The title of the book by Wolf Schneider, borrowed for this essay, tells us that the city is an inescapable creation of humankind: and that, as a result, the crisis of the city is never one of its institution, but of the principles on which its development is grounded. For some time now, there appear to be two fundamental issues to deal with: the unchecked sprawl of many agglomerations, responsible for driving the countryside out of urban centres, and the imbalances between the centre and the suburbs, the former replete with institutions and public places, the latter almost exclusively residential. It therefore behoves us to rethink, on the one hand, a development model no longer focused on excessive and unruly land grabbing, and on the other an architectural definition of the city parts, which has by now haphazardly inflated the urban confines. Opportunities for such experiments are afforded by the many spaces available for clearance or repurposing. One shared horizon would appear to be the polycentric city model: to be understood as a multifaceted territorial entity, a grouping of quite distinct centres unified thanks to public transport networks. In this proposition, the empty spaces of the countryside are a part of the city, and indeed become necessary elements to distinguish its various centres. The latter, in order to be clearly identified, must lay down their own principles of spatial organization, designate their public places, and the works of architecture of which they are composed. The city-archipelago of Venice well exemplifies this prospect. In the idea of a polycentric territorial city, the open spaces that distinguish its smaller centres are the countryside, parks, and other elements of nature. Within the urban continuum, the large voids generated by replacements are precious opportunities to redefine limits, public places, and principles to construct the parts. The theme of “green” has once again become topical in the guidelines contained in “Green Deal” documents, which steer the future of the city and European territories towards a desirable ecological transition, including more prudent urban development and transformation, land consumption, energy-saving and climate mitigation. However, in order to become elements that participate in the construction of the city, green spaces must be planned according to the different identities they can assume, must acquire meaning and well-defined forms. This is a time-worn theme, coming as it does from the elaborations of the physiocrats, passing via the studies of the Modern Movement; the problem then being posed with some urgency in other fields, but still having important repercussions on the role that the elements of nature can or must have in constructing the contemporary city. Parks and gardens can play a key role in the distinction of city parts, inserting themselves within unbroken urban extensions, restoring value and meaning to empty spaces, recovering unfinished or abandoned land, proposing new relationships between the architecture and open spaces. They can become elements to construct modern urban squares, well-defined and measured pieces of architecture, analogous in their sense but diverse in their principles of definition with respect to the squares of old cities. Even though, it is precisely in old cities that we can find some extraordinary examples of these. What is essential to imagine the form of the future city is the theme of housing estates, the quantitatively most substantial destination of cities and their suburbs, the latter generally devoid of urban qualities, i.e. of institutions and public places which can landmark them. It is therefore a pressing issue to define the principles in composing housing estates, in a quest for a vital relationship between the private home and the city’s public spaces: hence the redemption of the suburbs indispensably passes through the establishment of public and civic places which belong to the city as a whole. This condition is fundamental. The ability of a dwelling to define a public space has always existed in the city and in the relationship established between house and street. The question we must ask ourselves is whether this model, in the face of the change in the role of the street, remains valid and viable. Above all, whether it is equally so in new estates, in the parts outwith the consolidated nuclei, which increasingly offer themselves up to radical transformations, or if, instead, green spaces could be the new public places with which the houses relate. The importance and delicacy of this theme is particularly apparent if we consider that the fate of the contemporary city can only be decided in the suburbs of our cities, in those parts, that is, where the greatest transformations will take place and the most substantial changes will still be possible.

