Il titolo della relazione tratteggia volutamente un argomento molto ampio, ma con ciò si vuole soprattutto proporre alcune sintesi relative alla figura dell’architetto-ingegnere in area lombarda tra quattrocento e cinquecento, vista la cospicua produzione storiografica di questi ultimi anni. Alla fine di un arco temporale che va più o meno dall’arrivo di Filarete a Milano sino alla partenza di Pellegrino Tibaldi, circa 130 anni, senza linearità, si arriva ad un’idea diversa della figura dell’architetto. La discontinuità che genera in età moderna l’esistenza di una figura nuova è stata da molti riconosciuta nella costituzione (1563) della Università degli architetti e agrimensori. L’interrogativo iniziale cui rispondere è quindi quello di verificare da quando esistono sostanziali diversità di uno statuto professionale. Tranne qualche eccezione gli ingegneri milanesi sono tecnici e artisti ai quali la storiografia ha raramente riconosciuto un ruolo progettuale, bensì, sebbene costantemente documentati nei più importanti cantieri, quello di tecnici. Formatisi perlopiù come magistri, con competenze più vicine al capomastro che all’architetto-ingegnere, si alternano in tutte operazioni innescate dal processo edilizio. Un ruolo, che non muta per tutto il periodo preso in esame, semmai muta a seconda della complessità delle operazioni che l’ingegnere è chiamato a svolgere. Ancora nella prima metà del Cinquecento, secondo la tradizione quattrocentesca, la pratica degli architetti - ingegneri risaliva a una pluralità di formazioni e di culture che si possono ricondurre a ben definiti percorsi. Nella Milano sforzesca, francese e poi spagnola, gli architetti-ingegneri erano impegnati in numerosi incarichi ed erano denominati in modi diversi in relazione al ruolo svolto e agli organi amministrativi o di governo da cui dipendevano: architetti e ingegneri ducali, regi, cesarei, collegiati, camerali, dell’esercito, del Comune, della Città, delle Acque, della Sanità, delle Strade. Il solo elemento unificante era costituito dalla loro funzione di esperti e, conseguentemente, da una formazione eminentemente pratica, all’interno della quale si imponeva un alunnato presso un altro ingegnere. Le cariche e i ruoli erano nominalmente e di fatto distinti: in primo luogo troviamo gli ingegneri abilitati ad operare e ad esercitare la professione nello Stato milanese, eredi del corpo dei Pubblici estimatori del Comune di Milano, documentati già nel Trecento, e registrati in un numero variabile di circa 20-25 nominativi e con un “avvicendamento” annuale di due, tre professionisti. Chiamati anche «Prefecti fabrorum seu ingenierii» si avvalgono per la loro professione di particolari Statuti che saranno poi rivisti anche sulla base delle Novae Constitutiones emanate da Carlo V nel 1541. Prima della fondazione dell’Università, poi del Collegio degli architetti, ingegneri e agrimensori, l’iscrizione al numero degli ingegneri o degli agrimensori (incarichi con funzioni amministrativa e giuridica, come i notai), per richiesta esplicita del soggetto, era ufficializzata dal vicario del Tribunale di Provvisione che, preliminarmente, richiedeva un parere ad altri architetti sulla «eius sufficentia et probitas et longa experentia». L’iscrizione a questo primitivo “albo”, reso pubblico con una periodicità biennale attraverso la pubblicazione all’interno dei Dies utiles, non dava diritti economici, ma solo l’idoneità a svolgere la professione.

Wart Arslan e l’architettura del Rinascimento

F. Repishti
2019-01-01

Abstract

Il titolo della relazione tratteggia volutamente un argomento molto ampio, ma con ciò si vuole soprattutto proporre alcune sintesi relative alla figura dell’architetto-ingegnere in area lombarda tra quattrocento e cinquecento, vista la cospicua produzione storiografica di questi ultimi anni. Alla fine di un arco temporale che va più o meno dall’arrivo di Filarete a Milano sino alla partenza di Pellegrino Tibaldi, circa 130 anni, senza linearità, si arriva ad un’idea diversa della figura dell’architetto. La discontinuità che genera in età moderna l’esistenza di una figura nuova è stata da molti riconosciuta nella costituzione (1563) della Università degli architetti e agrimensori. L’interrogativo iniziale cui rispondere è quindi quello di verificare da quando esistono sostanziali diversità di uno statuto professionale. Tranne qualche eccezione gli ingegneri milanesi sono tecnici e artisti ai quali la storiografia ha raramente riconosciuto un ruolo progettuale, bensì, sebbene costantemente documentati nei più importanti cantieri, quello di tecnici. Formatisi perlopiù come magistri, con competenze più vicine al capomastro che all’architetto-ingegnere, si alternano in tutte operazioni innescate dal processo edilizio. Un ruolo, che non muta per tutto il periodo preso in esame, semmai muta a seconda della complessità delle operazioni che l’ingegnere è chiamato a svolgere. Ancora nella prima metà del Cinquecento, secondo la tradizione quattrocentesca, la pratica degli architetti - ingegneri risaliva a una pluralità di formazioni e di culture che si possono ricondurre a ben definiti percorsi. Nella Milano sforzesca, francese e poi spagnola, gli architetti-ingegneri erano impegnati in numerosi incarichi ed erano denominati in modi diversi in relazione al ruolo svolto e agli organi amministrativi o di governo da cui dipendevano: architetti e ingegneri ducali, regi, cesarei, collegiati, camerali, dell’esercito, del Comune, della Città, delle Acque, della Sanità, delle Strade. Il solo elemento unificante era costituito dalla loro funzione di esperti e, conseguentemente, da una formazione eminentemente pratica, all’interno della quale si imponeva un alunnato presso un altro ingegnere. Le cariche e i ruoli erano nominalmente e di fatto distinti: in primo luogo troviamo gli ingegneri abilitati ad operare e ad esercitare la professione nello Stato milanese, eredi del corpo dei Pubblici estimatori del Comune di Milano, documentati già nel Trecento, e registrati in un numero variabile di circa 20-25 nominativi e con un “avvicendamento” annuale di due, tre professionisti. Chiamati anche «Prefecti fabrorum seu ingenierii» si avvalgono per la loro professione di particolari Statuti che saranno poi rivisti anche sulla base delle Novae Constitutiones emanate da Carlo V nel 1541. Prima della fondazione dell’Università, poi del Collegio degli architetti, ingegneri e agrimensori, l’iscrizione al numero degli ingegneri o degli agrimensori (incarichi con funzioni amministrativa e giuridica, come i notai), per richiesta esplicita del soggetto, era ufficializzata dal vicario del Tribunale di Provvisione che, preliminarmente, richiedeva un parere ad altri architetti sulla «eius sufficentia et probitas et longa experentia». L’iscrizione a questo primitivo “albo”, reso pubblico con una periodicità biennale attraverso la pubblicazione all’interno dei Dies utiles, non dava diritti economici, ma solo l’idoneità a svolgere la professione.
2019
Wart Arslan e lo studio della Storia dell’arte tra metodo e ricerca
9788833670751
Rinascimento
Storia dell'architettura
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11311/1128044
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