Il saggio volge uno sguardo ai progetti e alle realizzazioni, elaborati ed attuati in relazione allo sviluppo urbano di Mantova nel peculiare ed esclusivo rapporto che la città ha intessuto nei secoli con le acque del Mincio e del Po. All’indomani dell’Unità d’Italia, la progressiva meccanizzazione degli impianti di sollevamento e la migliorata efficienza nel passaggio dalla motricità a vapore a quella elettrica, passando per la termica, hanno liberato l’abitato dal bimillenario servaggio dettato da piene ed alluvioni, soggetta e vulnerabile com’era alle variazioni di livello del bacino gardesano e di quello padano. Lo studio, fondato sui materiali inediti degli archivi del Consorzio di Bonifica “Terre del Mincio” (già Territorio a Sud di Mantova) e dell’Archivio Storico Comunale di Mantova procede in ordine cronologico, a partire dalla precaria condizione igienica riscontrabile dopo gli allagamenti militari attuati in occasioni delle campagne risorgimentali (Mantova fu piazzaforte del Quadrilatero asburgico) e dal conseguente dibattito, innescato e stimolato (dal 1869 al 1873) grazie ai visionari progetti di deviazione del Mincio e prosciugamento di tre dei quattro laghi, proposti dal filosofo Roberto Ardigò. Fortemente osteggiate dalla classe tecnica locale, le idee del pensatore rimasero lettera morta, lasciando posto ai progetti comunali per il potenziamento della Difesa perimetrale (dal 1872), la costruzione delle chiuse del Rio al Ponte Arlotto (1883-86), di opportuni “tombini scaricatori” (1889, 1892), del muraglione di Sottoriva (1892-1902) (tutti lavori condotti dagli ingegneri municipali, Roberto Vallenari, Alessandro Perego, Pietro Salvadori, Sergio Portioli e Giuseppe Nicora) e della proposta meccanizzazione dello scarico di Paiolo Basso alla chiavica del Forte di Pietole (1890-91, ing. Alberto Capilupi). Il saggio prosegue con la cessione al Comune di Mantova (formalizzata allo scadere del XIX secolo) dei terreni militari, comprensivi di mura, fossati e spalti, che indusse l’autorità municipale al progressivo interramento (per ragioni igieniche) delle fosse (compresa la Magistrale a sud della città), protrattosi sino al secondo dopoguerra; l’operazione fu determinante per l’espansione della città verso sud. Particolare attenzione è stata riservata alla questione portuale e ai progetti per la navigazione interna dall’Adriatico, che fecero di Mantova il più importante porto fluviale italiano, in un’ottica di potenziale collegamento con il Garda, e, a mezzo dell’Idrovia padana, anche con il resto della pianura e delle aree urbane pedemontane, in particolare con le città di Cremona, Piacenza, Pizzighettone, Lodi, Pavia e Milano. Un progetto di amplissimo respiro che doveva, una volta ultimato, connettere l’Adriatico con la Pianura Padana, la Svizzera e il Trentino e costituire l’ossatura per l’innesto di derivazioni navigabili dirette ai laghi di Como, Iseo, Maggiore, nonché alle città di Ferrara, Verona, Bologna, Guastalla, Reggio Emilia, Brescia, Torino, Alessandria. Nell’articolata serie di proposte (che videro coinvolti i migliori ingegneri idraulici del tempo) prese corpo la sistemazione di Porto Catena (inserito in una rete ferroviaria e tramviaria collegante Mantova con Brescia, Asola, Ostiano e Ostiglia, Viadana, Castiglione d. Stiviere, Desenzano), con le proposte e le realizzazioni degli ingegneri Camillo Cantoni (banchina alta, 1906) e Caselli (banchina di san Nicolò, 1908). La ricostruzione delle principali tappe dell’articolato dibattito tecnico si rivela particolarmente utile alla comprensione degli esiti di un’occasione clamorosamente mancata per l’infrastrutturazione della città e più estesamente dell’Italia settentrionale, di una pagina dimenticata (ma fondamentale) della storia nazionale. Non secondaria nella modernizzazione della città di Mantova fu anche la soluzione dell’approvvigionamento di acqua potabile; scartato l’ambizioso progetto di acquedotto dell’ing. Enrico Carli di Verona, il problema fu inizialmente risolto con la perforazione di pozzi artesiani e l’allestimento di 53 fontane pubbliche (1892), molte delle quali punteggiano ancora oggi il centro abitato. Fu però solo nel 1907 che venne presentato dall’ing. Francesco Minorini di Milano il progetto per un moderno acquedotto pubblico, realizzato fra 1908 e 1912, sotto