Le innovazioni tecnologiche hanno promosso lo sviluppo di economie basate sulla conoscenza, la crescita della società dell'informazione, l'emergere della sharing economy e la nascita del modello organizzativo della produzione che viene indicato come Industria 4.0 (Bianchi, 2018). Grazie alle tecnologie della telecomunicazione e all'accesso libero alle informazioni dematerializzate, la scelta di dove, come e quando svolgere il proprio lavoro è più flessibile: il lavoro è diventato meno dipendente dalla distanza, dal tempo e dallo spazio (McCann, 2008). Inoltre, i lavori basati sulla conoscenza – quelli digitali e creativi – tendono sempre più a concentrarsi all'interno di aree urbane di grandi dimensioni (Florida, 2005) e gli spazi di lavoro includono anche luoghi insoliti come biblioteche, caffè, ristoranti, alberghi e sale d'attesa aeroportuali. L’avvento del digitale ha infatti contribuito all'aumento di alternative ai luoghi di lavoro tradizionali, sganciati dalla presenza fisica, ma dove lavoratori autonomi e liberi professionisti hanno bisogno di interazione sociale e professionale al fine di ridurre i rischi di isolamento (in particolare nel caso di lavoro a domicilio) e di aumentare le occasioni di incontro (Moriset, 2014). In questo contesto, gli ultimi dieci anni hanno visto un'ampia diffusione di luoghi di lavoro innovativi chiamati coworking spaces (CS). I CS permettono ai “knowledge workers”, che svolgono attività con elevati contenuti tecnologici, professionali e di ricerca e hanno posizioni di lavoro autonomo, di svolgere la propria attività affittando una postazione per un periodo di tempo variabile, a seconda delle necessità, e usufruendo dei servizi offerti (i.e. segreteria, connessione wi-fi, sale riunioni, cucina, spazi per lo svago, corsi di formazione e choacing, baby-sitting). In questi luoghi è facile che si crei un senso di comunità che agevola lo scambio di conoscenza ed esperienza, favorisce relazioni fiduciarie e di amicizia e nuove opportunità di business (Pais, 2012). Bruno Moriset (2014) definisce il coworking un “serendipity accelerator”, ideato per ospitare persone creative e imprenditori. Il coworking è nato come fenomeno spontaneo e autonomo sotto la spinta di soggetti privati; in seguito, la sua diffusione è stata sostenuta, in alcune aree, dalle amministrazioni pubbliche che, per favorire l’innovazione urbana, hanno offerto incentivi finanziari (voucher) ai coworkers (Gandini, 2015). Dal 2005, anno in cui è stato inaugurato il primo spazio di coworking “Hat Factory” a San Francisco, il fenomeno è cresciuto molto rapidamente con 2500 punti aperti in 80 Paesi nel 2013, 7.800 nel 2015, 10.000 l’anno seguente e una crescita annua superiore al 29%, fino ai 19.000 stimati dalla rivista online “Deskmag” nel 2018. La crescita dei CS è indubbiamente da porre in relazione anche con la recessione economica che, da un lato, ha favorito la disponibilità di spazi lavorativi a un prezzo contenuto, dall’altro, l’aumento della disoccupazione e il graduale collasso del paradigma dell’occupazione stabile, ha creato le condizioni per un cambiamento delle forme e delle condizioni del lavoro. Questo fenomeno, di cui si parla molto sui media, ha di recente attirato l’attenzione di ricercatori di diverse discipline: sociologia (i.e Parrino, 2015), geografia (i.e. Moriset, 2014), urbanistica (i.e. Di Marino and Lapintie, 2017; Pacchi, 2015), business/management (i.e. Capdevila, 2013; Fuzi, 2015), economia e geografia economica (i.e. Mariotti et al., 2017; Mariotti, Akhavan 2018) e altre scienze (si rimanda a Akhavan, 2019 per una rassegna della letteratura).

