Il fenomeno del coworking (1), nato negli Stati Uniti attorno al 2010, ha visto una fase di grande espansione anche in Europa, dove un rapporto di Bnp Paribas Real Estate (2019) registra significative transazioni nel 2018 nel mercato dei coworking. Anche il nostro Paese, a partire dal 2015, ha accolto questo modello di ufficio. A Milano si concentrano i casi più rilevanti e innovativi nel panorama italiano (Zanzottera, 2020). Una recente indagine (FARB project) condotta presso il DAStU-Politecnico di Milano (Mariotti & Akhavan, 2019) conta più di 100 spazi di coworking nel capoluogo meneghino. Dal 2017 al 2018, Bnp stima una crescita del 300% di nuovi spazi di coworking a Milano (Zanzottera, 2020). Questa modalità di utilizzo dello spazio, orientata a favorire la creatività e la connessione tra attività complementari, sembra dare risposta a due aspetti che caratterizzano la domanda. Il primo riguarda la possibilità di utilizzo di spazio di lavoro a costi contenuti, sulla base del principio dello “spazio come servizio” (Zanzottera, 2020), vincente per una domanda di mercato che arriva da lavoratori free-lance o all’inizio della propria vita professionale (Andrioli, 2014). Il secondo aspetto riguarda l’espansione del terziario avanzato, settore dove la condivisione fisica dello spazio favorisce la contaminazione delle idee, ma soprattutto la trasformazione delle idee in prodotti/azioni, così come accadeva nelle botteghe del Rinascimento (Formica, 2016). Il coworking è stato registrato come un fenomeno tipicamente urbano (Swezey & Vertesi, 2019; Zhou, 2019), in grado di rivitalizzare quartieri e comunità (Mariotti, Pacchi, & Di Vita, 2017), di rigenerare un patrimonio costruito obsoleto e abbandonato – prevalentemente quello dei brown field e dei capannoni ex-industriali (Buczynski, 2013; McKight, 2016; Syrkett, 2017; Wang, 2017), nonché di dare nuova linfa vitale al settore del real estate (Cushman & Wakefield, 2018). Tuttavia, alla luce delle abitudini forzate innescate dalla recente pandemia di Coronavirus, che impone il distanziamento sociale e l’astinenza dagli incontri fisici, sembra difficile immaginare come questi spazi possano trovare senso di esistere. Pare oggi più che mai opportuno interrogarsi sul se e come, dopo questa emergenza sanitaria a scala mondiale, il coworking sopravviverà. In questo breve contributo, proviamo a dare una risposta a questa domanda.
Co.Co.Co: Continuare il Coworking con Covid-19?
Chiara Tagliaro;Gianandrea Ciaramella
2020-01-01
Abstract
Il fenomeno del coworking (1), nato negli Stati Uniti attorno al 2010, ha visto una fase di grande espansione anche in Europa, dove un rapporto di Bnp Paribas Real Estate (2019) registra significative transazioni nel 2018 nel mercato dei coworking. Anche il nostro Paese, a partire dal 2015, ha accolto questo modello di ufficio. A Milano si concentrano i casi più rilevanti e innovativi nel panorama italiano (Zanzottera, 2020). Una recente indagine (FARB project) condotta presso il DAStU-Politecnico di Milano (Mariotti & Akhavan, 2019) conta più di 100 spazi di coworking nel capoluogo meneghino. Dal 2017 al 2018, Bnp stima una crescita del 300% di nuovi spazi di coworking a Milano (Zanzottera, 2020). Questa modalità di utilizzo dello spazio, orientata a favorire la creatività e la connessione tra attività complementari, sembra dare risposta a due aspetti che caratterizzano la domanda. Il primo riguarda la possibilità di utilizzo di spazio di lavoro a costi contenuti, sulla base del principio dello “spazio come servizio” (Zanzottera, 2020), vincente per una domanda di mercato che arriva da lavoratori free-lance o all’inizio della propria vita professionale (Andrioli, 2014). Il secondo aspetto riguarda l’espansione del terziario avanzato, settore dove la condivisione fisica dello spazio favorisce la contaminazione delle idee, ma soprattutto la trasformazione delle idee in prodotti/azioni, così come accadeva nelle botteghe del Rinascimento (Formica, 2016). Il coworking è stato registrato come un fenomeno tipicamente urbano (Swezey & Vertesi, 2019; Zhou, 2019), in grado di rivitalizzare quartieri e comunità (Mariotti, Pacchi, & Di Vita, 2017), di rigenerare un patrimonio costruito obsoleto e abbandonato – prevalentemente quello dei brown field e dei capannoni ex-industriali (Buczynski, 2013; McKight, 2016; Syrkett, 2017; Wang, 2017), nonché di dare nuova linfa vitale al settore del real estate (Cushman & Wakefield, 2018). Tuttavia, alla luce delle abitudini forzate innescate dalla recente pandemia di Coronavirus, che impone il distanziamento sociale e l’astinenza dagli incontri fisici, sembra difficile immaginare come questi spazi possano trovare senso di esistere. Pare oggi più che mai opportuno interrogarsi sul se e come, dopo questa emergenza sanitaria a scala mondiale, il coworking sopravviverà. In questo breve contributo, proviamo a dare una risposta a questa domanda.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.