Barcellona e Milano, nonostante siano due città molto diverse per morfologia e storia urbana (oltre, ovviamente, alla diversa situazione sociopolitica tra il 1945 e il 1977), presentano in gran parte del Novecento caratteristiche tipologiche convergenti facilmente riconoscibili in molte opere architettoniche della modernità costruite a partire dai primi anni cinquanta. Si tratta in gran parte di corrispondenze linguistiche sottese da cause complesse e profonde derivanti non solo da un semplice scambio di idee tra professionisti ma da similarità nell’interpretare il mestiere dell’architetto in relazione ad una molteplicità di fattori identitari, fra cui il genius loci e le condizioni socio-economiche. Gli “operatori” cognitivi della ricerca che ha portato a questo libro sono stati le “differenze”, le “somiglianze” e il rapporto tra “continuità/discontinuità”. Le prime due hanno sollevato il sottotema dell'"identità" (intesa come la relazione che un ente mantiene con sé stesso, escludendo l'"altro"), una questione su cui si gioca la crisi della società contemporanea e che, in qualche modo, rinvia al concetto di “fragilità”. Nel caso di Barcellona e Milano, l'identità si manifesta in una relazione di complementarità costruita su un percorso in cui la capitale catalana ha guardato alla capitale lombarda come luogo di modernità, rinnovamento e libertà politica, mentre, a partire dalla fine degli anni Settanta, la direzione dello “sguardo” si invertì e gli architetti italiani iniziarono a cercare riferimenti nei progetti e nelle costruzioni della Catalogna e, più in generale, della Spagna e del Portogallo. Nel periodo temporale oggetto di studio, la “continuità” si è presenta sotto molteplici aspetti. Ad esempio, possiamo fare riferimento al metodo comune di progettazione, fondamentalmente empirico, che tendeva a collocare un determinato tema architettonico in un contesto fisico e culturale da cui estrarre riferimenti e con cui dialogare. Il punto nodale di questo metodo era legato alla fluidità tra le scale del progetto, una relazione più complessa della semplice progressione lineare tra oggetto, abitazione e città proposta dal razionalismo; si trattava di una complessità che esprimeva la ricerca sulla “continuità”" avviata da Ernesto Nathan Rogers a Milano e ripresa e sviluppata poco dopo da Oriol Bohigas a Barcellona. Gli insegnamenti di Rogers si affermarono e si diffusero nel contesto catalano con particolare forza grazie, soprattutto, al substrato culturale preparato dagli esponenti della seconda modernità (a volte organizzati, come nel caso del Gruppo R). Essi promossero il superamento della linea rigida del funzionalismo e del suo schematismo formale a favore di una volontà di sintesi più ampia capace di includere elementi eterogenei appartenenti anche alla tradizione locale. Dalla fine degli anni Cinquanta, Bohigas, grazie a Federico Correa, cominciò ad avvicinarsi a Rogers, entrando così in contatto con il quadro teorico della Scuola di Milano: i concetti di “continuità” e di “preesistenze ambientali” colpirono Bohigas, che li rielaborò attraverso in una serie di scritti in cui si riferiva alla “continuità dinamica” e al “realismo”; tali scritti ebbero un forte impatto in Spagna promuovendo un atteggiamento generale secondo il quale la progettazione e la pratica del costruire dovevano avere una relazione organica con i problemi del presente e una connessione diretta con la situazione economica e tecnica della Catalogna. Rispetto alle correnti nord-europee del Movimento Moderno, più focalizzate sull'architettura come oggetto tecnologico, il pensiero progettuale maturato a Milano e a Barcellona lavorò su una concezione più ampia, dove la realtà fisica veniva considerata qualcosa che doveva essere indagata attraverso le nozioni di struttura, relazione, forma, spazio e tempo al fine di raggiungere, mediante il progetto architettonico, la conoscenza di quella stessa realtà. Mentre la forma era considerata espressione di un particolare momento storico, la modernità si manifestava come contaminazione tra l'universale (ossia la storia) e i caratteri particolari del presente, legati alla specificità del progetto. Rogers teorizzò la presenza di strutture profonde alla base dell'identità, un concetto poi ripreso da Gregotti e destinato a ottenere una notevole fortuna critica a livello internazionale. Le preesistenze, comprese le tradizioni costruttive, vennero considerate come testimonianze della storia, e le forme dovevano esprimere il loro senso integrandole nel presente. La storia, quindi, doveva essere una condizione di fondo che dava significato al progetto architettonico, configurandosi come il motore delle trasformazioni che collegavano passato e futuro. Di fronte alla posizione dogmatica e neo-idealista, che tendeva a considerare l'arte come una disciplina priva di applicazioni pratiche e concrete, il progetto architettonico venne considerato una pratica sperimentale, antidogmatica e aperta. In questo libro, gli edifici costruiti a Milano e a Barcellona sono stati studiati alla luce di queste considerazioni, assumendo quindi un punto di vista orientato a sottolineare