Il culto dei morti si ritrova sin dall’antichità, come testimoniato dai reperti archeologici pervenuti da ogni angolo del mondo. Tutte le costruzioni del passato hanno un significato proprio in relazione alla morte: gli altari nella maggior parte delle culture erano pietre sepolcrali o manufatti per compiere sacrifici e rinnovare i cicli vitali, la casa stessa spesso ospitava le salme dei defunti. Anche gli edifici pubblici più complessi, come il teatro greco o la basilica romana, nascevano con un profondo carattere sacro: “luoghi in cui rispettivamente la rappresentazione scenica e l’amministrazione della giustizia erano concepite nella loro profonda immersione nella dimensione sacrale, ovvero in strettissima connessione con il sacrificio e con la morte.” Le tombe, in particolare, hanno la precisa finalità di ospitare il corpo del defunto ma anche di offrire una “vita” dopo la morte. Basta pensare ai tholoi etruschi, la cui organizzazione spaziale riprende in modo simbolico l’architettura domestica con dipinti parietali e oggetti d’uso quotidiano che avevano lo scopo di alleviare il soggiorno nel viaggio finale. Nel corso del tempo la concezione cristiana della morte “priva il luogo di sepoltura di qualsiasi importanza dal punto di vista della sua fungibilità, facendone piuttosto una sede provvisoria, il cui aspetto fisico (spesso anche estremamente lussuoso) ha una rilevanza solo a fini devozionali, ovvero di ricordo e di preghiera.” Le tombe assumono quindi un ruolo prevalentemente consolatorio. È Adolf Loos che all’inizio del Novecento ci ricorda che «se in un bosco troviamo un tumulo, lungo sei piedi e largo tre, disposto con la pala a forma di piramide, ci facciamo seri e qualcosa dice dentro di noi: qui è sepolto qualcuno. Questa è architettura. Loos esprime in queste poche righe l’essenza stessa dell’architettura ovvero di una presenza capace di offrire un luogo per poter rendere memoria all’uomo sulla terra. In queste opere l’architettura manifesta nei suoi caratteri e nei materiali il simbolo di un’esistenza “fragile, problematica, e tuttavia possibile. Di un esistere nonostante tutto.

Dimorare tra terra e cielo. Giuseppe (Pino) Pizzigoni, tre cappelle e due tombe, Cimitero Monumentale, Bergamo, 1947-1966

M. Bassanelli;
2020-01-01

Abstract

Il culto dei morti si ritrova sin dall’antichità, come testimoniato dai reperti archeologici pervenuti da ogni angolo del mondo. Tutte le costruzioni del passato hanno un significato proprio in relazione alla morte: gli altari nella maggior parte delle culture erano pietre sepolcrali o manufatti per compiere sacrifici e rinnovare i cicli vitali, la casa stessa spesso ospitava le salme dei defunti. Anche gli edifici pubblici più complessi, come il teatro greco o la basilica romana, nascevano con un profondo carattere sacro: “luoghi in cui rispettivamente la rappresentazione scenica e l’amministrazione della giustizia erano concepite nella loro profonda immersione nella dimensione sacrale, ovvero in strettissima connessione con il sacrificio e con la morte.” Le tombe, in particolare, hanno la precisa finalità di ospitare il corpo del defunto ma anche di offrire una “vita” dopo la morte. Basta pensare ai tholoi etruschi, la cui organizzazione spaziale riprende in modo simbolico l’architettura domestica con dipinti parietali e oggetti d’uso quotidiano che avevano lo scopo di alleviare il soggiorno nel viaggio finale. Nel corso del tempo la concezione cristiana della morte “priva il luogo di sepoltura di qualsiasi importanza dal punto di vista della sua fungibilità, facendone piuttosto una sede provvisoria, il cui aspetto fisico (spesso anche estremamente lussuoso) ha una rilevanza solo a fini devozionali, ovvero di ricordo e di preghiera.” Le tombe assumono quindi un ruolo prevalentemente consolatorio. È Adolf Loos che all’inizio del Novecento ci ricorda che «se in un bosco troviamo un tumulo, lungo sei piedi e largo tre, disposto con la pala a forma di piramide, ci facciamo seri e qualcosa dice dentro di noi: qui è sepolto qualcuno. Questa è architettura. Loos esprime in queste poche righe l’essenza stessa dell’architettura ovvero di una presenza capace di offrire un luogo per poter rendere memoria all’uomo sulla terra. In queste opere l’architettura manifesta nei suoi caratteri e nei materiali il simbolo di un’esistenza “fragile, problematica, e tuttavia possibile. Di un esistere nonostante tutto.
2020
ARK
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