The study of the materials of the Renzo Zavanella Fund (preserved in the CSAC archive in Parma) gives us the picture of an extraordinarily articulated and multifaceted work that represents, in all its original complexity, a significant piece of the Italian architectural twentieth century. The Mantuan architect is also an important satellite of that typically Lombard and Milanese constellation that refers to the varied galaxy of cultured professionalism, within which designers of undoubted value were then rediscovered, often with delay. Zavanella, a spurious figure who "has never been recognized for his rightful place in the history of contemporary architecture", was however something more and different even with respect to this definition. Born in Mantua at the stroke of the short century, his story, which takes place almost entirely in Milan, is a substantially obliterated chapter of the great novel of twentieth century architecture. Between the two wars he collaborates with Gio Ponti and Luciano Baldessari and is a "traveling companion" of some of the major protagonists of Italian architectural and artistic culture: more directly with Enrico Ciuti, Lucio Fontana (with whom he will create small masterpieces of funerary architecture at the Monumental of Milan), Raffaello Giolli, Giulio Minoletti, Giuseppe Pagano, Edoardo Persico, Agnoldomenico Pica; more marginally Franco Albini, Ignazio Gardella, Giancarlo De Carlo, Carlo De Carli, Ernesto Nathan Rogers, Marco Zanuso. After the Second World War he is, among architects, one of the major protagonists of the Italian "economic miracle", designing the new spaces and objects symbolizing the society of mass consumption and concentrating his professional activity on different fronts: from exhibition architecture (which will be, throughout his career, a privileged field of experimentation), to interior design, from the nascent sector of industrial design (where the "standard" object will be conceived by him as a "unique piece" with refined craftsmanship of detail, in an approach suspended between Albini and Mollino), up to the study and construction of prototypes to be mass-produced for typical dwellings and for buildings serving widespread mechanization (petrol stations, motorway restaurants). Zavanella will then be called to crystallize (for OM and, above all, for Banca Popolare di Milano in the fifties and sixties), within an innovative concept of total-design, an advanced idea of ​​corporate corporate image. Even in the context of the development of technologies related to building industrialization, the Mantuan architect provides, as Giulia Veronesi will also write, his "original contribution to architecture", through the "poetic" application of dry-mounted modular systems, new paradigms of production processes based on seriality and economic and constructive rationality. Experience, that of the post-war period, which is placed in the bed of the birth of the technological culture of the project that will then see its foundation, more fully also in disciplinary and academic terms, at the beginning of the seventies. An action that, although still characterized in many respects by an approach substantially based on an "industrial craftsmanship", already contained in a nutshell the trappings of a reflection - common to many of the protagonists of the Modern - which tended to overcome the sterile academic opposition between functionalism and formalism, concentrating design research with greater determination on its technical expression. In this sense, these researches anticipated a dimension of the project already capable of contemplating a renewed relationship between theory and practice based on a methodological and scientific approach to the creative process where the "process" aspect (even before its formal outcome) could prevail . A design thought that proceeds, in Zavanella, hand in hand on the different registers of form-function and poetry-technique, thus bringing back - as Ernesto Nathan Rogers himself maintained - the problems of quantity to the mandatory sanction of quality, as unique and true ethical content of aesthetics capable of bringing the profession of architect back to the original synthesis of techné.

