Dopo la straordinaria mostra del 1989 e l’ancora attuale e fondamentale catalogo, contenente saggi di Ernst H. Gombrich, Manfredo Tafuri, Sylvia Ferino Pagden, Christoph Luitpold Frommel, Konrad Oberhuber, Amedeo Belluzzi, Kurt W. Forster, H. Burns, hanno visto la luce lo straordinario ed utilissimo repertorio di fonti documentarie curato da Daniela Ferrari nel 1992, i minuziosi e ponderosi studi di Belluzzi e di Ugo Bazzotti, ai quali si aggiungono gli innegabili meriti di Paolo Carpeggiani e Chiara Tellini Perina, cultori di Giulio "ante litteram", prima che il fatidico 1989 scatenasse la gara degli intelletti, tutti peraltro tributari dei capitali contributi del citato Gombrich, di Frederick Hartt, di Egon Verheyen. Di Giulio conosciamo molto ed anche sul suo entourage artistico tante ombre sono state dissipate grazie agli studi di Renato Berzaghi e di Stefano L’Occaso. Poco o nulla è però dato a sapere circa i libri dei quali il Pippi si circondò e che lesse nel corso della sua vita. Da tempo è conosciuta la nota di possesso, «questo libro è de Julio Romano», da lui apposta sulla prima edizione del "De Re Aedificatoria" (Firenze, 1485) di Leon Battista Alberti, nell'esemplare conservato presso la Biblioteca Nazionale di Torino, ma resta un unicum e non si ha notizia di altre opere appartenute con certezza all’artista. Lo stesso inventario dei beni ritrovati e registrati nella sua casa nel 1573 (ventisette anni dopo la sua morte) non riporta né un elenco di libri, né il riferimento generico ad una biblioteca. Non sono menzionati neppure i tanti disegni ammirati da Giorgio Vasari nell’armadio in cui Giulio li custodiva gelosamente e ordinatamente, dispersi dagli eredi dopo la sua morte, quando addirittura non sottratti (Giulio ancora vivente) da collaboratori di dubbia fedeltà o di indubbia infedeltà. Alla dispersione del materiale bibliografico, plausibilmente raccolto da Giulio nel corso della vita, si può tentare di supplire facendo ricorso alla logica e alle considerazioni sull’artista e sul suo tempo, consapevoli del fatto che un artefice universale del suo calibro poteva mettere a frutto l’innegabile e straordinario talento solo a condizione di possedere una formazione e conoscenze teoriche preliminari non approssimative, ma fondate su buone letture. Per questo si è deciso di tentare la ricostruzione virtuale (e ideale) della biblioteca del Pippi, seguendo il filo del racconto biografico fatto da Vasari, che conobbe personalmente Giulio e che fu presso di lui a Mantova nel 1541. La voce narrante di Giorgio, indugiando sugli aspetti professionali e umani dell’artista,costituisce il filo rosso da ripercorrere per spingersi oltre le opere d’arte e coglierne le fonti ispiratrici, per dipanare l’intricata e tortuosa via che conduce nella mente del pittore e dell’architetto, oltre che in quella di committenti (Federico II Gonzaga in primis), consulenti (letterati ed intellettuali) e collaboratori, che con lui ebbero a che fare a Roma e durante gli anni mantovani, vale a dire dall’ottobre 1524 al 1° di novembre 1546, giorno della morte. La Biblioteca Teresiana di Mantova ha costituito e costituisce in tal senso un prezioso giacimento di memorie bibliografiche, di incunaboli e di cinquecentine, scelti (con pochissime eccezioni) nello spettro di quelli rintracciabili nel Catalogo Storico e compatibili con le date dell’artista, vale a dire stampati fra XV sec. e 1546. Ne è sortito un ideale catalogo (corredato dalle schede bibliografiche compilate da Federica Bianchi), costituito dalle principali e spesso preziosissime edizioni dei testi fondamentali che, in quei decenni (straordinari per la storia della carta stampata), videro la luce presso editori italiani e stranieri. Leggendo le pagine di queste opere capitali si ritrovano le tecniche, i soggetti, i miti, le forme impiegate da Giulio nei disegni, nei dipinti, nelle architetture. Sfogliandoli si possono ammirare i capilettera, le illustrazioni e le tavole xilografiche, mai colorate, che costituivano il repertorio e le basi dell’immaginario iconografico dei privilegiati lettori di allora. Solo così, solo leggendo gli ampollosi testi in latino e le non sempre lineari sintassi in volgare, solo ammirando con gli occhi di chi è vissuto in quei tempi lontani, è possibile comprendere la straordinarietà dell’opera grafica, pittorica, plastica e architettonica di