Il coworking in Italia: localizzazione, performance, effetti sul contesto urbano

Mariotti I.;Akhavan M.
2019-01-01

Abstract

Le innovazioni tecnologiche hanno promosso lo sviluppo di economie basate sulla conoscenza, la crescita della società dell'informazione, l'emergere della sharing economy e la nascita del modello organizzativo della produzione che viene indicato come Industria 4.0 (Bianchi, 2018). Grazie alle tecnologie della telecomunicazione e all'accesso libero alle informazioni dematerializzate, la scelta di dove, come e quando svolgere il proprio lavoro è più flessibile: il lavoro è diventato meno dipendente dalla distanza, dal tempo e dallo spazio (McCann, 2008). Inoltre, i lavori basati sulla conoscenza – quelli digitali e creativi – tendono sempre più a concentrarsi all'interno di aree urbane di grandi dimensioni (Florida, 2005) e gli spazi di lavoro includono anche luoghi insoliti come biblioteche, caffè, ristoranti, alberghi e sale d'attesa aeroportuali. L’avvento del digitale ha infatti contribuito all'aumento di alternative ai luoghi di lavoro tradizionali, sganciati dalla presenza fisica, ma dove lavoratori autonomi e liberi professionisti hanno bisogno di interazione sociale e professionale al fine di ridurre i rischi di isolamento (in particolare nel caso di lavoro a domicilio) e di aumentare le occasioni di incontro (Moriset, 2014). In questo contesto, gli ultimi dieci anni hanno visto un'ampia diffusione di luoghi di lavoro innovativi chiamati coworking spaces (CS). I CS permettono ai “knowledge workers”, che svolgono attività con elevati contenuti tecnologici, professionali e di ricerca e hanno posizioni di lavoro autonomo, di svolgere la propria attività affittando una postazione per un periodo di tempo variabile, a seconda delle necessità, e usufruendo dei servizi offerti (i.e. segreteria, connessione wi-fi, sale riunioni, cucina, spazi per lo svago, corsi di formazione e choacing, baby-sitting). In questi luoghi è facile che si crei un senso di comunità che agevola lo scambio di conoscenza ed esperienza, favorisce relazioni fiduciarie e di amicizia e nuove opportunità di business (Pais, 2012). Bruno Moriset (2014) definisce il coworking un “serendipity accelerator”, ideato per ospitare persone creative e imprenditori. Il coworking è nato come fenomeno spontaneo e autonomo sotto la spinta di soggetti privati; in seguito, la sua diffusione è stata sostenuta, in alcune aree, dalle amministrazioni pubbliche che, per favorire l’innovazione urbana, hanno offerto incentivi finanziari (voucher) ai coworkers (Gandini, 2015). Dal 2005, anno in cui è stato inaugurato il primo spazio di coworking “Hat Factory” a San Francisco, il fenomeno è cresciuto molto rapidamente con 2500 punti aperti in 80 Paesi nel 2013, 7.800 nel 2015, 10.000 l’anno seguente e una crescita annua superiore al 29%, fino ai 19.000 stimati dalla rivista online “Deskmag” nel 2018. La crescita dei CS è indubbiamente da porre in relazione anche con la recessione economica che, da un lato, ha favorito la disponibilità di spazi lavorativi a un prezzo contenuto, dall’altro, l’aumento della disoccupazione e il graduale collasso del paradigma dell’occupazione stabile, ha creato le condizioni per un cambiamento delle forme e delle condizioni del lavoro. Questo fenomeno, di cui si parla molto sui media, ha di recente attirato l’attenzione di ricercatori di diverse discipline: sociologia (i.e Parrino, 2015), geografia (i.e. Moriset, 2014), urbanistica (i.e. Di Marino and Lapintie, 2017; Pacchi, 2015), business/management (i.e. Capdevila, 2013; Fuzi, 2015), economia e geografia economica (i.e. Mariotti et al., 2017; Mariotti, Akhavan 2018) e altre scienze (si rimanda a Akhavan, 2019 per una rassegna della letteratura).
2019
spazi di coworking, performance, contesto urbano, industria creativa, forme di prossimità
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11311/1090852
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