“Un guscio, o meglio una scatola“, era così che, nel 1996, Herbert Muschamp definiva il nuovo progetto di Josef Paul Kleihues per il Museum of Contemporary Art di Chicago, in risposta alle critiche sollevate durante la sua inaugurazione. Come una specie di scrigno, infatti, sollevato e isolato dal resto della città da un basamento monumentale, il museo era stato pensato per restituire all’arte il suo valore essenziale attraverso una nuova forma di sacralizzazione. Un tentativo che, se dal punto di vista formale trovava le sue ragioni nei riferimenti al miglior razionalismo nordamericano, da quello programmatico nasceva ampiamente fuori tempo massimo. Nello stesso periodo, infatti, la costruzione del Guggenheim di Bilbao aveva già innescato un processo di cambiamento radicale che, in poco tempo, sarebbe andato a investire non solo l’idea stessa di istituzione museale, ma anche il suo rapporto con lo spazio urbano e con la comunità locale. Così, solo vent’anni dopo, Madeleine Grynsztejn, Pritzker Director del museo, presentando i lavori di rinnovo, ne descrive la trasformazione, rivendicando il passaggio da un’idea di “treasure box” a quella di “tool box”: da quella di un museo come un tempio a quella di uno spazio per l’arte aperto alla città, connesso al sistema dei servizi e sensibile ai bisogni dei cittadini. Il tutto nei limiti di un intervento che, pur rivoluzionandone il programma funzionale, deve rispettare la struttura preesistente.
Renovation of the Museum of Contemporary Art Chicago (MCA)
j. leveratto
2020-01-01
Abstract
“Un guscio, o meglio una scatola“, era così che, nel 1996, Herbert Muschamp definiva il nuovo progetto di Josef Paul Kleihues per il Museum of Contemporary Art di Chicago, in risposta alle critiche sollevate durante la sua inaugurazione. Come una specie di scrigno, infatti, sollevato e isolato dal resto della città da un basamento monumentale, il museo era stato pensato per restituire all’arte il suo valore essenziale attraverso una nuova forma di sacralizzazione. Un tentativo che, se dal punto di vista formale trovava le sue ragioni nei riferimenti al miglior razionalismo nordamericano, da quello programmatico nasceva ampiamente fuori tempo massimo. Nello stesso periodo, infatti, la costruzione del Guggenheim di Bilbao aveva già innescato un processo di cambiamento radicale che, in poco tempo, sarebbe andato a investire non solo l’idea stessa di istituzione museale, ma anche il suo rapporto con lo spazio urbano e con la comunità locale. Così, solo vent’anni dopo, Madeleine Grynsztejn, Pritzker Director del museo, presentando i lavori di rinnovo, ne descrive la trasformazione, rivendicando il passaggio da un’idea di “treasure box” a quella di “tool box”: da quella di un museo come un tempio a quella di uno spazio per l’arte aperto alla città, connesso al sistema dei servizi e sensibile ai bisogni dei cittadini. Il tutto nei limiti di un intervento che, pur rivoluzionandone il programma funzionale, deve rispettare la struttura preesistente.| File | Dimensione | Formato | |
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