Giulio. Solo abituando nuovamente l’occhio di noi contemporanei alla lettura delle pagine quasi incise dal netto contrasto fra il colore avorio e caldo della carta di stracci e il nero intenso dei caratteri tipografici, solo indugiando sui disegni, talvolta primitivi nella loro essenziale semplificazione, talaltra invece tanto finemente scolpiti da apparire preziose e fedeli miniature, tutti rigorosamente in bianco e nero, si può rivivere lo stupore di chi, tra lo scadere del Quattrocento e la prima metà del XVI secolo, aveva il privilegio di poter indugiare con lo sguardo sulle sgargianti e profumate tele, sui freschi intonaci dipinti, sulle vigorose e colorate membrature architettoniche ideate ed eseguite dal Pippi. Sulla riproduzione e reinvenzione della realtà, finalmente restituita a colori e nelle forme più sontuose e veritiere mai viste sino ad allora, soprattutto nell’Italia Settentrionale. Il "Racconto di carta", arricchito dagli autografi provenienti dai fondi gonzagheschi e concessi dall’Archivio di Stato di Mantova, vale a dire integrato dalle parole e dalla ‘viva voce’ dello stesso Giulio e dei protagonisti di quella straordinaria stagione storica e artistica, consente un viaggio nel passato e aiuta noi, uomini del XXI secolo, a comprendere la lezione di straordinaria modernità dell’antico e le parole con le quali Pietro Aretino si rivolse al Pippi nel giugno del 1542: «Voi siete grato, grave e giocondo nella conversazione, e grande mirabile e stupendo nel magistero. Onde chi vede le fabriche e istorie uscite dallo ingegno e dalle mani vostre, ammira non altrimenti che s’egli scorgesse le cose degli iddii in esempli e i miracoli della natura in colori. Preponvi il mondo ne la invenzione e ne la vaghezza a qualunque toccò mai compasso e pennello. E ciò direbbe anche Apelle e Vitruvio s’eglino comprendessero gli edifici e le pitture che avete fatto e ordinato in cotesta città, rimbellita, magnificata dallo spirito dei vostri concetti anticamente moderni e modernamente antichi» . Parole ancor oggi attuali, quattrocentosettantasette anni dopo essere state scritte.
Giulio Romano. Il racconto di carta: libri e autografi
C. Togliani
2019-01-01
Abstract
Dopo la straordinaria mostra del 1989 e l’ancora attuale e fondamentale catalogo, contenente saggi di Ernst H. Gombrich, Manfredo Tafuri, Sylvia Ferino Pagden, Christoph Luitpold Frommel, Konrad Oberhuber, Amedeo Belluzzi, Kurt W. Forster, H. Burns, hanno visto la luce lo straordinario ed utilissimo repertorio di fonti documentarie curato da Daniela Ferrari nel 1992, i minuziosi e ponderosi studi di Belluzzi e di Ugo Bazzotti, ai quali si aggiungono gli innegabili meriti di Paolo Carpeggiani e Chiara Tellini Perina, cultori di Giulio "ante litteram", prima che il fatidico 1989 scatenasse la gara degli intelletti, tutti peraltro tributari dei capitali contributi del citato Gombrich, di Frederick Hartt, di Egon Verheyen. Di Giulio conosciamo molto ed anche sul suo entourage artistico tante ombre sono state dissipate grazie agli studi di Renato Berzaghi e di Stefano L’Occaso. Poco o nulla è però dato a sapere circa i libri dei quali il Pippi si circondò e che lesse nel corso della sua vita. Da tempo è conosciuta la nota di possesso, «questo libro è de Julio Romano», da lui apposta sulla prima edizione del "De Re Aedificatoria" (Firenze, 1485) di Leon Battista Alberti, nell'esemplare conservato presso la Biblioteca Nazionale di Torino, ma resta un unicum e non si ha notizia di altre opere appartenute con certezza all’artista. Lo stesso inventario dei beni ritrovati e registrati nella sua casa nel 1573 (ventisette anni dopo la sua morte) non riporta né un elenco di libri, né il riferimento generico ad una biblioteca. Non sono menzionati neppure i tanti disegni ammirati da Giorgio Vasari nell’armadio in cui Giulio li custodiva gelosamente e ordinatamente, dispersi dagli eredi dopo la sua morte, quando addirittura non sottratti (Giulio ancora vivente) da collaboratori di dubbia fedeltà o di indubbia infedeltà. Alla dispersione del materiale bibliografico, plausibilmente raccolto da Giulio nel corso della vita, si può tentare di supplire facendo ricorso alla logica e alle considerazioni sull’artista e sul suo tempo, consapevoli del fatto che un artefice universale del suo calibro poteva mettere a frutto l’innegabile e straordinario talento solo a condizione di