Il perduto monastero dei canonici di San Marco in Mantova ha sempre rappresentato un interrogativo e un vuoto nella storiografia artistica sino alla pubblicazione di questo saggio, che, fondato in gran parte su fonti inedite, restituisce la storia della fabbrica e delle opere d’arte in essa contenute, partendo dalla fondazione (risalente allo scadere del XII secolo) sino alla soppressione giuseppina (nell’anno 1772) e all’integrale distruzione, quest’ultima resasi necessaria dopo i danni subiti dal plesso durante l’assedio austro-russo del 1799 (e non in quello francese del 1796-97, come sino ad oggi si è erroneamente ritenuto). Gli studi pregressi, prevalentemente intrapresi e pubblicati nella seconda metà (se non negli ultimi anni) del secolo appena concluso, hanno fissato la propria attenzione sulla storia della famiglia canonicale marciana e sul suo fondatore, quell’Alberto Spinola (forse di famiglia genovese, detto Formigola da Mantova), cui si debbono l’ispirazione religiosa e l’iniziativa architettonica. Frutto forse dell’adattamento e dell’ampliamento romanico di una precedente oratorio del IX secolo, la chiesa di San Marco (di cui purtroppo, al di là della schematica planimetria catastale teresiana, non sopravvive alcun documento iconografico) dovette essere configurata a 3 navate allo scadere del XII sec., divenendo in breve tempo casa madre e cuore pulsante di una comunità canonicale di ispirazione agostiniana, diffusa in distaccamenti nella città di Mantova, ma anche nel resto d’Italia: Conegliano (Tv), Corredano (Ud), Cremona, Faenza (Ra), Gambara (Bs), Modena, Parma, Reggio Emilia, Seratico (Vi), Verona, Venezia, Vicenza. L’ordine si diffuse anche in Francia con sedi a Parigi e in altre località non specificate. Dal monastero fornito di due chiostri, dalla chiesa, modificata e arricchita nel corso dei secoli con l’aggiunta di cappelle laterali (la più grande delle quali era quella, forse quattrocentesca, di San Martino), provengono opere d’arte, oggi ospitate in musei o raccolte diverse, piuttosto che non identificate, disperse se non certamente distrutte. La ricognizione dei documenti, conservati in diversi archivi, ha comunque consentito di gettare un po' di luce, identificando e riunendo idealmente, dopo due secoli di oblio, parte degli arredi del plesso, la cui ricchezza è attestata, alla vigilia dello smantellamento e distruzione, da un inventario accuratamente compilato nel 1771-72. Potrebbe provenire da uno dei chiostri la statua acefala di Angelo Nunziante attribuita allo scultore Jacopino da Tradate (oggi conservata nel Museo di Palazzo Ducale), mentre si sono purtroppo perse le tracce del polittico eseguito nel 1462 dal valente pittore Nicolò Solimani da Verona. Perdute sono, naturalmente, anche le decorazioni pittoriche murali, con santi di gusto tardomedievale, e l’importante ciclo dipinto all’interno del Sacello del Cristo Flagellato (sede dell’omonima confraternita), forse eseguito intorno al 1536 da Giulio Romano o da allievi su disegni del Pippi. All’artista romano potrebbe essere attribuito, sempre in quell’anno, anche l’architettura della perduta cappella, se la si identifica con la misteriosa “Giesa del Crocefisso” menzionata in due documenti di quell’anno. La paternità dello scomparso ciclo pittorico sarebbe confermata, oltre che dalle fonti archivistiche e bibliografiche, da alcuni disegni giulieschi (conservati a Parigi, Berlino, Amburgo e Milano), ai quali si è oggi aggiunta una Deposizione (sempre su disegno attribuibile al Pippi), nota attraverso una rara incisione cinquecentesca all’acquaforte depositata presso i Musei Civici di Arte e di Storia di Brescia. In fregio alla chiesa, nella quale (nel 1567) venne sepolto il pittore Teodoro Ghisi, sorgeva il misterioso Oratorio della Scopa (o Scuola) Segreta, che, nel corso dell’indagine, si è scoperto essere stato chiesa delle canonichesse di San Marco, sotto il titolo di Santa Maria della Passione e di Sant’Acacio e Compagni Martiri; da qui provengono due tele raffiguranti Gesù Cristo che porta la Croce o L’andata al Calvario, rispettivamente attribuite a Francesco Mosca (o a Benedetto Pagni) e