Il titolo del libro di Wolf Schneider, ripreso nel saggio, ci dice che la città è una creazione ineludibile degli uomini: la crisi della città, pertanto, non è mai crisi della sua istituzione, piuttosto dei principi su cui si fonda il suo sviluppo. Da tempo, due sembrano essere i nodi fondamentali da affrontare: lo sviluppo senza regole di molti agglomerati, responsabile della espulsione della campagna dai centri urbani, e lo squilibrio fra centro e periferia, il primo ricco di istituzioni e luoghi collettivi, il secondo destinato quasi esclusivamente alla residenza. Occorre perciò ripensare, da una parte, a un modello si sviluppo che non sia più rivolto a un consumo di suolo smodato e disordinato, dall’altra alla definizione architettonica delle parti della città, che ora ha esteso in modo informe i confini urbani. Le occasioni per alcune sperimentazioni sono offerte dai molti spazi che si rendono disponibili per dismissione o ricambio d’uso. Il modello della città policentrica sembra essere un orizzonte condiviso: questa è da intendersi come una entità territoriale articolata, un raggruppamento di poli distinti portati a unità grazie alla rete del trasporto pubblico. In questa ipotesi gli spazi vuoti della campagna sono parte della città, e anzi divengono elementi necessari alla distinzione dei poli. Questi, per essere chiaramente individuati, devono definire i propri principi di organizzazione spaziale, i luoghi collettivi, le architetture che li compongono. La città-arcipelago di Venezia chiarisce bene questa possibilità. Nell’idea di città policentrica territoriale gli spazi aperti che distinguono i poli sono campagna, parchi e altri elementi di natura. All’interno del continuo urbano, i grandi vuoti che si generano per sostituzione costituiscono occasioni preziose per ridefinire limiti, luoghi collettivi e principi di costruzione delle parti. Il tema del verde è tornato nuovamente attuale nelle indicazioni contenute nei documenti del “Green Deal”, che indirizzano il futuro della città e dei territori europei verso una auspicabile transizione ecologica, verso scelte di trasformazione urbana più attente al consumo di suolo, al risparmio energetico e alla mitigazione climatica. Ma gli spazi verdi, per divenire elementi che partecipano alla costruzione della città, devono essere declinati nelle diverse identità che possono assumere, devono acquistare significato e forme definite. È un tema antico, che arriva dalle elaborazioni dei fisiocratici, passando per gli studi del Movimento Moderno; come allora il problema viene posto con urgenza in altri campi, ma ha importanti ricadute sul ruolo che gli elementi di natura possono o devono avere nella costruzione della città contemporanea. Parchi e giardini possono assumere un ruolo importante nella distinzione delle parti, inserendosi all’interno di estensioni urbane ininterrotte, restituendo valore e significato a spazi vuoti, recuperando terreni incompiuti o dismessi, sperimentando nuove relazioni fra architetture e spazi aperti. Possono divenire elementi di costruzione di moderne piazze urbane, definite e misurate dalle architetture, analoghe nel senso ma diverse nei principi di definizione rispetto alle piazze delle città antiche. Anche se, proprio nelle città antiche, si trovano esempi straordinari in questo senso. Altrettanto essenziale per immaginare la forma delle parti della città futura è il tema degli insediamenti residenziali, la destinazione quantitativamente più consistente delle città e delle sue periferie, generalmente prive di qualità urbane, ovvero di istituzioni e di luoghi collettivi che le identifichino. È perciò questione urgente la definizione dei principi di composizione degli insediamenti per la residenza, alla ricerca di un rapporto vitale fra la casa privata e gli spazi pubblici della città: il riscatto delle periferie passa, imprescindibilmente, attraverso l’attestarsi di luoghi pubblici e civili che appartengano alla città nel suo complesso. Questa condizione è decisiva. La capacità dell’abitazione di definire lo spazio pubblico è sempre stata presente nella città europea nel rapporto che si istituiva fra casa e strada. La domanda che ci poniamo è se questo modello, a fronte del cambiamento del ruolo della strada, sia ancora valido e percorribile. Soprattutto, se lo sia anche nei nuovi insediamenti, nelle parti esterne ai nuclei consolidati, che sempre più spesso si offrono a radicali trasformazioni, o se, invece, possano essere gli spazi verdi i nuovi luoghi collettivi con cui si relazionano le case. L’importanza e la delicatezza di questo tema è particolarmente evidente se si pensa che il destino della città contemporanea non potrà che essere deciso nelle periferie delle nostre città, nelle parti, cioè, dove avverranno le maggiori trasformazioni e dove saranno possibili i cambiamenti più consistenti.