Lo studio dei materiali del Fondo Renzo Zavanella (conservato presso l’archivio CSAC di Parma) ci restituisce il quadro di un’opera straordinariamente articolata e multiforme che rappresenta, in tutta la sua originale complessità, un significativo tassello del Novecento architettonico italiano. L’architetto mantovano costituisce, inoltre, un importante satellite di quella costellazione tipicamente lombarda e milanese che fa riferimento alla variegata galassia del professionismo colto, all’interno della quale si sono poi riscoperti, spesso con ritardo, progettisti di indubbio valore. Zavanella, figura spuria che “non si è mai vista riconoscere il suo giusto posto nella storia dell’architettura contemporanea”, è stato però qualcosa di più e di diverso anche rispetto a questa definizione. Nato a Mantova allo scoccare del Secolo breve la sua vicenda, che si svolge quasi tutta a Milano, costituisce un capitolo sostanzialmente obliterato del grande romanzo dell’architettura del Novecento. Tra le due guerre collabora con Gio Ponti e Luciano Baldessari ed è “compagno di strada” di alcuni dei maggiori protagonisti della cultura architettonica e artistica italiana: più direttamente con Enrico Ciuti, Lucio Fontana (col quale realizzerà piccoli capolavori di architettura funeraria al Monumentale di Milano), Raffaello Giolli, Giulio Minoletti, Giuseppe Pagano, Edoardo Persico, Agnoldomenico Pica; più marginalmente Franco Albini, Ignazio Gardella, Giancarlo De Carlo, Carlo De Carli, Ernesto Nathan Rogers, Marco Zanuso. Nel secondo dopoguerra è, tra gli architetti, uno dei maggiori protagonisti del “miracolo economico” italiano, disegnando i nuovi spazi e gli oggetti simbolo della società del consumo di massa e concentrando la propria attività professionale su diversi fronti: dall’architettura espositiva (che sarà, per tutta la sua carriera, settore privilegiato di sperimentazione), al design di interni, dal nascente settore dell’industrial design (dove l’oggetto “di serie” sarà da lui concepito come “pezzo unico” dalla raffinata artigianalità del dettaglio, in un approccio sospeso tra Albini e Mollino), fino ad arrivare allo studio e alla realizzazione di prototipi da prodursi in serie per abitazioni-tipo e per gli edifici a servizio della meccanizzazione diffusa (stazioni di rifornimento, autogrill). Zavanella sarà poi chiamato a cristallizzare (per OM e, soprattutto, per la Banca Popolare di Milano negli anni Cinquanta e Sessanta), all’interno di un innovativo concetto di total-design, un’idea avanzata di corporate-image aziendale. Anche nell’ambito dello sviluppo delle tecnologie legate all’industrializzazione edilizia l’architetto mantovano fornisce, come scriverà anche Giulia Veronesi, il suo “apporto originale all’architettura”, attraverso l’applicazione “poetica” di sistemi modulari montati a secco, nuovi paradigmi di processi produttivi basati sulla serialità e sulla razionalità economica e costruttiva. Esperienza, quella del dopoguerra, che si colloca nell’alveo della nascita della cultura tecnologica del progetto che vedrà poi la sua fondazione, più compiutamente anche in termini disciplinari e accademici, all’inizio degli anni Settanta. Un’azione che, seppur ancora caratterizzata per molti aspetti da un approccio sostanzialmente basato su di una “artigianalità industriale”, conteneva già in nuce i crismi di una riflessione – comune a molti dei protagonisti del Moderno – che tendeva a superare la sterile contrapposizione accademica tra funzionalismo e formalismo, concentrando con maggiore determinazione la ricerca progettuale sulla sua espressione tecnica. In questo senso, tali ricerche anticipavano una dimensione del progetto già in grado di contemplare un rinnovato rapporto tra teoria e prassi incardinato in un approccio metodologico e scientifico del processo creativo dove l’aspetto “processuale” (prima ancora del suo esito formale) potesse prevalere. Un pensiero progettuale che procede, in Zavanella, di pari passo sui diversi registri di forma-funzione e di poesia-tecnica, riportando così – come sosteneva lo stesso Ernesto Nathan Rogers – i problemi della quantità alla inderogabile sanzione della qualità, in quanto unico e vero contenuto etico della estetica in grado di ricondurre, in ultima analisi, il mestiere di architetto alla sintesi originale della techné.

