecento. L’isola era stata lasciata in eredità al re del Belgio Alberto I nel 1917 e da questi donata allo Stato italiano, con affidamento all’Accademia di Brera, nel 1920. La presenza tra gli intermediari belgi di Jules Destrée, avvocato progressista legato all’entourage di Henry Van de Velde, indirizza la prima ipotesi di destinazione verso la creazione di un “foyer d’art industriel”, mentre il direttore dell’accademia, Giovanni Beltrami, propende per un “focolare d’arte” destinato preferibilmente ai pittori. Al concorso del 1921 – dove si segnalano Giuseppe De Finetti, Mino Fiocchi, Giovanni Greppi, Alfredo Soressi e Aldo Zacchi – il progetto appare ormai svuotato degli ideali comunitari e degli aspetti più apertamente imprenditoriali che avevano sostanziato la proposta originaria, ma si consolida l’aspettativa di un insediamento estensivo ispirato alla tradizione dell’edilizia lariana. Le difficoltà organizzative e finanziarie – che impediscono la realizzazione delle proposte elaborate negli anni successivi da Jean Hendrickx, Gaetano Moretti, Federico Frigerio e Luigi Maria Caneva – trovano una parziale risoluzione solo nella seconda metà degli anni trenta, quando vengono realizzate tre villette per artista su disegno dell’architetto Pietro Lingeri. Un progetto che prende avvio dalla rielaborazione della Casa per le vacanze di un artista sul lago presentata da Giuseppe Terragni e dal Gruppo Como alla V Triennale del 1933, ma che accoglie l’invito ad una reinterpretazione in chiave razionalista di strutture e materiali tratti dalla tradizione costruttiva locale. La narrazione, costruita a partire da una vasta documentazione reperita in archivi belgi e italiani, si proietta su uno scenario allargato, che riconduce la vicenda dell’Isola Comacina al dibattito sulle arti applicate che vede impegnata la cultura architettonica europea nei primi decenni del Novecento. Tra l’eredità di Henry Van de Velde, il modello della colonia di Darmstadt e il ruolo giocato dalle Esposizioni Biennali e poi Triennali di Monza e Milano, l’Isola Comacina si configura infatti come un laboratorio della modernità, in anni in cui si vanno ridefinendo il ruolo dell’architetto e la sua formazione.

L’isola degli artisti. Un laboratorio del moderno sul lago di Como

D'AMIA, GIOVANNA
2005-01-01

Abstract

Oggetto del libro è il progetto, realizzato solo parzialmente, di costituire una colonia d’artisti sull’Isola Comacina nei primi decenni del Novecento. L’isola era stata lasciata in eredità al re del Belgio Alberto I nel 1917 e da questi donata allo Stato italiano, con affidamento all’Accademia di Brera, nel 1920. La presenza tra gli intermediari belgi di Jules Destrée, avvocato progressista legato all’entourage di Henry Van de Velde, indirizza la prima ipotesi di destinazione verso la creazione di un “foyer d’art industriel”, mentre il direttore dell’accademia, Giovanni Beltrami, propende per un “focolare d’arte” destinato preferibilmente ai pittori. Al concorso del 1921 – dove si segnalano Giuseppe De Finetti, Mino Fiocchi, Giovanni Greppi, Alfredo Soressi e Aldo Zacchi – il progetto appare ormai svuotato degli ideali comunitari e degli aspetti più apertamente imprenditoriali che avevano sostanziato la proposta originaria, ma si consolida l’aspettativa di un insediamento estensivo ispirato alla tradizione dell’edilizia lariana. Le difficoltà organizzative e finanziarie – che impediscono la realizzazione delle proposte elaborate negli anni successivi da Jean Hendrickx, Gaetano Moretti, Federico Frigerio e Luigi Maria Caneva – trovano una parziale risoluzione solo nella seconda metà degli anni trenta, quando vengono realizzate tre villette per artista su disegno dell’architetto Pietro Lingeri. Un progetto che prende avvio dalla rielaborazione della Casa per le vacanze di un artista sul lago presentata da Giuseppe Terragni e dal Gruppo Como alla V Triennale del 1933, ma che accoglie l’invito ad una reinterpretazione in chiave razionalista di strutture e materiali tratti dalla tradizione costruttiva locale. La narrazione, costruita a partire da una vasta documentazione reperita in archivi belgi e italiani, si proietta su uno scenario allargato, che riconduce la vicenda dell’Isola Comacina al dibattito sulle arti applicate che vede impegnata la cultura architettonica europea nei primi decenni del Novecento. Tra l’eredità di Henry Van de Velde, il modello della colonia di Darmstadt e il ruolo giocato dalle Esposizioni Biennali e poi Triennali di Monza e Milano, l’Isola Comacina si configura infatti come un laboratorio della modernità, in anni in cui si vanno ridefinendo il ruolo dell’architetto e la sua formazione.
2005
Mimesis
9788884833518
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