È venuta l’epidemia del COVID-19 ed eravamo impreparati. Eravamo impreparati perché non volevamo prendere in considerazione conseguenze, perché volevamo essere impreparati. Nel lungo periodo infatti saremmo morti tutti, e quindi, del lungo periodo, non se ne è occupato nessuno: pianificare era stupido, progettare retrogrado. Poi è venuta l’epidemia e i letti negli ospedali non sono bastati. Ora forse ci siamo ricreduti. Sembra persino che ci siano i soldi per fare qualcosa. Forse siamo davanti alla “grande occasione obbligata” (come mi diceva Maurizio Crippa mentre parlavamo di questo testo). Tutti si sono messi a fare programmi e siamo tornati ai grandi successi: incentivi alle ristrutturazioni e ponte sullo stretto di Messina. Forse, confusamente, è anche un segnale promettente. Si può tornare a progettare. In caso, il programma non può che essere molto vasto. L’epidemia ha colpito tutti (anche se certamente non allo stesso modo). Se la temperatura del pianeta aumenta, aumenta per tutti. Questo è forse il punto decisivo: per anni abbiamo pensato che si potesse evitare di fare la somma, che si potessero rimandare e rimpallare le conseguenze su qualcun’altro. Qualunque tentativo di affrontare i problemi nella loro totalità (dal punto di vista della totalità, come avrebbe detto Lukács) era subito condannato come insano e totalitario, come se qualsiasi atto di realismo e qualsiasi volontà di piano fosse già un atto di violenza. In realtà, dalle epidemie e dal riscaldamento del pianeta ci possiamo salvare solo tutti assieme e solo pensando subito alle conseguenze. L’epidemia ci ha anche fatto vedere delle cose. Ha ridotto le emissioni di gas serra mondiali (le stime variano tra 5% e 10%) e ci ha mostrato città diverse. Se anche questa riduzione non sembra sufficiente a limitare le emissioni come previsto dagli accordi di Parigi 2015, fornisce tuttavia una ragionevole approssimazione di cosa vorrebbe dire adottare queste politiche. Di questo obiettivo lontano ed astratto adesso abbiamo tutti un’esperienza immediata, un’esperienza tanto spaventosa, come le strade percorse solo da ambulanze, quanto meravigliosa, come l’azzurro del cielo di Milano nello scorso Aprile.

Progetto Italia

Pier Paolo Tamburelli
2020-01-01

Abstract

È venuta l’epidemia del COVID-19 ed eravamo impreparati. Eravamo impreparati perché non volevamo prendere in considerazione conseguenze, perché volevamo essere impreparati. Nel lungo periodo infatti saremmo morti tutti, e quindi, del lungo periodo, non se ne è occupato nessuno: pianificare era stupido, progettare retrogrado. Poi è venuta l’epidemia e i letti negli ospedali non sono bastati. Ora forse ci siamo ricreduti. Sembra persino che ci siano i soldi per fare qualcosa. Forse siamo davanti alla “grande occasione obbligata” (come mi diceva Maurizio Crippa mentre parlavamo di questo testo). Tutti si sono messi a fare programmi e siamo tornati ai grandi successi: incentivi alle ristrutturazioni e ponte sullo stretto di Messina. Forse, confusamente, è anche un segnale promettente. Si può tornare a progettare. In caso, il programma non può che essere molto vasto. L’epidemia ha colpito tutti (anche se certamente non allo stesso modo). Se la temperatura del pianeta aumenta, aumenta per tutti. Questo è forse il punto decisivo: per anni abbiamo pensato che si potesse evitare di fare la somma, che si potessero rimandare e rimpallare le conseguenze su qualcun’altro. Qualunque tentativo di affrontare i problemi nella loro totalità (dal punto di vista della totalità, come avrebbe detto Lukács) era subito condannato come insano e totalitario, come se qualsiasi atto di realismo e qualsiasi volontà di piano fosse già un atto di violenza. In realtà, dalle epidemie e dal riscaldamento del pianeta ci possiamo salvare solo tutti assieme e solo pensando subito alle conseguenze. L’epidemia ci ha anche fatto vedere delle cose. Ha ridotto le emissioni di gas serra mondiali (le stime variano tra 5% e 10%) e ci ha mostrato città diverse. Se anche questa riduzione non sembra sufficiente a limitare le emissioni come previsto dagli accordi di Parigi 2015, fornisce tuttavia una ragionevole approssimazione di cosa vorrebbe dire adottare queste politiche. Di questo obiettivo lontano ed astratto adesso abbiamo tutti un’esperienza immediata, un’esperienza tanto spaventosa, come le strade percorse solo da ambulanze, quanto meravigliosa, come l’azzurro del cielo di Milano nello scorso Aprile.
2020
Italia
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