Il cosiddetto "palazzo del popolo" di Buscoldo, eretto fra 1911 e 1913 dalla locale Cooperativa di lavoro e Consumo, costituisce, nel panorama delle case del popolo edificate nel Mantovano nei primi due decenni del XX secolo, un vero e proprio unicum per dimensione, modernità di impianto e visionaria prospettiva di sviluppo. Voluta da uno dei più ferventi ed osteggiati socialisti della provincia, il buscoldese Giuseppe Bertani, essa si configura come un imponente blocco a U di concezione assai moderna, per caratteri distributivi, dotazioni tecnologiche e lessico architettonico, quest'ultimo ispirato a moderni (per allora) canoni Liberty. La distruzione e/o dispersione dell’archivio della Cooperativa ha però determinato un vero e proprio “buco” storiografico, lasciando, ad oggi, del tutto anonimo l’ideatore del progetto architettonico. Il saggio, partendo dai pochi inediti documenti sopravvissuti (fortunosamente rintracciati), ripercorre, attraverso l’indagine biografica dei componenti del comitato tecnico all’atto della fondazione della Cooperativa nel 1891 (gli ingegneri Dante Sacchetti, Riccardo Cristofori, Roberto Vallenari, tutti di formazione politecnica, i primi due laureati a Torino, il terzo a Milano), il contesto socio-politico in cui l’edificio è stato concepito ed edificato. Ne è emersa una fitta rete di relazioni che consentono di ricondurre il complesso alle coeve esperienze della prima edilizia popolare di Mantova (nella fattispecie alle Case Popolari volute dal sindaco Cristofori ed erette, fra 1909 e 1912, sotto la direzione dell’ing. capo Carlo Andreani su progetto della commissione tecnica composta dall’arch. Ulisse Malanca e dall’ing. Alberto Cristofori) e alla Casa del Popolo di Castel d’Ario (con relative pertinenze) progettata e costruita sotto la direzione di Alberto Cristofori fra 1907 e 1911. L’attribuzione dell’edificio buscoldese ad un contesto dunque strettamente relato ai Cristofori, padre e figlio (Riccardo e Alberto), legato ad alcuni professionisti minori (come Malanca e il geom. Giuseppe Motta) alle maestranze impegnate nei lavori per la bonifica idraulica del comprensorio buscoldese o di Roncocorrente (condotta, su iniziale progetto di Vallenari, sotto la direzione dell’ing. Giovanni Scarpari), è accompagnata da una più precisa definizione della cronologia e dal riconoscimento delle funzioni originarie. Oltre alla sala teatrale, l’edificio disponeva di 45 locali, comprendenti uffici, caffè, sala di lettura, osteria, abitazioni, esercizi commerciali, magazzini, macelleria e giardino, la cui collocazione e distribuzione è stata ipotizzata e formalizzata in tavole planimetriche, realizzate componendo, ai vari piani, le inedite piante catastali del 1951, e sul rilievo dei prospetti, appositamente eseguiti in occasione del convegno dagli architetti Silvia Chiarini e Stefano Cremonesi. L’indagine storico architettonica è stata accompagnata dalla ricognizione della stampa socialista del tempo che, pur tacendo il nome del o dei progettisti, ha restituito un inedito quadro di contesto, assai meno idealistico di quanto non sia stato tramandato dalla storiografia, con l’opposizione e le contestazioni che un edificio tanto imponente ebbe a suscitare ai vertici più alti del Partito Socialista e, nella fattispecie, nell’on. Enrico Dugoni. Ciò sicuramente spiega, almeno in parte, il lungo silenzio calato sull’opera, silenzio aggravato dalla prematura e violenta morte di Bertani (1919), che non poté completare la grandiosa opera edilizia con la costruzione di scuole e alloggi per lavoratori anziani o inabili, come previsto nelle intenzioni originarie.
