Il libro studia la ricerca portata avanti da Bernard Lassus per una pratica di sistemazione dei luoghi, fondata su una visibilità senza confini: una pratica che è nel contempo teoria. L’una dirige l’altra e viceversa, in un intreccio inscindibile. Ci induce a entrare nei luoghi per cogliere la presenza degli oggetti e delle loro relazioni che danno riconoscibilità a un paesaggio, differenziandolo da un altro. In questo modo possiamo afferrare la sua immagine univoca. I luoghi e i paesaggi non sono uguali né simili: ognuno ha il proprio carattere. L’utilizzazione generalizzata del termine «paesaggio» e la continua ricerca di una sua definizione si manifesta come la prova di una «difficoltà a cogliere le articolazioni e i legami tra gli oggetti». Paesaggio è quindi fondamentalmente un’ipotesi di sguardo sul nostro ambiente circostante e ricopre più il non visibile che il visibile; un gioco continuo fra visto e nascosto, tra reale e immaginario. Il gioco dell’immaginazione è il filo conduttore di una dèmarche particolare, uno strumento di lavoro finalizzato a svelare i paesaggi e non a definirli. Bernard Lassus mostra un’estetica nascosta e non conosciuta. La sua ricerca ha alle spalle l’opera di maestri sconosciuti, ignorati dalla «cultura ufficiale»: gli abitanti paesaggisti, ai quali ha dedicato un lungo e profondo studio per comprendere i meccanismi plastici di un’estetica popolare di paesaggio. Con abitanti paesaggisti, termine che ricorre continuamente nella sua riflessione teorico-pratica, Lassus definisce una categoria chiave di «paesaggisti» ai quali deve l’elaborazione di una pratica progettuale. Sono questi semplici residenti che modificano il loro pur assai ristretto ambiente di vita, la loro dimora. Insoddisfatti dello stato originario degli spazi a loro attribuiti dal costruttore, creano giardini-paesaggio in miniatura, a diverse scale, che accolgono il loro immaginario, ispirato spesso da un mondo sognato; un mondo di fiaba con la foresta e i frammenti di una natura scomparsa. Ogni loro creazione è caratterizzata dall’essere priva di utilità pratica. L’attività dell’abitante paesaggista ha svelato l’esistenza di un substrato originario, un suolo su cui la società, spesso tramite l’architetto, ha costruito un supporto sul quale l’individuo deposita un apporto: il contributo del suo vissuto. Questa distinzione chiarisce i tre livelli d’intervento paesaggistico e permette di formulare una pratica liberata dall’architettura. C’è un contributo che modifica una situazione oggettiva a supporto di una realtà originaria. La modifica può essere fatta in due modi differenti: integrando o diversificando, vale a dire aprendo all’eterogeneo. La démarche di Lassus è rivolta a un’arte della trasformazione. Non è progetto bensì processo come insieme dei movimenti interattivi di un luogo, senza arrestarlo né fissarlo, ma cogliendolo in cammino. Ecco il senso di un cammino che conduce a rivelare paesaggi. Il paesaggismo, arte della trasformazione, è movimento, cammino, non è una pratica fissa legata a principi teorici immutabili. È flessa. Questa è forse la lezione più chiara di Lassus. È incessante con strategie e soluzioni nuove per migliorare i luoghi di vita, sempre più globali e limitati.
Paesaggi rivelati. Passeggiare con Bernard Lassus
VENTURI FERRIOLO, MASSIMO
2006-01-01
Abstract
Il libro studia la ricerca portata avanti da Bernard Lassus per una pratica di sistemazione dei luoghi, fondata su una visibilità senza confini: una pratica che è nel contempo teoria. L’una dirige l’altra e viceversa, in un intreccio inscindibile. Ci induce a entrare nei luoghi per cogliere la presenza degli oggetti e delle loro relazioni che danno riconoscibilità a un paesaggio, differenziandolo da un altro. In questo modo possiamo afferrare la sua immagine univoca. I luoghi e i paesaggi non sono uguali né simili: ognuno ha il proprio carattere. L’utilizzazione generalizzata del termine «paesaggio» e la continua ricerca di una sua definizione si manifesta come la prova di una «difficoltà a cogliere le articolazioni e i legami tra gli oggetti». Paesaggio è quindi fondamentalmente un’ipotesi di sguardo sul nostro ambiente circostante e ricopre più il non visibile che il visibile; un gioco continuo fra visto e nascosto, tra reale e immaginario. Il gioco dell’immaginazione è il filo conduttore di una dèmarche particolare, uno strumento di lavoro finalizzato a svelare i paesaggi e non a definirli. Bernard Lassus mostra un’estetica nascosta e non conosciuta. La sua ricerca ha alle spalle l’opera di maestri sconosciuti, ignorati dalla «cultura ufficiale»: gli abitanti paesaggisti, ai quali ha dedicato un lungo e profondo studio per comprendere i meccanismi plastici di un’estetica popolare di paesaggio. Con abitanti paesaggisti, termine che ricorre continuamente nella sua riflessione teorico-pratica, Lassus definisce una categoria chiave di «paesaggisti» ai quali deve l’elaborazione di una pratica progettuale. Sono questi semplici residenti che modificano il loro pur assai ristretto ambiente di vita, la loro dimora. Insoddisfatti dello stato originario degli spazi a loro attribuiti dal costruttore, creano giardini-paesaggio in miniatura, a diverse scale, che accolgono il loro immaginario, ispirato spesso da un mondo sognato; un mondo di fiaba con la foresta e i frammenti di una natura scomparsa. Ogni loro creazione è caratterizzata dall’essere priva di utilità pratica. L’attività dell’abitante paesaggista ha svelato l’esistenza di un substrato originario, un suolo su cui la società, spesso tramite l’architetto, ha costruito un supporto sul quale l’individuo deposita un apporto: il contributo del suo vissuto. Questa distinzione chiarisce i tre livelli d’intervento paesaggistico e permette di formulare una pratica liberata dall’architettura. C’è un contributo che modifica una situazione oggettiva a supporto di una realtà originaria. La modifica può essere fatta in due modi differenti: integrando o diversificando, vale a dire aprendo all’eterogeneo. La démarche di Lassus è rivolta a un’arte della trasformazione. Non è progetto bensì processo come insieme dei movimenti interattivi di un luogo, senza arrestarlo né fissarlo, ma cogliendolo in cammino. Ecco il senso di un cammino che conduce a rivelare paesaggi. Il paesaggismo, arte della trasformazione, è movimento, cammino, non è una pratica fissa legata a principi teorici immutabili. È flessa. Questa è forse la lezione più chiara di Lassus. È incessante con strategie e soluzioni nuove per migliorare i luoghi di vita, sempre più globali e limitati.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.