Renzo Zavanella 1900-1988. Architettura Design Tecnologia

D. Allegri
2019-01-01

Abstract

The study of the materials of the Renzo Zavanella Fund (preserved in the CSAC archive in Parma) gives us the picture of an extraordinarily articulated and multifaceted work that represents, in all its original complexity, a significant piece of the Italian architectural twentieth century. The Mantuan architect is also an important satellite of that typically Lombard and Milanese constellation that refers to the varied galaxy of cultured professionalism, within which designers of undoubted value were then rediscovered, often with delay. Zavanella, a spurious figure who "has never been recognized for his rightful place in the history of contemporary architecture", was however something more and different even with respect to this definition. Born in Mantua at the stroke of the short century, his story, which takes place almost entirely in Milan, is a substantially obliterated chapter of the great novel of twentieth century architecture. Between the two wars he collaborates with Gio Ponti and Luciano Baldessari and is a "traveling companion" of some of the major protagonists of Italian architectural and artistic culture: more directly with Enrico Ciuti, Lucio Fontana (with whom he will create small masterpieces of funerary architecture at the Monumental of Milan), Raffaello Giolli, Giulio Minoletti, Giuseppe Pagano, Edoardo Persico, Agnoldomenico Pica; more marginally Franco Albini, Ignazio Gardella, Giancarlo De Carlo, Carlo De Carli, Ernesto Nathan Rogers, Marco Zanuso. After the Second World War he is, among architects, one of the major protagonists of the Italian "economic miracle", designing the new spaces and objects symbolizing the society of mass consumption and concentrating his professional activity on different fronts: from exhibition architecture (which will be, throughout his career, a privileged field of experimentation), to interior design, from the nascent sector of industrial design (where the "standard" object will be conceived by him as a "unique piece" with refined craftsmanship of detail, in an approach suspended between Albini and Mollino), up to the study and construction of prototypes to be mass-produced for typical dwellings and for buildings serving widespread mechanization (petrol stations, motorway restaurants). Zavanella will then be called to crystallize (for OM and, above all, for Banca Popolare di Milano in the fifties and sixties), within an innovative concept of total-design, an advanced idea of ​​corporate corporate image. Even in the context of the development of technologies related to building industrialization, the Mantuan architect provides, as Giulia Veronesi will also write, his "original contribution to architecture", through the "poetic" application of dry-mounted modular systems, new paradigms of production processes based on seriality and economic and constructive rationality. Experience, that of the post-war period, which is placed in the bed of the birth of the technological culture of the project that will then see its foundation, more fully also in disciplinary and academic terms, at the beginning of the seventies. An action that, although still characterized in many respects by an approach substantially based on an "industrial craftsmanship", already contained in a nutshell the trappings of a reflection - common to many of the protagonists of the Modern - which tended to overcome the sterile academic opposition between functionalism and formalism, concentrating design research with greater determination on its technical expression. In this sense, these researches anticipated a dimension of the project already capable of contemplating a renewed relationship between theory and practice based on a methodological and scientific approach to the creative process where the "process" aspect (even before its formal outcome) could prevail . A design thought that proceeds, in Zavanella, hand in hand on the different registers of form-function and poetry-technique, thus bringing back - as Ernesto Nathan Rogers himself maintained - the problems of quantity to the mandatory sanction of quality, as unique and true ethical content of aesthetics capable of bringing the profession of architect back to the original synthesis of techné.
