Nell’Europa del XVIII secolo l’ammirazione per i grandi modelli cinquecenteschi non è meno generalizzata che la riscoperta dell’Antico. Se il palladianesimo è un riferimento che oltrepassa largamente le frontiere del Veneto, le tradizioni locali solleticano l’orgoglio cittadino e arricchiscono i repertori degli architetti. Sull’opera del Sanmicheli, per esempio, i rilievi delle opere sono editi dapprima da Alessandro Pompei(1735) poi da Ferdinando Albertolli (1816) e da Ronzani e Luciolli (1823-29), dagli albori dell’Illuminismo alle soglie dell’Eclettismo. Risalire al Rinascimento, ai precursori, significa, nella “Lombardia Austriaca”, come nel resto d’Europa, accettare un’inevitabile mediazione, far ricorso a un linguaggio più vicino e meglio corrispondente alle esigenze della contemporaneità. Nei Ducati di Milano e di Mantova l’interesse per il Rinascimento si affianca a compiti che si potrebbero definire “di restauro”. E’ una politica promossa dal governo illuminato degli Absburgo, e condivisa dagli esponenti più avanzati e autorevoli dell’aristocrazia, che partecipano attivamente alle Riforme. A Mantova l’abbandono ormai secolare del Palazzo Te e del palazzo Ducale induce a riparazioni molto estese che l’adesione al classicismo di Paolo Pozzo riconduce a una prospettiva di continuità, e insieme con la decisione di salvaguardare la Favorita, mentre si dismettono molte residenze minori in precario stato di conservazione, indica con chiarezza una direzione, anche per la formazione nell’Accademia, i cui allievi partecipano ai lavori. L’ultimazione di Sant’Andrea, la cancellazione delle trasformazioni realizzate nel primo Settecento, è un’iniziativa che vede coinvolti il Principe di Kaunitz, Cancelliere di Corte e Stato, e come si sa, dilettante di architettura, il Conte di Firmian, Gran cancelliere a Milano e vice governatore a Mantova, suo cugino, il Conte d’Arco, futuro Intendente di Mantova dal 1784, il Questore del Magistrato Conte Cauzzi. Cremonese, vicino ai Verri, Giuseppe Cauzzi è il tramite con un altro ben più noto membro del gruppo del Caffè, Gianbattista Biffi, e con l’aristocrazia colta della sua città, da Giuseppe e Luigi Ottavio Picenardi al meno noto Gian Francesco Ala Ponzone, Primo gentiluomo di camera del futuro imperatore Leopoldo II. E’ questa la committenza che indirizza l’attività degli architetti e più in generale degli artisti che sono coinvolti in una politica che, nel caso di Giuseppe Picenardi, diventerà più esplicitamente tutela. L’interno attuale della basilica dell’Alberti è una delle più evidenti testimonianze di una politica culturale, sancita anche dalla richiesta dei rilievi di Leandro Marconi, che sintetizzano i lavori svolti e serviranno a Giacomo Albertolli come supporto all’insegnamento accademico milanese sullo scorcio del Settecento, in coerenza con una corrente di studi ben riassunta dalla figura dell’abate Bianconi che di Brera fu segretario. Tra Antico e Rinascimento, la “Lombardia Austriaca” ravvisa una continuità, e non a caso l’edizione milanese di Winckelmann si inserisce in una politica complessa, ricostruibile anche nella corrispondenza di governo, che si potrebbe definire, in chiave attuale, “del patrimonio”.
Memoria del Rinascimento, architettura, restauri nella Lombardia del tardo Settecento
A. Grimoldi;A. G. Landi
2018-01-01
Abstract
Nell’Europa del XVIII secolo l’ammirazione per i grandi modelli cinquecenteschi non è meno generalizzata che la riscoperta dell’Antico. Se il palladianesimo è un riferimento che oltrepassa largamente le frontiere del Veneto, le tradizioni locali solleticano l’orgoglio cittadino e arricchiscono i repertori degli architetti. Sull’opera del Sanmicheli, per esempio, i rilievi delle opere sono editi dapprima da Alessandro Pompei(1735) poi da Ferdinando Albertolli (1816) e da Ronzani e Luciolli (1823-29), dagli albori dell’Illuminismo alle soglie dell’Eclettismo. Risalire al Rinascimento, ai precursori, significa, nella “Lombardia Austriaca”, come nel resto d’Europa, accettare un’inevitabile mediazione, far ricorso a un linguaggio più vicino e meglio corrispondente alle esigenze della contemporaneità. Nei Ducati di Milano e di Mantova l’interesse per il Rinascimento si affianca a compiti che si potrebbero definire “di restauro”. E’ una politica promossa dal governo illuminato degli Absburgo, e condivisa dagli esponenti più avanzati e autorevoli dell’aristocrazia, che partecipano attivamente alle Riforme. A Mantova l’abbandono ormai secolare del Palazzo Te e del palazzo Ducale induce a riparazioni molto estese che l’adesione al classicismo di Paolo Pozzo riconduce a una prospettiva di continuità, e insieme con la decisione di salvaguardare la Favorita, mentre si dismettono molte residenze minori in precario stato di conservazione, indica con chiarezza una direzione, anche per la formazione nell’Accademia, i cui allievi partecipano ai lavori. L’ultimazione di Sant’Andrea, la cancellazione delle trasformazioni realizzate nel primo Settecento, è un’iniziativa che vede coinvolti il Principe di Kaunitz, Cancelliere di Corte e Stato, e come si sa, dilettante di architettura, il Conte di Firmian, Gran cancelliere a Milano e vice governatore a Mantova, suo cugino, il Conte d’Arco, futuro Intendente di Mantova dal 1784, il Questore del Magistrato Conte Cauzzi. Cremonese, vicino ai Verri, Giuseppe Cauzzi è il tramite con un altro ben più noto membro del gruppo del Caffè, Gianbattista Biffi, e con l’aristocrazia colta della sua città, da Giuseppe e Luigi Ottavio Picenardi al meno noto Gian Francesco Ala Ponzone, Primo gentiluomo di camera del futuro imperatore Leopoldo II. E’ questa la committenza che indirizza l’attività degli architetti e più in generale degli artisti che sono coinvolti in una politica che, nel caso di Giuseppe Picenardi, diventerà più esplicitamente tutela. L’interno attuale della basilica dell’Alberti è una delle più evidenti testimonianze di una politica culturale, sancita anche dalla richiesta dei rilievi di Leandro Marconi, che sintetizzano i lavori svolti e serviranno a Giacomo Albertolli come supporto all’insegnamento accademico milanese sullo scorcio del Settecento, in coerenza con una corrente di studi ben riassunta dalla figura dell’abate Bianconi che di Brera fu segretario. Tra Antico e Rinascimento, la “Lombardia Austriaca” ravvisa una continuità, e non a caso l’edizione milanese di Winckelmann si inserisce in una politica complessa, ricostruibile anche nella corrispondenza di governo, che si potrebbe definire, in chiave attuale, “del patrimonio”.File | Dimensione | Formato | |
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