Nel 1718 si vara, per lo Stato di Milano, l’importante riforma del catasto: è grazie ad esso che fu possibile verificare la rilevanza quantitativa dei beni posseduti dagli ordini religiosi nei territori dello Stato. Mentre le prime soppressioni avvennero in un’ottica di razionalizzazione dell’assetto delle proprietà conventuali, è con Giuseppe II che si avviè una più rigorosa politica di espropri allo scopo di ridurre il peso economico del clero regolare e di trasferire alla Stato competenze, in particolare nel campo dell’istruzione, dell’assistenza sociale, della pubblica amministrazione e dello sviluppo delle attività manifatturiere.. Gravata dall’obbligo di sostenere rilevanti spese militari, la Repubblica Cisalpina riprese la politica degli espropri acquisendo quanto ancora si era salvato all’interno del territorio dell’antico Stato di Milano e soprattutto l’ingente patrimonio degli ordini religiosi nei territori annessi. Secondo la legge, in essi avrebbero dovuto trovare sede prigioni, tribunali, Amministrazioni pubbliche, caserme, scuole, ospedali, ecc. Passati gli anni napoleonici, gran parte di complessi espropriati restò ad uso pubblico, segno dell’irreversibilità dei processi innescati nel ‘700 e portati a compimento dai governi post rivoluzionari:. Le dimensioni delle proprietà immobiliari coinvolte negli espropri sono di per sé impressionanti. Tuttavia ancor maggiore fu l’impatto che questa politica ebbe sull’assetto urbanistico delle nostre città e sulla politica dei servizi a supporto della nascente città borghese. Se si confrontano le mappe delle città italiane intorno alla metà del XVIII secolo con quelle di un secolo successivo, sembra che quasi nulla sia cambiato. Una lettura delle destinazioni degli edifici a soppressioni avvenute ci mostra invece una situazione completamente diversa: proprio in quegli anni le città italiane si dotano dell’intera armatura dei servizi collettivi che ne caratterizzeranno da quel momento l’assetto: scuole, ospedali, assistenza socio-sanitaria, tribunali, teatri pubblici, carceri ma anche insediamenti produttivi e, naturalmente, caserme e altre attrezzature militari. Si tratta di una eredità che ancora oggi caratterizza le nostre città, che solo negli anni post unitari verranno a definire una specifica architettura per questi nuovi servizi, precedentemente insediati proprio attraverso una intensa politica di riuso dell’esistente.

Alle origini della questione dei centri storici. Le soppressioni delle Corporazioni religiose tra assolutismo illuminato e riformismo borghese

BORIANI, MAURIZIO
2007-01-01

Abstract

Nel 1718 si vara, per lo Stato di Milano, l’importante riforma del catasto: è grazie ad esso che fu possibile verificare la rilevanza quantitativa dei beni posseduti dagli ordini religiosi nei territori dello Stato. Mentre le prime soppressioni avvennero in un’ottica di razionalizzazione dell’assetto delle proprietà conventuali, è con Giuseppe II che si avviè una più rigorosa politica di espropri allo scopo di ridurre il peso economico del clero regolare e di trasferire alla Stato competenze, in particolare nel campo dell’istruzione, dell’assistenza sociale, della pubblica amministrazione e dello sviluppo delle attività manifatturiere.. Gravata dall’obbligo di sostenere rilevanti spese militari, la Repubblica Cisalpina riprese la politica degli espropri acquisendo quanto ancora si era salvato all’interno del territorio dell’antico Stato di Milano e soprattutto l’ingente patrimonio degli ordini religiosi nei territori annessi. Secondo la legge, in essi avrebbero dovuto trovare sede prigioni, tribunali, Amministrazioni pubbliche, caserme, scuole, ospedali, ecc. Passati gli anni napoleonici, gran parte di complessi espropriati restò ad uso pubblico, segno dell’irreversibilità dei processi innescati nel ‘700 e portati a compimento dai governi post rivoluzionari:. Le dimensioni delle proprietà immobiliari coinvolte negli espropri sono di per sé impressionanti. Tuttavia ancor maggiore fu l’impatto che questa politica ebbe sull’assetto urbanistico delle nostre città e sulla politica dei servizi a supporto della nascente città borghese. Se si confrontano le mappe delle città italiane intorno alla metà del XVIII secolo con quelle di un secolo successivo, sembra che quasi nulla sia cambiato. Una lettura delle destinazioni degli edifici a soppressioni avvenute ci mostra invece una situazione completamente diversa: proprio in quegli anni le città italiane si dotano dell’intera armatura dei servizi collettivi che ne caratterizzeranno da quel momento l’assetto: scuole, ospedali, assistenza socio-sanitaria, tribunali, teatri pubblici, carceri ma anche insediamenti produttivi e, naturalmente, caserme e altre attrezzature militari. Si tratta di una eredità che ancora oggi caratterizza le nostre città, che solo negli anni post unitari verranno a definire una specifica architettura per questi nuovi servizi, precedentemente insediati proprio attraverso una intensa politica di riuso dell’esistente.
2007
Per una storia del restauro urbano. Piani, strumenti e progetti per i centri storici
9788825173086
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