Gli impatti derivanti dall’azione umana sugli ecosistemi e sulla loro capacità di fornire servizi – quali benefici multipli in grado di concorrere al benessere umano e al miglioramento della qualità della vita dell’uomo in termini di salute, sicurezza, relazioni sociali e accessibilità alle risorse (Millennium Ecosystem Assessment, 2005) – sono ormai ampiamente noti e riconosciuti da aver caratterizzato l’epoca storica attuale, denominata “Antropocene” (Crutzen, 2005). L’avvento di questa nuova era geologica è caratterizzato da un uso eccessivo, e spesso incontrollato, delle risorse e del Capitale Naturale quale «part of nature which directly or indirectly underpins value to people, including ecosystems, species, freshwater, soils, minerals, the air and oceans, as well as natural processes and functions […] natural capital forms part of our wealth; that is, our ability to produce actual or potential goods and services into the future to support our wellbeing» (Capital Committee, 2013: 56) Il rapporto tra uomo e natura ha subito, nel corso degli anni, una rapida alterazione caratterizzata dal predominio crescente del primo sul secondo dalla quale sono susseguiti importanti cambiamenti ambientali e climatici, con impatti irreversibili sugli ecosistemi e sulle loro funzionalità, con ripercussioni nella capacità di fornire servizi. Un esempio evidente è l’aumento numerico e di intensità degli eventi metereologici estremi avvenuti negli ultimi anni e agli effetti sulla stabilità dei territori, sempre più fragili, vulnerabili e soggetti a rischi idrogeologici (quali frane, alluvioni e smottamenti). Negli ultimi 50 anni, le attività antropiche hanno modificato e alterato gli ecosistemi più rapidamente e con maggiore intensità rispetto a tutti i periodi precedenti, con impatti consistenti sulla disponibilità di acqua potabile, sulla produzione di cibo e materie prime, e sulla qualità dell’aria con ripercussioni sulla salute pubblica dei cittadini. Le attività umane sono attualmente responsabili dell’emissione di circa 7,9 miliardi di tonnellate di carbonio nell’atmosfera che contribuiscono ogni anno ai cambiamenti climatici minacciando il benessere umano e la salute pubblica. Secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità, l’inquinamento atmosferico (specialmente il particolato, il biossido di azoto e l’ozono troposferico) provoca ogni anno in Europa circa 4,2 milioni di decessi, il 38% dovuti a malattie cardiache, il 20% derivanti da infarti e il 43% in seguito a malattie polmonari croniche, polmonite e cancro ai polmoni (World Health Organisation, 2019). Le persone maggiormente esposte a tali inquinanti e quindi più soggette a tali rischi risiedono nelle zone urbane, dove si produce più della metà delle emissioni di gas ad effetto serra derivanti per lo più dall’utilizzo di combustibili fossili nella produzione di elettricità, nei trasporti, nell’industria e nelle abitazioni, o dai processi industriali. Oggigiorno, il 55% della popolazione mondiale vive nelle aree urbane, percentuale che è stimata ad aumentare entro il 2050 crescendo fino al 68%. In Europa, il dato è maggiore rispetto al resto del mondo e la percentuale sale fino al 72%, mentre solo il 39% della popolazione vive in città con almeno 50.000 abitanti (diversamente dal resto del mondo dove la percentuale è del 52%) (European Union and United Nations Human Settlements Programme, 2016; United Nations-Department of Economic and Social Affairs-Population Division, 2018). Tali dati ci fanno comprendere come la vera sfida dell’Antropocene risieda nel disegno e nella progettazione delle città, nel tentativo di rendere questi ambiti urbani dei luoghi salubri, maggiormente vivibili, e resilienti ai cambiamenti climatici in atto. In tal senso, l’incremento delle dotazioni ambientali e il miglioramento del Capitale Naturale diventano l’elemento centrale per il progetto della città contemporanea.