La città, destino degli uomini

Raffaella Neri
2023-01-01

Abstract

The title of the book by Wolf Schneider, borrowed for this essay, tells us that the city is an inescapable creation of humankind: and that, as a result, the crisis of the city is never one of its institution, but of the principles on which its development is grounded. For some time now, there appear to be two fundamental issues to deal with: the unchecked sprawl of many agglomerations, responsible for driving the countryside out of urban centres, and the imbalances between the centre and the suburbs, the former replete with institutions and public places, the latter almost exclusively residential. It therefore behoves us to rethink, on the one hand, a development model no longer focused on excessive and unruly land grabbing, and on the other an architectural definition of the city parts, which has by now haphazardly inflated the urban confines. Opportunities for such experiments are afforded by the many spaces available for clearance or repurposing. One shared horizon would appear to be the polycentric city model: to be understood as a multifaceted territorial entity, a grouping of quite distinct centres unified thanks to public transport networks. In this proposition, the empty spaces of the countryside are a part of the city, and indeed become necessary elements to distinguish its various centres. The latter, in order to be clearly identified, must lay down their own principles of spatial organization, designate their public places, and the works of architecture of which they are composed. The city-archipelago of Venice well exemplifies this prospect. In the idea of a polycentric territorial city, the open spaces that distinguish its smaller centres are the countryside, parks, and other elements of nature. Within the urban continuum, the large voids generated by replacements are precious opportunities to redefine limits, public places, and principles to construct the parts. The theme of “green” has once again become topical in the guidelines contained in “Green Deal” documents, which steer the future of the city and European territories towards a desirable ecological transition, including more prudent urban development and transformation, land consumption, energy-saving and climate mitigation. However, in order to become elements that participate in the construction of the city, green spaces must be planned according to the different identities they can assume, must acquire meaning and well-defined forms. This is a time-worn theme, coming as it does from the elaborations of the physiocrats, passing via the studies of the Modern Movement; the problem then being posed with some urgency in other fields, but still having important repercussions on the role that the elements of nature can or must have in constructing the contemporary city. Parks and gardens can play a key role in the distinction of city parts, inserting themselves within unbroken urban extensions, restoring value and meaning to empty spaces, recovering unfinished or abandoned land, proposing new relationships between the architecture and open spaces. They can become elements to construct modern urban squares, well-defined and measured pieces of architecture, analogous in their sense but diverse in their principles of definition with respect to the squares of old cities. Even though, it is precisely in old cities that we can find some extraordinary examples of these. What is essential to imagine the form of the future city is the theme of housing estates, the quantitatively most substantial destination of cities and their suburbs, the latter generally devoid of urban qualities, i.e. of institutions and public places which can landmark them. It is therefore a pressing issue to define the principles in composing housing estates, in a quest for a vital relationship between the private home and the city’s public spaces: hence the redemption of the suburbs indispensably passes through the establishment of public and civic places which belong to the city as a whole. This condition is fundamental. The ability of a dwelling to define a public space has always existed in the city and in the relationship established between house and street. The question we must ask ourselves is whether this model, in the face of the change in the role of the street, remains valid and viable. Above all, whether it is equally so in new estates, in the parts outwith the consolidated nuclei, which increasingly offer themselves up to radical transformations, or if, instead, green spaces could be the new public places with which the houses relate. The importance and delicacy of this theme is particularly apparent if we consider that the fate of the contemporary city can only be decided in the suburbs of our cities, in those parts, that is, where the greatest transformations will take place and the most substantial changes will still be possible.