a Francesco Bonsignori, oggi entrambe appartenenti al Museo di Palazzo Ducale di Mantova, con la seconda esposta dal 2004 nel Museo della Città di Palazzo San Sebastiano. Ripercorrendo la storia del plesso, anche dopo la soppressione della famiglia canonicale e l’insediamento dei Camaldolesi, il saggio documenta l’edificazione di un altare (forse anche della cappella dipinta che lo conteneva) dedicato alla Vergine Annunziata di Loreto (voluto per disposizione testamentaria dal senatore gonzaghesco Fermo Porri) e i lavori di ristrutturazione ed ampliamento delle fabbriche conventuali (questi ultimi resisi necessari sin dal 1601, ma eseguiti fra 1615 e 1626/28), entrambi finalmente ricondotti (e ad oggi poco noti se non del tutto ignorati) all’architetto cremonese Antonio Maria Viani. Degli interventi secenteschi nulla resta se non l’arca in cui, nel 1606, vennero riposte le spoglie mortali del beato vescovo Martino da Parma (il deposito è oggi conservato presso la Sagrestia della Cattedrale di Mantova, privo però dell’ovale dipinto col ritratto del defunto). Fra le molte notizie inedite, vanno qui ricordate perlomeno quelle relative al tesoro ‘lauretano’ saccheggiato nel 1630, all’esecuzione (nel 1714) di una grande e sconosciuta pala del pittore veneziano Gregorio Lazzarini, ai lavori di ristrutturazione della chiesa e della cappella del Cristo Flagellato condotti nel 1749 e nel 1792-95 (questi ultimi per mano dell’architetto veronese Paolo Pozzo), all’esecuzione delle tele con Santa Geltrude, dipinta dal pittore mantovano Francesco Maria Raineri detto lo Schivenoglia intorno al 1756 e oggi nella chiesa parrocchiale di Barbasso (Mn), e di San Romualdo, opera del maestro mantovano Giuseppe Bazzani (forse del 1749-50, oggi conservata nel Museo Diocesano di Mantova). Per avere un catalogo delle innumerevoli opere d’arte, ritrovate e inventariate all’atto della soppressione, e per maggiori dettagli sulle vicende storiche del plesso si rimanda al saggio.
Un perduto scrigno d'arte. il Monastero di San Marco in Mantova
C. Togliani
2017-01-01
Abstract
Il perduto monastero dei canonici di San Marco in Mantova ha sempre rappresentato un interrogativo e un vuoto nella storiografia artistica sino alla pubblicazione di questo saggio, che, fondato in gran parte su fonti inedite, restituisce la storia della fabbrica e delle opere d’arte in essa contenute, partendo dalla fondazione (risalente allo scadere del XII secolo) sino alla soppressione giuseppina (nell’anno 1772) e all’integrale distruzione, quest’ultima resasi necessaria dopo i danni subiti dal plesso durante l’assedio austro-russo del 1799 (e non in quello francese del 1796-97, come sino ad oggi si è erroneamente ritenuto). Gli studi pregressi, prevalentemente intrapresi e pubblicati nella seconda metà (se non negli ultimi anni) del secolo appena concluso, hanno fissato la propria attenzione sulla storia della famiglia canonicale marciana e sul suo fondatore, quell’Alberto Spinola (forse di famiglia genovese, detto Formigola da Mantova), cui si debbono l’ispirazione religiosa e l’iniziativa architettonica. Frutto forse dell’adattamento e dell’ampliamento romanico di una precedente oratorio del IX secolo, la chiesa di San Marco (di cui purtroppo, al di là della schematica planimetria catastale teresiana, non sopravvive alcun documento iconografico) dovette essere configurata a 3 navate allo scadere del XII sec., divenendo in breve tempo casa madre e cuore pulsante di una comunità canonicale di ispirazione agostiniana, diffusa in distaccamenti nella città di Mantova, ma anche nel resto d’Italia: Conegliano (Tv), Corredano (Ud), Cremona, Faenza (Ra), Gambara (Bs), Modena, Parma, Reggio Emilia, Seratico (Vi), Verona, Venezia, Vicenza. L’ordine si diffuse anche in Francia con sedi a Parigi e in altre località non specificate. Dal monastero fornito di due chiostri, dalla chiesa, modificata e arricchita nel corso dei secoli con l’aggiunta di cappelle laterali (la più grande delle quali era quella, forse quattrocentesca, di San Martino), provengono opere d’arte, oggi ospitate in musei o raccolte diverse, piuttosto che non identificate, disperse