2019
Scripta
88-98877-97-8
Lo studio dei materiali del Fondo Renzo Zavanella (conservato presso l’archivio CSAC di Parma) ci restituisce il quadro di un’opera straordinariamente articolata e multiforme che rappresenta, in tutta la sua originale complessità, un significativo tassello del Novecento architettonico italiano. L’architetto mantovano costituisce, inoltre, un importante satellite di quella costellazione tipicamente lombarda e milanese che fa riferimento alla variegata galassia del professionismo colto, all’interno della quale si sono poi riscoperti, spesso con ritardo, progettisti di indubbio valore. Zavanella, figura spuria che “non si è mai vista riconoscere il suo giusto posto nella storia dell’architettura contemporanea”, è stato però qualcosa di più e di diverso anche rispetto a questa definizione. Nato a Mantova allo scoccare del Secolo breve la sua vicenda, che si svolge quasi tutta a Milano, costituisce un capitolo sostanzialmente obliterato del grande romanzo dell’architettura del Novecento. Tra le due guerre collabora con Gio Ponti e Luciano Baldessari ed è “compagno di strada” di alcuni dei maggiori protagonisti della cultura architettonica e artistica italiana: più direttamente con Enrico Ciuti, Lucio Fontana (col quale realizzerà piccoli capolavori di architettura funeraria al Monumentale di Milano), Raffaello Giolli, Giulio Minoletti, Giuseppe Pagano, Edoardo Persico, Agnoldomenico Pica; più marginalmente Franco Albini, Ignazio Gardella, Giancarlo De Carlo, Carlo De Carli, Ernesto Nathan Rogers, Marco Zanuso. Nel secondo dopoguerra è, tra gli architetti, uno dei maggiori protagonisti del “miracolo economico” italiano, disegnando i nuovi spazi e gli oggetti simbolo della società del consumo di massa e concentrando la propria attività professionale su diversi fronti: dall’architettura espositiva (che sarà, per tutta la sua carriera, settore privilegiato di sperimentazione), al design di interni, dal nascente settore dell’industrial design (dove l’oggetto “di serie” sarà da lui concepito come “pezzo unico” dalla raffinata artigianalità del dettaglio, in un approccio sospeso tra Albini e Mollino), fino ad arrivare allo studio e alla realizzazione di prototipi da prodursi in serie per abitazioni-tipo e per gli edifici a servizio della meccanizzazione diffusa (stazioni di rifornimento, autogrill). Zavanella sarà poi chiamato a cristallizzare (per OM e, soprattutto, per la Banca Popolare di Milano negli anni Cinquanta e Sessanta), all’interno di un innovativo concetto di total-design, un’idea avanzata di corporate-image aziendale. Anche nell’ambito dello sviluppo delle tecnologie legate all’industrializzazione edilizia l’architetto mantovano fornisce, come scriverà anche Giulia Veronesi, il suo “apporto originale all’architettura”, attraverso l’applicazione “poetica” di sistemi modulari montati a secco, nuovi paradigmi di processi produttivi basati sulla serialità e sulla razionalità economica e costruttiva. Esperienza, quella del dopoguerra, che si colloca nell’alveo della nascita della cultura tecnologica del progetto che vedrà poi la sua fondazione, più compiutamente anche in termini disciplinari e accademici, all’inizio degli anni Settanta. Un’azione che, seppur ancora caratterizzata per molti aspetti da un approccio sostanzialmente basato su di una “artigianalità industriale”, conteneva già in nuce i crismi di una riflessione – comune a molti dei protagonisti del Moderno – che tendeva a superare la sterile contrapposizione accademica tra funzionalismo e formalismo, concentrando con maggiore determinazione la ricerca progettuale sulla sua espressione tecnica. In questo senso, tali ricerche anticipavano una dimensione del progetto già in grado di contemplare un rinnovato rapporto tra teoria e prassi incardinato in un approccio metodologico e scientifico del processo creativo dove l’aspetto “processuale” (prima ancora del suo esito formale) potesse prevalere. Un pensiero progettuale che procede, in Zavanella, di pari passo sui diversi registri di forma-funzione e di poesia-tecnica, riportando così – come sosteneva lo stesso Ernesto Nathan Rogers – i problemi della quantità alla inderogabile sanzione della qualità, in quanto unico e vero contenuto etico della estetica in grado di ricondurre, in ultima analisi, il mestiere di architetto alla sintesi originale della techné.
architecture, design, technology, executive project, technological detail, 20th century architecture, cultural heritage, building industrialization
architettura, design, tecnologia, progetto esecutivo, dettaglio tecnologico, architettura del 900, beni culturali, industrializzazione edilizia
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