somiglianze, analogie e differenze. Si è osservato come la configurazioni planimetriche siano abbastanza diverse per ragioni legate alle dissimilarità del tessuto urbano, mentre invece sono facilmente riconoscibili assonanze e punti di contatto nelle scelte espressive dove si è condensato la tensione progettuale di molte opere. Anche a causa dell’impossibilità per gli architetti colti di trasformare la città per lo meno fino agli anni Novanta. Un altro intenso elemento di coesione tra Milano e Barcellona risiede nell’aver considerato l'architettura come rappresentazione del suo processo costruttivo per cui le determinazioni tecniche conferivano consistenza al corpo architettonico, coniugandosi con l'intenzionalità della forma. Fu così la tettonica a stabilire le regole di coerenza della sintassi: aspetti formali come le finestre a nastro, le griglie, le persiane, il mattone a vista, i pannelli prefabbricati, le discontinuità dei muri, la manipolazione dei volumi, non furono il risultato di un arbitrio personale, ma erano componenti sottoposti a regole fondate sulla coerenza tra costruzione ed espressione. Le ragioni del progetto si sono fondate su una distanza critica nell'affrontare il contesto e traducono questa distanza in architettura: temi compositivi che apparentemente riguardano solo l'ordinamento delle facciate, ad esempio, sono in realtà modi di considerare la città come il luogo dove l'unicità dell'edificio si esprime nel contesto urbano. Le forme architettoniche che emergono in questi anni a Milano e a Barcellona sono anche parte di un mondo nascosto ricco di connessioni interdisciplinari tra architettura, arte e filosofia. È evidente, ad esempio, l'influenza sulla Scuola di Milano dei movimenti filosofici vicini alla fenomenologia grazie alle relazioni di amicizia e insegnamento dei filosofi Antonio Banfi ed Enzo Paci con Ernesto Rogers e alla diffusione che quest'ultimo fece delle idee di quei filosofi nella rivista Casabella. Possiamo concludere che in entrambe le città la progettazione architettonica è riuscita a recuperare il dialogo con il contesto urbano, sia mediante la composizione degli alzati, sia mediante la relazione tra la costruzione e lo spazio collettivo, attivando una relazione con la dimensione della città che il Movimento Moderno degli anni Trenta aveva perso in gran parte, concentrandosi sull'astrazione dei volumi riferita alle avanguardie artistiche.

Barcelona/Milán: arquitecturas modernas en contacto. Del fascismo a la democracia

M. Lucchini;
2023-01-01

Abstract

Barcellona e Milano, nonostante siano due città molto diverse per morfologia e storia urbana (oltre, ovviamente, alla diversa situazione sociopolitica tra il 1945 e il 1977), presentano in gran parte del Novecento caratteristiche tipologiche convergenti facilmente riconoscibili in molte opere architettoniche della modernità costruite a partire dai primi anni cinquanta. Si tratta in gran parte di corrispondenze linguistiche sottese da cause complesse e profonde derivanti non solo da un semplice scambio di idee tra professionisti ma da similarità nell’interpretare il mestiere dell’architetto in relazione ad una molteplicità di fattori identitari, fra cui il genius loci e le condizioni socio-economiche. Gli “operatori” cognitivi della ricerca che ha portato a questo libro sono stati le “differenze”, le “somiglianze” e il rapporto tra “continuità/discontinuità”. Le prime due hanno sollevato il sottotema dell'"identità" (intesa come la relazione che un ente mantiene con sé stesso, escludendo l'"altro"), una questione su cui si gioca la crisi della società contemporanea e che, in qualche modo, rinvia al concetto di “fragilità”. Nel caso di Barcellona e Milano, l'identità si manifesta in una relazione di complementarità costruita su un percorso in cui la capitale catalana ha guardato alla capitale lombarda come luogo di modernità, rinnovamento e libertà politica, mentre, a partire dalla fine degli anni Settanta, la direzione dello “sguardo” si invertì e gli architetti italiani iniziarono a cercare riferimenti nei progetti e nelle costruzioni della Catalogna e, più in generale, della Spagna e del Portogallo. Nel periodo temporale oggetto di studio, la “continuità” si è presenta sotto molteplici aspetti. Ad esempio, possiamo fare riferimento al metodo comune di progettazione, fondamentalmente empirico, che tendeva a collocare un determinato tema architettonico in un contesto fisico e culturale da cui estrarre riferimenti e con cui dialogare. Il punto nodale di questo metodo era legato alla fluidità tra le scale del progetto, una relazione più complessa della semplice progressione lineare tra oggetto, abitazione e città proposta dal razionalismo; si trattava di una complessità che esprimeva la ricerca sulla “continuità”" avviata da Ernesto Nathan Rogers a Milano e ripresa e sviluppata poco dopo da Oriol Bohigas a Barcellona. Gli insegnamenti di Rogers si affermarono e si diffusero nel contesto catalano con particolare forza grazie, soprattutto, al substrato culturale preparato dagli esponenti della seconda modernità (a volte organizzati, come nel caso del Gruppo R). Essi promossero il superamento della