la direzione dell’ing. capo municipale Carlo Andreani. Gli anni Venti e Trenta del Novecento furono determinanti, anche in ragione dei progressi tecnici determinati dalla Grande Guerra, alla soluzione dei problemi di sicurezza idraulica della città, con i progetti per la meccanizzazione degli scoli del neocostituito Consorzio di Bonifica del Territorio a Sud di Mantova. Il saggio affronta il susseguirsi delle proposte e delle realizzazioni, comprendenti l’intera rete scolante dell’ex Serraglio mantovano, a partire da quanto suggerito dagli ingegneri Davide Alessandrini e Camillo Colorni (1915), per giungere a quanto realizzato da Giacomo Pedrelli e Carlo Togliani (1920-26), Carlo Arrivabene (1926-27) e Pietro Ploner (1927-31), con la chiavica delle Cinque Bocche per lo scolo naturale del canale Paiolo Alto e i quattro impianti idrovori di Travata, Pietole, Valsecchi e Arlotto, ancor oggi a servizio dei collettori della città (Rio e Fossa Magistrale) e del suo contado (Paiolo Basso, Fossato Gherardo, canali Fossetta, Fossegone e Bolognina). Proposte che dovettero integrarsi con quelle avanzate (dal 1910 al 1919) dalla commissione costituita dagli ingegneri Carlo Arrivabene e Luigi Villoresi per la sistemazione dei laghi periurbani (sottoposte alla supervisione della terna Cozza-Torri-Valentini) e con il progetto, a firma di Arrivabene e Olindo Bergamaschi, per il nuovo grande porto di Mantova al Migliaretto (1919). Quest’ultima ambiziosa intenzione rimase però solo una voce del Piano Regolatore di Massima del 1926 (il cosiddetto “Piano dei Borghi”), lasciando spazio alla proposta della Società Barcari (rappresentata dall’ing. Giulio Volpi Ghirardini) di spostare il porto sul Lago Superiore con conseguente progettazione di una conca di navigazione alla diga-ponte dei Mulini, nei progetti degli ingegneri Visentini (1920), Felice Rizzini (1922), Umberto Manetti (1929-31) e del Genio Civile (1932). Rimasta anch’essa sulla carta, fu sostituita dai più economici tunnel con nastri trasportatori suggeriti dall’ing. Gino Norsa. Approvato nel 1926 il progetto Arrivabene-Villoresi per la difesa idraulica e la sistemazione dei laghi, condotta a termine con Ploner la difesa idraulica cittadina (1931), fu la volta delle proposte di Togliani per la sistemazione dell’area industriale di Catena, san Nicolò e Gradaro (1933-34), il potenziamento della vecchia darsena di Catena (1935) e l’infrastrutturazione della sponda cittadina del Lago Inferiore, la cui esecuzione sarebbe dovuta avvenire nel decennio 1938-48; dell’ambizioso piano fu però realizzata solo la meccanizzazione della banchina di san Nicolò (1935). L’articolato ed intricato quadro di proposte e soluzioni doveva infatti essere compatibile con il progetto Arrivabene-Villoresi approvato solo nel 1926 e la più vasta sistemazione padana (comprensiva della Galleria Mori-Torbole, per scolmare l’Adige in Garda, e del Canale Mincio-Fissero-Tartaro-Canal Bianco-Po di Levante), quest’ultima formalizzata dall’ing. Luigi Miliani del Genio Civile nel 1938. Subito adattata e modificata dall’ing. Alfredo Masi con lo spostamento della navigazione dal Canale Diversivo ai laghi di Mantova e al Mincio (sino a Goito e da qui, con apposito canale in destra al fiume, sino a Salionze, dove già nel 1934 Ploner e Euclide Silvestri avevano progettato la Diga con manufatto regolatore). Le opere del piano Miliani-Masi furono avviate nel 1939, ma subito ritardate dallo scoppio della guerra e poi interrotte. Vennero completate informa incoerente e parziale solo nel dopoguerra, con le modifiche apportate dagli ingegneri Leo Fornasini e Luigi Masotto (manufatto regolatore e conca di navigazione alla Diga Masetti), Ugo Morselli e Ferrari (Diversivo di Mincio, Botte sifone, Fornice e Impianto Idrovoro di Formigosa, Scaricatore Vallazza-Diversivo), Alfredo Masi (Canale scaricatore di Mincio Pozzolo-Maglio). Lo studio consente di comprendere che, non tanto la complessità dei problemi infrastrutturali da risolvere, quanto soprattutto la brusca cesura della guerra, la scelta del trasporto su gomma e l’incoerente e parziale infrastrutturazione condotta nel secondo dopoguerra abbiano penalizzato irrimediabilmente lo sviluppo di una città che, in un cinquantennio di dibattito tecnico, aveva finalmente trovato soluzioni razionali a problemi millenari.
