Èil 1955, siamo a Milano, in piazza della Repubblica, esterno giorno. La camera riprende un grattacielo, bianco, scintillante, enorme. Così smisurato da non stare nell’inquadratura. Poi, dopo pochi istanti, la scena cambia e passa all’attico. L’ascensore si apre e un uomo accompagna una ragazza a vedere la città, piatta, schiacciata in lontananza, tanto da non riuscire a metterla a fuoco. Lui le dice che la sposerà, ma si capisce già che le cose non andranno bene. E si capisce anche, ed è questa la morale del soggetto originale di Ennio Flaiano, che non è l’uomo il vero problema, l’antagonista, ma il grattacielo. Più alto di quell’ascensore sociale che in quegli anni sembra non avere limiti. Esattamente come il suo progettista, Luigi Mattioni, rappresenterà l’antagonista della storia con cui, nello stesso periodo e nello stesso luogo, si cristallizza quella che verrà chiamata “la misura italiana dell’architettura”. Ancora una volta attraverso la modulazione del tema più difficile, quello dello sviluppo in altezza, e nei termini, appunto, di una sostanziale misura. Una parola intesa come sobrietà e discrezione, naturalmente, ma anche come capacità di leggere i caratteri di un luogo, di farli propri, di ricomporre il divario fra architettura e città. E in più di costituire una norma, un modello di comportamento, che la coincidenza di ruolo fra i protagonisti della produzione architettonica e quelli della pubblicistica di settore renderà regola. Escludendo, così, dai suoi limiti chi come Mattioni considerava “sempre meritorio sperimentare in ogni campo e senso, con ogni parametro e con tutte le misure”.

Luigi Mattioni: Diritto al cielo

j. leveratto
2020-01-01

Abstract

Èil 1955, siamo a Milano, in piazza della Repubblica, esterno giorno. La camera riprende un grattacielo, bianco, scintillante, enorme. Così smisurato da non stare nell’inquadratura. Poi, dopo pochi istanti, la scena cambia e passa all’attico. L’ascensore si apre e un uomo accompagna una ragazza a vedere la città, piatta, schiacciata in lontananza, tanto da non riuscire a metterla a fuoco. Lui le dice che la sposerà, ma si capisce già che le cose non andranno bene. E si capisce anche, ed è questa la morale del soggetto originale di Ennio Flaiano, che non è l’uomo il vero problema, l’antagonista, ma il grattacielo. Più alto di quell’ascensore sociale che in quegli anni sembra non avere limiti. Esattamente come il suo progettista, Luigi Mattioni, rappresenterà l’antagonista della storia con cui, nello stesso periodo e nello stesso luogo, si cristallizza quella che verrà chiamata “la misura italiana dell’architettura”. Ancora una volta attraverso la modulazione del tema più difficile, quello dello sviluppo in altezza, e nei termini, appunto, di una sostanziale misura. Una parola intesa come sobrietà e discrezione, naturalmente, ma anche come capacità di leggere i caratteri di un luogo, di farli propri, di ricomporre il divario fra architettura e città. E in più di costituire una norma, un modello di comportamento, che la coincidenza di ruolo fra i protagonisti della produzione architettonica e quelli della pubblicistica di settore renderà regola. Escludendo, così, dai suoi limiti chi come Mattioni considerava “sempre meritorio sperimentare in ogni campo e senso, con ogni parametro e con tutte le misure”.
2020
ARK
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