La Casa del Popolo di Buscoldo: un episodio emblematico nel panorama cooperativo mantovano
C. Togliani
2020-01-01
Abstract
Il cosiddetto "palazzo del popolo" di Buscoldo, eretto fra 1911 e 1913 dalla locale Cooperativa di lavoro e Consumo, costituisce, nel panorama delle case del popolo edificate nel Mantovano nei primi due decenni del XX secolo, un vero e proprio unicum per dimensione, modernità di impianto e visionaria prospettiva di sviluppo. Voluta da uno dei più ferventi ed osteggiati socialisti della provincia, il buscoldese Giuseppe Bertani, essa si configura come un imponente blocco a U di concezione assai moderna, per caratteri distributivi, dotazioni tecnologiche e lessico architettonico, quest'ultimo ispirato a moderni (per allora) canoni Liberty. La distruzione e/o dispersione dell’archivio della Cooperativa ha però determinato un vero e proprio “buco” storiografico, lasciando, ad oggi, del tutto anonimo l’ideatore del progetto architettonico. Il saggio, partendo dai pochi inediti documenti sopravvissuti (fortunosamente rintracciati), ripercorre, attraverso l’indagine biografica dei componenti del comitato tecnico all’atto della fondazione della Cooperativa nel 1891 (gli ingegneri Dante Sacchetti, Riccardo Cristofori, Roberto Vallenari, tutti di formazione politecnica, i primi due laureati a Torino, il terzo a Milano), il contesto socio-politico in cui l’edificio è stato concepito ed edificato. Ne è emersa una fitta rete di relazioni che consentono di ricondurre il complesso alle coeve esperienze della prima edilizia popolare di Mantova (nella fattispecie alle Case Popolari volute dal sindaco Cristofori ed erette, fra 1909 e 1912, sotto la direzione dell’ing. capo Carlo Andreani su progetto della commissione tecnica composta dall’arch. Ulisse Malanca e dall’ing. Alberto Cristofori) e alla Casa del Popolo di Castel d’Ario (con relative pertinenze) progettata e costruita sotto la direzione di Alberto Cristofori fra 1907 e 1911. L’attribuzione dell’edificio buscoldese ad un contesto dunque strettamente relato ai Cristofori, padre e figlio (Riccardo e Alberto), legato ad alcuni professionisti minori (come Malanca e il geom. Giuseppe Motta) alle maestranze impegnate nei lavori per la bonifica idraulica del comprensorio buscoldese o di Roncocorrente (condotta, su iniziale progetto di Vallenari, sotto la direzione dell’ing. Giovanni Scarpari), è accompagnata da una più precisa definizione della cronologia e dal riconoscimento delle funzioni originarie. Oltre alla sala teatrale, l’edificio disponeva di 45 locali, comprendenti uffici, caffè, sala di lettura, osteria, abitazioni, esercizi commerciali, magazzini, macelleria e giardino, la cui collocazione e distribuzione è stata ipotizzata e formalizzata in tavole planimetriche, realizzate componendo, ai vari piani, le inedite piante catastali del 1951, e sul rilievo dei prospetti, appositamente eseguiti in occasione del convegno dagli architetti Silvia Chiarini e Stefano Cremonesi. L’indagine storico architettonica è stata accompagnata dalla ricognizione della stampa socialista del tempo che, pur tacendo il nome del o dei progettisti, ha restituito un inedito quadro di contesto, assai meno idealistico di quanto non sia stato tramandato dalla storiografia, con l’opposizione e le contestazioni che un edificio tanto imponente ebbe a suscitare ai vertici più alti del Partito Socialista e, nella fattispecie, nell’on. Enrico Dugoni. Ciò sicuramente spiega, almeno in parte, il lungo silenzio calato sull’opera, silenzio aggravato dalla prematura e violenta morte di Bertani (1919), che non poté completare la grandiosa opera edilizia con la costruzione di scuole e alloggi per lavoratori anziani o inabili, come previsto nelle intenzioni originarie.File | Dimensione | Formato | |
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