Dalla valutazione dei Servizi Ecosistemici al progetto di Green Infrastructures

Silvia Ronchi
2020-01-01

Abstract

Gli impatti derivanti dall’azione umana sugli ecosistemi e sulla loro capacità di fornire servizi – quali benefici multipli in grado di concorrere al benessere umano e al miglioramento della qualità della vita dell’uomo in termini di salute, sicurezza, relazioni sociali e accessibilità alle risorse (Millennium Ecosystem Assessment, 2005) – sono ormai ampiamente noti e riconosciuti da aver caratterizzato l’epoca storica attuale, denominata “Antropocene” (Crutzen, 2005). L’avvento di questa nuova era geologica è caratterizzato da un uso eccessivo, e spesso incontrollato, delle risorse e del Capitale Naturale quale «part of nature which directly or indirectly underpins value to people, including ecosystems, species, freshwater, soils, minerals, the air and oceans, as well as natural processes and functions […] natural capital forms part of our wealth; that is, our ability to produce actual or potential goods and services into the future to support our wellbeing» (Capital Committee, 2013: 56) Il rapporto tra uomo e natura ha subito, nel corso degli anni, una rapida alterazione caratterizzata dal predominio crescente del primo sul secondo dalla quale sono susseguiti importanti cambiamenti ambientali e climatici, con impatti irreversibili sugli ecosistemi e sulle loro funzionalità, con ripercussioni nella capacità di fornire servizi. Un esempio evidente è l’aumento numerico e di intensità degli eventi metereologici estremi avvenuti negli ultimi anni e agli effetti sulla stabilità dei territori, sempre più fragili, vulnerabili e soggetti a rischi idrogeologici (quali frane, alluvioni e smottamenti). Negli ultimi 50 anni, le attività antropiche hanno modificato e alterato gli ecosistemi più rapidamente e con maggiore intensità rispetto a tutti i periodi precedenti, con impatti consistenti sulla disponibilità di acqua potabile, sulla produzione di cibo e materie prime, e sulla qualità dell’aria con ripercussioni sulla salute pubblica dei cittadini. Le attività umane sono attualmente responsabili dell’emissione di circa 7,9 miliardi di tonnellate di carbonio nell’atmosfera che contribuiscono ogni anno ai cambiamenti climatici minacciando il benessere umano e la salute pubblica. Secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità, l’inquinamento atmosferico (specialmente il particolato, il biossido di azoto e l’ozono troposferico) provoca ogni anno in Europa circa 4,2 milioni di decessi, il 38% dovuti a malattie cardiache, il 20% derivanti da infarti e il 43% in seguito a malattie polmonari croniche, polmonite e cancro ai polmoni (World Health Organisation, 2019). Le persone maggiormente esposte a tali inquinanti e quindi più soggette a tali rischi risiedono nelle zone urbane, dove si produce più della metà delle emissioni di gas ad effetto serra derivanti per lo più dall’utilizzo di combustibili fossili nella produzione di elettricità, nei trasporti, nell’industria e nelle abitazioni, o dai processi industriali. Oggigiorno, il 55% della popolazione mondiale vive nelle aree urbane, percentuale che è stimata ad aumentare entro il 2050 crescendo fino al 68%. In Europa, il dato è maggiore rispetto al resto del mondo e la percentuale sale fino al 72%, mentre solo il 39% della popolazione vive in città con almeno 50.000 abitanti (diversamente dal resto del mondo dove la percentuale è del 52%) (European Union and United Nations Human Settlements Programme, 2016; United Nations-Department of Economic and Social Affairs-Population Division, 2018). Tali dati ci fanno comprendere come la vera sfida dell’Antropocene risieda nel disegno e nella progettazione delle città, nel tentativo di rendere questi ambiti urbani dei luoghi salubri, maggiormente vivibili, e resilienti ai cambiamenti climatici in atto. In tal senso, l’incremento delle dotazioni ambientali e il miglioramento del Capitale Naturale diventano l’elemento centrale per il progetto della città contemporanea.
2020
Servizi ecosistemici
Green infrastructures
Rete Verde
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11311/1133807
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