possedere una formazione e conoscenze teoriche preliminari non approssimative, ma fondate su buone letture. Per questo si è deciso di tentare la ricostruzione virtuale (e ideale) della biblioteca del Pippi, seguendo il filo del racconto biografico fatto da Vasari, che conobbe personalmente Giulio e che fu presso di lui a Mantova nel 1541. La voce narrante di Giorgio, indugiando sugli aspetti professionali e umani dell’artista,costituisce il filo rosso da ripercorrere per spingersi oltre le opere d’arte e coglierne le fonti ispiratrici, per dipanare l’intricata e tortuosa via che conduce nella mente del pittore e dell’architetto, oltre che in quella di committenti (Federico II Gonzaga in primis), consulenti (letterati ed intellettuali) e collaboratori, che con lui ebbero a che fare a Roma e durante gli anni mantovani, vale a dire dall’ottobre 1524 al 1° di novembre 1546, giorno della morte. La Biblioteca Teresiana di Mantova ha costituito e costituisce in tal senso un prezioso giacimento di memorie bibliografiche, di incunaboli e di cinquecentine, scelti (con pochissime eccezioni) nello spettro di quelli rintracciabili nel Catalogo Storico e compatibili con le date dell’artista, vale a dire stampati fra XV sec. e 1546. Ne è sortito un ideale catalogo (corredato dalle schede bibliografiche compilate da Federica Bianchi), costituito dalle principali e spesso preziosissime edizioni dei testi fondamentali che, in quei decenni (straordinari per la storia della carta stampata), videro la luce presso editori italiani e stranieri. Leggendo le pagine di queste opere capitali si ritrovano le tecniche, i soggetti, i miti, le forme impiegate da Giulio nei disegni, nei dipinti, nelle architetture. Sfogliandoli si possono ammirare i capilettera, le illustrazioni e le tavole xilografiche, mai colorate, che costituivano il repertorio e le basi dell’immaginario iconografico dei privilegiati lettori di allora. Solo così, solo leggendo gli ampollosi testi in latino e le non sempre lineari sintassi in volgare, solo ammirando con gli occhi di chi è vissuto in quei tempi lontani, è possibile comprendere la straordinarietà dell’opera grafica, pittorica, plastica e architettonica di Giulio. Solo abituando nuovamente l’occhio di noi contemporanei alla lettura delle pagine quasi incise dal netto contrasto fra il colore avorio e caldo della carta di stracci e il nero intenso dei caratteri tipografici, solo indugiando sui disegni, talvolta primitivi nella loro essenziale semplificazione, talaltra invece tanto finemente scolpiti da apparire preziose e fedeli miniature, tutti rigorosamente in bianco e nero, si può rivivere lo stupore di chi, tra lo scadere del Quattrocento e la prima metà del XVI secolo, aveva il privilegio di poter indugiare con lo sguardo sulle sgargianti e profumate tele, sui freschi intonaci dipinti, sulle vigorose e colorate membrature architettoniche ideate ed eseguite dal Pippi. Sulla riproduzione e reinvenzione della realtà, finalmente restituita a colori e nelle forme più sontuose e veritiere mai viste sino ad allora, soprattutto nell’Italia Settentrionale. Il "Racconto di carta", arricchito dagli autografi provenienti dai fondi gonzagheschi e concessi dall’Archivio di Stato di Mantova, vale a dire integrato dalle parole e dalla ‘viva voce’ dello stesso Giulio e dei protagonisti di quella straordinaria stagione storica e artistica, consente un viaggio nel passato e aiuta noi, uomini del XXI secolo, a comprendere la lezione di straordinaria modernità dell’antico e le parole con le quali Pietro Aretino si rivolse al Pippi nel giugno del 1542: «Voi siete grato, grave e giocondo nella conversazione, e grande mirabile e stupendo nel magistero. Onde chi vede le fabriche e istorie uscite dallo ingegno e dalle mani vostre, ammira non altrimenti che s’egli scorgesse le cose degli iddii in esempli e i miracoli della natura in colori. Preponvi il mondo ne la invenzione e ne la vaghezza a qualunque toccò mai compasso e pennello. E ciò direbbe anche Apelle e Vitruvio s’eglino comprendessero gli edifici e le pitture che avete fatto e ordinato in cotesta città, rimbellita, magnificata dallo spirito dei vostri concetti anticamente moderni e modernamente antichi» . Parole ancor oggi attuali, quattrocentosettantasette anni dopo essere state scritte.File | Dimensione | Formato | |
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