‘Resilienza’ e ‘fragilità’ hanno fatto irruzione nel campo dell’architettura alla scala della città, del territorio e del paesaggio, utilizzate come metafore per descrivere la capacità di un contesto (fisico-spaziale, sociale, ambientale) di adattarsi positivamente al cambiamento (resilienza, e in questo ambito forte è il riferimento alla valenza del termine nelle scienze psicologiche e comportamentali; oppure per evidenziare la predisposizione di un sistema (ancora una volta fisico-spaziale, sociale, ambientale) a entrare in certe condizioni in uno stato di crisi irreversibile che ne compromette la possibilità di sussistenza (fragilità, come sinonimo di ‘vulnerabilità’. Nel campo dell’architettura, diversamente da quello delle ingegnerie, quello che potrebbe essere definito giudizio di fragilità non è deducibile dall’applicazione di un modello ma si costituisce per approssimazioni multiple, costruite attraverso l’indagine delle mutazioni profonde che hanno investito, in un determinato intervallo di tempo, uno specifico ambito territoriale. Mutazioni che, negli ultimi vent’anni, hanno richiamato diverse discipline a confrontarsi, talvolta con antagonismi, talvolta con sinergie positive che hanno prodotto risultati qualificati. Si sta affermando un approccio al progetto capace di osservare i fenomeni a scale differenti (da quella geografica del territorio a quella ravvicinata dell’architettura); di portare a sintesi saperi molteplici (tra scienze della natura, scienze della terra, scienze umane …); ma soprattutto di misurarsi con i processi di trasformazione in modo adattivo, affrontando in forma integrata aspetti decisionali, attuativi, realizzativi e gestionali; di lavorare, quindi, lungo una linea temporale multidimensionale e dilatata fino a includere differenti cicli e processi naturali e antropici.
Il paesaggio come spazio incessantemente modellato. Progettare per adattarsi positivamente al cambiamento
Sara Protasoni
2018-01-01
Abstract
‘Resilienza’ e ‘fragilità’ hanno fatto irruzione nel campo dell’architettura alla scala della città, del territorio e del paesaggio, utilizzate come metafore per descrivere la capacità di un contesto (fisico-spaziale, sociale, ambientale) di adattarsi positivamente al cambiamento (resilienza, e in questo ambito forte è il riferimento alla valenza del termine nelle scienze psicologiche e comportamentali; oppure per evidenziare la predisposizione di un sistema (ancora una volta fisico-spaziale, sociale, ambientale) a entrare in certe condizioni in uno stato di crisi irreversibile che ne compromette la possibilità di sussistenza (fragilità, come sinonimo di ‘vulnerabilità’. Nel campo dell’architettura, diversamente da quello delle ingegnerie, quello che potrebbe essere definito giudizio di fragilità non è deducibile dall’applicazione di un modello ma si costituisce per approssimazioni multiple, costruite attraverso l’indagine delle mutazioni profonde che hanno investito, in un determinato intervallo di tempo, uno specifico ambito territoriale. Mutazioni che, negli ultimi vent’anni, hanno richiamato diverse discipline a confrontarsi, talvolta con antagonismi, talvolta con sinergie positive che hanno prodotto risultati qualificati. Si sta affermando un approccio al progetto capace di osservare i fenomeni a scale differenti (da quella geografica del territorio a quella ravvicinata dell’architettura); di portare a sintesi saperi molteplici (tra scienze della natura, scienze della terra, scienze umane …); ma soprattutto di misurarsi con i processi di trasformazione in modo adattivo, affrontando in forma integrata aspetti decisionali, attuativi, realizzativi e gestionali; di lavorare, quindi, lungo una linea temporale multidimensionale e dilatata fino a includere differenti cicli e processi naturali e antropici.File | Dimensione | Formato | |
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