La dorsale appenninica è la catena orografica più grande del Paese con un’estensione territoriale superiore all’Ungheria, al Portogallo o all’Austria. Nonostante la sua ingombrante presenza, per i più, rimane un rilievo minore, perennemente in bilico tra il «non-ancora Alpi» e la montagna di serie B. La bassa altitudine, le cime «arrotondate», la frammentazione in valli e altipiani, la relativa facilità d’accesso e i morbidi versanti boscosi l’allontanano dall’idea universale di montagna, tradizionalmente identificata nella cultura occidentale con la catena alpina. Ciò accade perché gli Appennini, prima di essere una regione geografica, sono luoghi della mente sui quali proiettiamo qualità e caratteristiche maturate all’interno della cultura collettiva. Se da una prospettiva realistica gli Appennini esistono indipendentemente dalla percezione umana, come rilievi orografici, tutt’altra storia è se li esaminassimo a partire dalla costruzione culturale che ne ha fatto la società, da chi li vive, li studia, li racconta e li progetta. L’appenninicità viene descritta attraverso una rete di narrazioni, distorsioni e reinvenzioni che, giocoforza, contribuiscono all’invenzione di una geografia dal duplice volto in cui la dimensione romantico-consumistica, tendenzialmente edulcorata e depurata da fratture e fragilità, convive con quella meno incoraggiante dell’internità, costruita sulle diseguaglianze e le minori opportunità che le popolazioni montane sperimentano rispetto a quelle cittadine. Questo libro offre una rilettura dell’ambiente appenninico, o meglio, un’indagine sul suo stato di montanità. Propone degli spunti concettuali per decostruire e ricostruire l’entità geografica alla luce della contemporaneità, affinché le venga riconosciuto quel diritto ad essere considerata montagna senza dover ricorrere necessariamente a un termine di paragone.

Montagne a bassa definizione. Gli Appennini tra crisi di identità e cambiamento

Federico Di Cosmo
2025-01-01

Abstract

La dorsale appenninica è la catena orografica più grande del Paese con un’estensione territoriale superiore all’Ungheria, al Portogallo o all’Austria. Nonostante la sua ingombrante presenza, per i più, rimane un rilievo minore, perennemente in bilico tra il «non-ancora Alpi» e la montagna di serie B. La bassa altitudine, le cime «arrotondate», la frammentazione in valli e altipiani, la relativa facilità d’accesso e i morbidi versanti boscosi l’allontanano dall’idea universale di montagna, tradizionalmente identificata nella cultura occidentale con la catena alpina. Ciò accade perché gli Appennini, prima di essere una regione geografica, sono luoghi della mente sui quali proiettiamo qualità e caratteristiche maturate all’interno della cultura collettiva. Se da una prospettiva realistica gli Appennini esistono indipendentemente dalla percezione umana, come rilievi orografici, tutt’altra storia è se li esaminassimo a partire dalla costruzione culturale che ne ha fatto la società, da chi li vive, li studia, li racconta e li progetta. L’appenninicità viene descritta attraverso una rete di narrazioni, distorsioni e reinvenzioni che, giocoforza, contribuiscono all’invenzione di una geografia dal duplice volto in cui la dimensione romantico-consumistica, tendenzialmente edulcorata e depurata da fratture e fragilità, convive con quella meno incoraggiante dell’internità, costruita sulle diseguaglianze e le minori opportunità che le popolazioni montane sperimentano rispetto a quelle cittadine. Questo libro offre una rilettura dell’ambiente appenninico, o meglio, un’indagine sul suo stato di montanità. Propone degli spunti concettuali per decostruire e ricostruire l’entità geografica alla luce della contemporaneità, affinché le venga riconosciuto quel diritto ad essere considerata montagna senza dover ricorrere necessariamente a un termine di paragone.
2025
Donzelli
978-88-5522-692-9
Appennini, Montagna, Rural studies
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