Mantova e le acque. La città allo specchio
C. Togliani
2019-01-01
Abstract
Il saggio volge uno sguardo ai progetti e alle realizzazioni, elaborati ed attuati in relazione allo sviluppo urbano di Mantova nel peculiare ed esclusivo rapporto che la città ha intessuto nei secoli con le acque del Mincio e del Po. All’indomani dell’Unità d’Italia, la progressiva meccanizzazione degli impianti di sollevamento e la migliorata efficienza nel passaggio dalla motricità a vapore a quella elettrica, passando per la termica, hanno liberato l’abitato dal bimillenario servaggio dettato da piene ed alluvioni, soggetta e vulnerabile com’era alle variazioni di livello del bacino gardesano e di quello padano. Lo studio, fondato sui materiali inediti degli archivi del Consorzio di Bonifica “Terre del Mincio” (già Territorio a Sud di Mantova) e dell’Archivio Storico Comunale di Mantova procede in ordine cronologico, a partire dalla precaria condizione igienica riscontrabile dopo gli allagamenti militari attuati in occasioni delle campagne risorgimentali (Mantova fu piazzaforte del Quadrilatero asburgico) e dal conseguente dibattito, innescato e stimolato (dal 1869 al 1873) grazie ai visionari progetti di deviazione del Mincio e prosciugamento di tre dei quattro laghi, proposti dal filosofo Roberto Ardigò. Fortemente osteggiate dalla classe tecnica locale, le idee del pensatore rimasero lettera morta, lasciando posto ai progetti comunali per il potenziamento della Difesa perimetrale (dal 1872), la costruzione delle chiuse del Rio al Ponte Arlotto (1883-86), di opportuni “tombini scaricatori” (1889, 1892), del muraglione di Sottoriva (1892-1902) (tutti lavori condotti dagli ingegneri municipali, Roberto Vallenari, Alessandro Perego, Pietro Salvadori, Sergio Portioli e Giuseppe Nicora) e della proposta meccanizzazione dello scarico di Paiolo Basso alla chiavica del Forte di Pietole (1890-91, ing. Alberto Capilupi). Il saggio prosegue con la cessione al Comune di Mantova (formalizzata allo scadere del XIX secolo) dei terreni militari, comprensivi di mura, fossati e spalti, che indusse l’autorità municipale al progressivo interramento (per ragioni igieniche) delle fosse (compresa la Magistrale a sud della città), protrattosi sino al secondo dopoguerra; l’operazione fu determinante per l’espansione della città verso sud. Particolare attenzione è stata riservata alla questione portuale e ai progetti per la navigazione interna dall’Adriatico, che fecero di Mantova il più importante porto fluviale italiano, in un’ottica di potenziale collegamento con il Garda, e, a mezzo dell’Idrovia padana, anche con il resto della pianura e delle aree urbane pedemontane, in particolare con le città di Cremona, Piacenza, Pizzighettone, Lodi, Pavia e Milano. Un progetto di amplissimo respiro che doveva, una volta ultimato, connettere l’Adriatico con la Pianura Padana, la Svizzera e il Trentino e costituire l’ossatura per l’innesto di derivazioni navigabili dirette ai laghi di Como, Iseo, Maggiore, nonché alle città di Ferrara, Verona, Bologna, Guastalla, Reggio Emilia, Brescia, Torino, Alessandria. Nell’articolata serie di proposte (che videro coinvolti i migliori ingegneri idraulici del tempo) prese corpo la sistemazione di Porto Catena (inserito in una rete ferroviaria e tramviaria collegante Mantova con Brescia, Asola, Ostiano e Ostiglia, Viadana, Castiglione d. Stiviere, Desenzano), con le proposte e le realizzazioni degli ingegneri Camillo Cantoni (banchina alta, 1906) e Caselli (banchina di san Nicolò, 1908). La ricostruzione delle principali tappe dell’articolato dibattito tecnico si rivela particolarmente utile alla comprensione degli esiti di un’occasione clamorosamente mancata per l’infrastrutturazione della città e più estesamente dell’Italia settentrionale, di una pagina dimenticata (ma fondamentale) della storia nazionale. Non secondaria nella modernizzazione della città di Mantova fu anche la soluzione dell’approvvigionamento di acqua potabile; scartato l’ambizioso progetto di acquedotto dell’ing. Enrico Carli di Verona, il problema fu inizialmente risolto con la perforazione di pozzi artesiani e l’allestimento di 53 fontane pubbliche (1892), molte delle quali punteggiano ancora oggi il centro abitato. Fu però solo nel 1907 che venne presentato dall’ing. Francesco Minorini di Milano il progetto per un moderno acquedotto pubblico, realizzato fra 1908 e 1912, sotto la