linea rigida del funzionalismo e del suo schematismo formale a favore di una volontà di sintesi più ampia capace di includere elementi eterogenei appartenenti anche alla tradizione locale. Dalla fine degli anni Cinquanta, Bohigas, grazie a Federico Correa, cominciò ad avvicinarsi a Rogers, entrando così in contatto con il quadro teorico della Scuola di Milano: i concetti di “continuità” e di “preesistenze ambientali” colpirono Bohigas, che li rielaborò attraverso in una serie di scritti in cui si riferiva alla “continuità dinamica” e al “realismo”; tali scritti ebbero un forte impatto in Spagna promuovendo un atteggiamento generale secondo il quale la progettazione e la pratica del costruire dovevano avere una relazione organica con i problemi del presente e una connessione diretta con la situazione economica e tecnica della Catalogna. Rispetto alle correnti nord-europee del Movimento Moderno, più focalizzate sull'architettura come oggetto tecnologico, il pensiero progettuale maturato a Milano e a Barcellona lavorò su una concezione più ampia, dove la realtà fisica veniva considerata qualcosa che doveva essere indagata attraverso le nozioni di struttura, relazione, forma, spazio e tempo al fine di raggiungere, mediante il progetto architettonico, la conoscenza di quella stessa realtà. Mentre la forma era considerata espressione di un particolare momento storico, la modernità si manifestava come contaminazione tra l'universale (ossia la storia) e i caratteri particolari del presente, legati alla specificità del progetto. Rogers teorizzò la presenza di strutture profonde alla base dell'identità, un concetto poi ripreso da Gregotti e destinato a ottenere una notevole fortuna critica a livello internazionale. Le preesistenze, comprese le tradizioni costruttive, vennero considerate come testimonianze della storia, e le forme dovevano esprimere il loro senso integrandole nel presente. La storia, quindi, doveva essere una condizione di fondo che dava significato al progetto architettonico, configurandosi come il motore delle trasformazioni che collegavano passato e futuro. Di fronte alla posizione dogmatica e neo-idealista, che tendeva a considerare l'arte come una disciplina priva di applicazioni pratiche e concrete, il progetto architettonico venne considerato una pratica sperimentale, antidogmatica e aperta. In questo libro, gli edifici costruiti a Milano e a Barcellona sono stati studiati alla luce di queste considerazioni, assumendo quindi un punto di vista orientato a sottolineare somiglianze, analogie e differenze. Si è osservato come la configurazioni planimetriche siano abbastanza diverse per ragioni legate alle dissimilarità del tessuto urbano, mentre invece sono facilmente riconoscibili assonanze e punti di contatto nelle scelte espressive dove si è condensato la tensione progettuale di molte opere. Anche a causa dell’impossibilità per gli architetti colti di trasformare la città per lo meno fino agli anni Novanta. Un altro intenso elemento di coesione tra Milano e Barcellona risiede nell’aver considerato l'architettura come rappresentazione del suo processo costruttivo per cui le determinazioni tecniche conferivano consistenza al corpo architettonico, coniugandosi con l'intenzionalità della forma. Fu così la tettonica a stabilire le regole di coerenza della sintassi: aspetti formali come le finestre a nastro, le griglie, le persiane, il mattone a vista, i pannelli prefabbricati, le discontinuità dei muri, la manipolazione dei volumi, non furono il risultato di un arbitrio personale, ma erano componenti sottoposti a regole fondate sulla coerenza tra costruzione ed espressione. Le ragioni del progetto si sono fondate su una distanza critica nell'affrontare il contesto e traducono questa distanza in architettura: temi compositivi che apparentemente riguardano solo l'ordinamento delle facciate, ad esempio, sono in realtà modi di considerare la città come il luogo dove l'unicità dell'edificio si esprime nel contesto urbano. Le forme architettoniche che emergono in questi anni a Milano e a Barcellona sono anche parte di un mondo nascosto ricco di connessioni interdisciplinari tra architettura, arte e filosofia. È evidente, ad esempio, l'influenza sulla Scuola di Milano dei movimenti filosofici vicini alla fenomenologia grazie alle relazioni di amicizia e insegnamento dei filosofi Antonio Banfi ed Enzo Paci con Ernesto Rogers e alla diffusione che quest'ultimo fece delle idee di quei filosofi nella rivista Casabella. Possiamo concludere che in entrambe le città la progettazione architettonica è riuscita a recuperare il dialogo con il contesto urbano, sia mediante la composizione degli alzati, sia mediante la relazione tra la costruzione e lo spazio collettivo, attivando una relazione con la dimensione della città che il Movimento Moderno degli anni Trenta aveva perso in gran parte, concentrandosi sull'astrazione dei volumi riferita alle avanguardie artistiche.
2023
Publicaciones Universidad De Alicante
978-84-9717-813-6
Barcellona, Milano, Architettura Moderna, Progetto urbano, Storia architettura milanese, Progetto architettonico
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