2023
La maieutica della città. Contributi sul progetto urbano e architettonico
979-12-80723-13-0
Il titolo del libro di Wolf Schneider, ripreso nel saggio, ci dice che la città è una creazione ineludibile degli uomini: la crisi della città, pertanto, non è mai crisi della sua istituzione, piuttosto dei principi su cui si fonda il suo sviluppo. Da tempo, due sembrano essere i nodi fondamentali da affrontare: lo sviluppo senza regole di molti agglomerati, responsabile della espulsione della campagna dai centri urbani, e lo squilibrio fra centro e periferia, il primo ricco di istituzioni e luoghi collettivi, il secondo destinato quasi esclusivamente alla residenza. Occorre perciò ripensare, da una parte, a un modello si sviluppo che non sia più rivolto a un consumo di suolo smodato e disordinato, dall’altra alla definizione architettonica delle parti della città, che ora ha esteso in modo informe i confini urbani. Le occasioni per alcune sperimentazioni sono offerte dai molti spazi che si rendono disponibili per dismissione o ricambio d’uso. Il modello della città policentrica sembra essere un orizzonte condiviso: questa è da intendersi come una entità territoriale articolata, un raggruppamento di poli distinti portati a unità grazie alla rete del trasporto pubblico. In questa ipotesi gli spazi vuoti della campagna sono parte della città, e anzi divengono elementi necessari alla distinzione dei poli. Questi, per essere chiaramente individuati, devono definire i propri principi di organizzazione spaziale, i luoghi collettivi, le architetture che li compongono. La città-arcipelago di Venezia chiarisce bene questa possibilità. Nell’idea di città policentrica territoriale gli spazi aperti che distinguono i poli sono campagna, parchi e altri elementi di natura. All’interno del continuo urbano, i grandi vuoti che si generano per sostituzione costituiscono occasioni preziose per ridefinire limiti, luoghi collettivi e principi di costruzione delle parti. Il tema del verde è tornato nuovamente attuale nelle indicazioni contenute nei documenti del “Green Deal”, che indirizzano il futuro della città e dei territori europei verso una auspicabile transizione ecologica, verso scelte di trasformazione urbana più attente al consumo di suolo, al risparmio energetico e alla mitigazione climatica. Ma gli spazi verdi, per divenire elementi che partecipano alla costruzione della città, devono essere declinati nelle diverse identità che possono assumere, devono acquistare significato e forme definite. È un tema antico, che arriva dalle elaborazioni dei fisiocratici, passando per gli studi del Movimento Moderno; come allora il problema viene posto con urgenza in altri campi, ma ha importanti ricadute sul ruolo che gli elementi di natura possono o devono avere nella costruzione della città contemporanea. Parchi e giardini possono assumere un ruolo importante nella distinzione delle parti, inserendosi all’interno di estensioni urbane ininterrotte, restituendo valore e significato a spazi vuoti, recuperando terreni incompiuti o dismessi, sperimentando nuove relazioni fra architetture e spazi aperti. Possono divenire elementi di costruzione di moderne piazze urbane, definite e misurate dalle architetture, analoghe nel senso ma diverse nei principi di definizione rispetto alle piazze delle città antiche. Anche se, proprio nelle città antiche, si trovano esempi straordinari in questo senso. Altrettanto essenziale per immaginare la forma delle parti della città futura è il tema degli insediamenti residenziali, la destinazione quantitativamente più consistente delle città e delle sue periferie, generalmente prive di qualità urbane, ovvero di istituzioni e di luoghi collettivi che le identifichino. È perciò questione urgente la definizione dei principi di composizione degli insediamenti per la residenza, alla ricerca di un rapporto vitale fra la casa privata e gli spazi pubblici della città: il riscatto delle periferie passa, imprescindibilmente, attraverso l’attestarsi di luoghi pubblici e civili che appartengano alla città nel suo complesso. Questa condizione è decisiva. La capacità dell’abitazione di definire lo spazio pubblico è sempre stata presente nella città europea nel rapporto che si istituiva fra casa e strada. La domanda che ci poniamo è se questo modello, a fronte del cambiamento del ruolo della strada, sia ancora valido e percorribile. Soprattutto, se lo sia anche nei nuovi insediamenti, nelle parti esterne ai nuclei consolidati, che sempre più spesso si offrono a radicali trasformazioni, o se, invece, possano essere gli spazi verdi i nuovi luoghi collettivi con cui si relazionano le case. L’importanza e la delicatezza di questo tema è particolarmente evidente se si pensa che il destino della città contemporanea non potrà che essere deciso nelle periferie delle nostre città, nelle parti, cioè, dove avverranno le maggiori trasformazioni e dove saranno possibili i cambiamenti più consistenti.
città policentrica
verde
principi insediativi e compositivi
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11311/1231318
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