direzione dell’ing. capo municipale Carlo Andreani. Gli anni Venti e Trenta del Novecento furono determinanti, anche in ragione dei progressi tecnici determinati dalla Grande Guerra, alla soluzione dei problemi di sicurezza idraulica della città, con i progetti per la meccanizzazione degli scoli del neocostituito Consorzio di Bonifica del Territorio a Sud di Mantova. Il saggio affronta il susseguirsi delle proposte e delle realizzazioni, comprendenti l’intera rete scolante dell’ex Serraglio mantovano, a partire da quanto suggerito dagli ingegneri Davide Alessandrini e Camillo Colorni (1915), per giungere a quanto realizzato da Giacomo Pedrelli e Carlo Togliani (1920-26), Carlo Arrivabene (1926-27) e Pietro Ploner (1927-31), con la chiavica delle Cinque Bocche per lo scolo naturale del canale Paiolo Alto e i quattro impianti idrovori di Travata, Pietole, Valsecchi e Arlotto, ancor oggi a servizio dei collettori della città (Rio e Fossa Magistrale) e del suo contado (Paiolo Basso, Fossato Gherardo, canali Fossetta, Fossegone e Bolognina). Proposte che dovettero integrarsi con quelle avanzate (dal 1910 al 1919) dalla commissione costituita dagli ingegneri Carlo Arrivabene e Luigi Villoresi per la sistemazione dei laghi periurbani (sottoposte alla supervisione della terna Cozza-Torri-Valentini) e con il progetto, a firma di Arrivabene e Olindo Bergamaschi, per il nuovo grande porto di Mantova al Migliaretto (1919). Quest’ultima ambiziosa intenzione rimase però solo una voce del Piano Regolatore di Massima del 1926 (il cosiddetto “Piano dei Borghi”), lasciando spazio alla proposta della Società Barcari (rappresentata dall’ing. Giulio Volpi Ghirardini) di spostare il porto sul Lago Superiore con conseguente progettazione di una conca di navigazione alla diga-ponte dei Mulini, nei progetti degli ingegneri Visentini (1920), Felice Rizzini (1922), Umberto Manetti (1929-31) e del Genio Civile (1932). Rimasta anch’essa sulla carta, fu sostituita dai più economici tunnel con nastri trasportatori suggeriti dall’ing. Gino Norsa. Approvato nel 1926 il progetto Arrivabene-Villoresi per la difesa idraulica e la sistemazione dei laghi, condotta a termine con Ploner la difesa idraulica cittadina (1931), fu la volta delle proposte di Togliani per la sistemazione dell’area industriale di Catena, san Nicolò e Gradaro (1933-34), il potenziamento della vecchia darsena di Catena (1935) e l’infrastrutturazione della sponda cittadina del Lago Inferiore, la cui esecuzione sarebbe dovuta avvenire nel decennio 1938-48; dell’ambizioso piano fu però realizzata solo la meccanizzazione della banchina di san Nicolò (1935). L’articolato ed intricato quadro di proposte e soluzioni doveva infatti essere compatibile con il progetto Arrivabene-Villoresi approvato solo nel 1926 e la più vasta sistemazione padana (comprensiva della Galleria Mori-Torbole, per scolmare l’Adige in Garda, e del Canale Mincio-Fissero-Tartaro-Canal Bianco-Po di Levante), quest’ultima formalizzata dall’ing. Luigi Miliani del Genio Civile nel 1938. Subito adattata e modificata dall’ing. Alfredo Masi con lo spostamento della navigazione dal Canale Diversivo ai laghi di Mantova e al Mincio (sino a Goito e da qui, con apposito canale in destra al fiume, sino a Salionze, dove già nel 1934 Ploner e Euclide Silvestri avevano progettato la Diga con manufatto regolatore). Le opere del piano Miliani-Masi furono avviate nel 1939, ma subito ritardate dallo scoppio della guerra e poi interrotte. Vennero completate informa incoerente e parziale solo nel dopoguerra, con le modifiche apportate dagli ingegneri Leo Fornasini e Luigi Masotto (manufatto regolatore e conca di navigazione alla Diga Masetti), Ugo Morselli e Ferrari (Diversivo di Mincio, Botte sifone, Fornice e Impianto Idrovoro di Formigosa, Scaricatore Vallazza-Diversivo), Alfredo Masi (Canale scaricatore di Mincio Pozzolo-Maglio). Lo studio consente di comprendere che, non tanto la complessità dei problemi infrastrutturali da risolvere, quanto soprattutto la brusca cesura della guerra, la scelta del trasporto su gomma e l’incoerente e parziale infrastrutturazione condotta nel secondo dopoguerra abbiano penalizzato irrimediabilmente lo sviluppo di una città che, in un cinquantennio di dibattito tecnico, aveva finalmente trovato soluzioni razionali a problemi millenari.File | Dimensione | Formato | |
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