se non certamente distrutte. La ricognizione dei documenti, conservati in diversi archivi, ha comunque consentito di gettare un po' di luce, identificando e riunendo idealmente, dopo due secoli di oblio, parte degli arredi del plesso, la cui ricchezza è attestata, alla vigilia dello smantellamento e distruzione, da un inventario accuratamente compilato nel 1771-72. Potrebbe provenire da uno dei chiostri la statua acefala di Angelo Nunziante attribuita allo scultore Jacopino da Tradate (oggi conservata nel Museo di Palazzo Ducale), mentre si sono purtroppo perse le tracce del polittico eseguito nel 1462 dal valente pittore Nicolò Solimani da Verona. Perdute sono, naturalmente, anche le decorazioni pittoriche murali, con santi di gusto tardomedievale, e l’importante ciclo dipinto all’interno del Sacello del Cristo Flagellato (sede dell’omonima confraternita), forse eseguito intorno al 1536 da Giulio Romano o da allievi su disegni del Pippi. All’artista romano potrebbe essere attribuito, sempre in quell’anno, anche l’architettura della perduta cappella, se la si identifica con la misteriosa “Giesa del Crocefisso” menzionata in due documenti di quell’anno. La paternità dello scomparso ciclo pittorico sarebbe confermata, oltre che dalle fonti archivistiche e bibliografiche, da alcuni disegni giulieschi (conservati a Parigi, Berlino, Amburgo e Milano), ai quali si è oggi aggiunta una Deposizione (sempre su disegno attribuibile al Pippi), nota attraverso una rara incisione cinquecentesca all’acquaforte depositata presso i Musei Civici di Arte e di Storia di Brescia. In fregio alla chiesa, nella quale (nel 1567) venne sepolto il pittore Teodoro Ghisi, sorgeva il misterioso Oratorio della Scopa (o Scuola) Segreta, che, nel corso dell’indagine, si è scoperto essere stato chiesa delle canonichesse di San Marco, sotto il titolo di Santa Maria della Passione e di Sant’Acacio e Compagni Martiri; da qui provengono due tele raffiguranti Gesù Cristo che porta la Croce o L’andata al Calvario, rispettivamente attribuite a Francesco Mosca (o a Benedetto Pagni) e a Francesco Bonsignori, oggi entrambe appartenenti al Museo di Palazzo Ducale di Mantova, con la seconda esposta dal 2004 nel Museo della Città di Palazzo San Sebastiano. Ripercorrendo la storia del plesso, anche dopo la soppressione della famiglia canonicale e l’insediamento dei Camaldolesi, il saggio documenta l’edificazione di un altare (forse anche della cappella dipinta che lo conteneva) dedicato alla Vergine Annunziata di Loreto (voluto per disposizione testamentaria dal senatore gonzaghesco Fermo Porri) e i lavori di ristrutturazione ed ampliamento delle fabbriche conventuali (questi ultimi resisi necessari sin dal 1601, ma eseguiti fra 1615 e 1626/28), entrambi finalmente ricondotti (e ad oggi poco noti se non del tutto ignorati) all’architetto cremonese Antonio Maria Viani. Degli interventi secenteschi nulla resta se non l’arca in cui, nel 1606, vennero riposte le spoglie mortali del beato vescovo Martino da Parma (il deposito è oggi conservato presso la Sagrestia della Cattedrale di Mantova, privo però dell’ovale dipinto col ritratto del defunto). Fra le molte notizie inedite, vanno qui ricordate perlomeno quelle relative al tesoro ‘lauretano’ saccheggiato nel 1630, all’esecuzione (nel 1714) di una grande e sconosciuta pala del pittore veneziano Gregorio Lazzarini, ai lavori di ristrutturazione della chiesa e della cappella del Cristo Flagellato condotti nel 1749 e nel 1792-95 (questi ultimi per mano dell’architetto veronese Paolo Pozzo), all’esecuzione delle tele con Santa Geltrude, dipinta dal pittore mantovano Francesco Maria Raineri detto lo Schivenoglia intorno al 1756 e oggi nella chiesa parrocchiale di Barbasso (Mn), e di San Romualdo, opera del maestro mantovano Giuseppe Bazzani (forse del 1749-50, oggi conservata nel Museo Diocesano di Mantova). Per avere un catalogo delle innumerevoli opere d’arte, ritrovate e inventariate all’atto della soppressione, e per maggiori dettagli sulle vicende storiche del plesso si rimanda al saggio.File | Dimensione | Formato | |
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