All’interno della pratica del cultural design, che codifica e interpreta valori e semantiche locali, il colore riveste un ruolo determinante nella definizione di estetiche collettive. Ciò è rilevante soprattutto se letto all’interno di espressioni di artigianato territoriale; ambito proprio del design per il patrimonio culturale volto ad occuparsi sia della valorizzazione della componente intangibile relativa al processo e ai saperi, che della componente tangibile attinente al prodotto. Il presente contributo è incentrato sul caso studio Intrecci di comunità. Un dialogo fra tradizione tessile e riuso creativo1, progetto di ricerca applicata che vede messe in campo le competenze del design per la valorizzazione del patrimonio culturale all’interno di un contesto locale ricco di tradizione e di valori. Ci riferiamo in particolare alla tessitura artigianale del pezzotto, rustico tappeto di tradizione valtellinese (Sondrio), alla cui origine erano utilizzati ritagli di cotone, lana e lino, sostituiti oggi da scarti provenienti dalle migliori tessiture di Biella, Prato e Brianza. Una trasformazione della trama che ha inciso anche sull’evoluzione della proposta cromatica del tappeto stesso. Dalle tinte sobrie delle pelorsce (primi pezzotti ad uso agricolo) alle vivaci composizioni degli anni ‘50-’80, fino al ritorno delle nuance più naturali adatte a interpretare il gusto contemporaneo. Una parabola evolutiva che si presta a una lettura analitica sull’uso nel tempo dei diversi scarti tessili e che contemporaneamente tratteggia il mutato ruolo del colore nel definire il repertorio estetico locale. All’interno di questa evoluzione si osserva un processo creativo del tessitore che considera il colore come valore “imposto”, risultato del color trend che si verifica nel più ampio comparto dello scarto tessile. La qualità cromatica dell’oggetto si attesta non solo nei repertori tradizionali che prevedono principalmente l’uso dei grigi, neri, celesti e tinte pastello, ma soprattutto sulla reale disponibilità di specifici colori/fibra, costringendo spesso l’artigiano a ripensare, codificare e decodificare abbinamenti e contrasti. All’interno dei laboratori tessili valtellinesi il colore (insieme alla fibra) diventa inoltre elemento ordinatore e tassonomico per la gestione delle pezze di scarto. Nonostante i limiti imposti dalle logiche di recupero è possibile leggere in alcuni pezzotti, soluzioni cromatiche capaci di creare connessioni, rimandi, assonanze con i colori e la grafia del paesaggio valtellinese. Una capacità che sembra affermare la necessità di esprimere -al di là di ogni vincolo dettato dalle mode- l’appartenenza a un luogo, a una comunità, a una memoria estetica (e cromatica) condivisa.Questo tipo di prodotto tessile (ad alto gradiente culturale) è qui inteso come supporto espressivo, significativo di una cultura locale e quindi interpretabile e traducibile. In questo contesto il tema della traduzione si lega alla vocazione del design di occuparsi di codici e di integrare elementi comunicativi nel sistema dei prodotti. La traduzione è un’azione che mette in relazione, che determina un passaggio; più che mai questo aspetto è importante se si parla di design e pratiche artigianali, di valorizzazione della tradizione attraverso linguaggi innovativi. La traduzione è quindi da considerare come un’operazione di creazione attraverso la quale si “inventano” nuovi oggetti rappresentativi che trovano una propria autonomia e un rinnovato valore culturale. Nel caso studio in oggetto una delle espressioni traduttive avviene in termini “inter-iconografici”: la texture del prodotto tessile si traduce visivamente nei paesaggi che caratterizzano il territorio dove questo viene realizzato. Si tratta di un’associazione visiva che esprime una coerenza cromatica e narrativa di grande evocatività. Secondo l’antropologo Arjun Appadurai il tessuto è da sempre oggetto di migrazioni e traduzioni, ha una propria “vita sociale” e una “biografia culturale” perché “passa tra differenti mani, in contesti differenti e per usi diversi, accumulando così una biografia o un insieme di elementi biografici singolari” [1]. In questo caso studio interviste, fotografie, raccolte di scarti tessili e un inventario cromatico-materico sono gli strumenti e gli esiti di un’indagine sul territorio dedicata alla tessitura artigianale del pezzotto in Valtellina. Si propone quindi una riflessione critico-progettuale che parte proprio da materiali fotografici e materici per tratteggiare le logiche di un paesaggio cromatico che in parte restituisce l’identità del territorio.
Patrimoni tessili e color trend in contesti territoriali montani: il paesaggio cromatico nell’intreccio del pezzotto valtellinese
I. Guglielmetti;R. Trocchianesi
2017-01-01
Abstract
All’interno della pratica del cultural design, che codifica e interpreta valori e semantiche locali, il colore riveste un ruolo determinante nella definizione di estetiche collettive. Ciò è rilevante soprattutto se letto all’interno di espressioni di artigianato territoriale; ambito proprio del design per il patrimonio culturale volto ad occuparsi sia della valorizzazione della componente intangibile relativa al processo e ai saperi, che della componente tangibile attinente al prodotto. Il presente contributo è incentrato sul caso studio Intrecci di comunità. Un dialogo fra tradizione tessile e riuso creativo1, progetto di ricerca applicata che vede messe in campo le competenze del design per la valorizzazione del patrimonio culturale all’interno di un contesto locale ricco di tradizione e di valori. Ci riferiamo in particolare alla tessitura artigianale del pezzotto, rustico tappeto di tradizione valtellinese (Sondrio), alla cui origine erano utilizzati ritagli di cotone, lana e lino, sostituiti oggi da scarti provenienti dalle migliori tessiture di Biella, Prato e Brianza. Una trasformazione della trama che ha inciso anche sull’evoluzione della proposta cromatica del tappeto stesso. Dalle tinte sobrie delle pelorsce (primi pezzotti ad uso agricolo) alle vivaci composizioni degli anni ‘50-’80, fino al ritorno delle nuance più naturali adatte a interpretare il gusto contemporaneo. Una parabola evolutiva che si presta a una lettura analitica sull’uso nel tempo dei diversi scarti tessili e che contemporaneamente tratteggia il mutato ruolo del colore nel definire il repertorio estetico locale. All’interno di questa evoluzione si osserva un processo creativo del tessitore che considera il colore come valore “imposto”, risultato del color trend che si verifica nel più ampio comparto dello scarto tessile. La qualità cromatica dell’oggetto si attesta non solo nei repertori tradizionali che prevedono principalmente l’uso dei grigi, neri, celesti e tinte pastello, ma soprattutto sulla reale disponibilità di specifici colori/fibra, costringendo spesso l’artigiano a ripensare, codificare e decodificare abbinamenti e contrasti. All’interno dei laboratori tessili valtellinesi il colore (insieme alla fibra) diventa inoltre elemento ordinatore e tassonomico per la gestione delle pezze di scarto. Nonostante i limiti imposti dalle logiche di recupero è possibile leggere in alcuni pezzotti, soluzioni cromatiche capaci di creare connessioni, rimandi, assonanze con i colori e la grafia del paesaggio valtellinese. Una capacità che sembra affermare la necessità di esprimere -al di là di ogni vincolo dettato dalle mode- l’appartenenza a un luogo, a una comunità, a una memoria estetica (e cromatica) condivisa.Questo tipo di prodotto tessile (ad alto gradiente culturale) è qui inteso come supporto espressivo, significativo di una cultura locale e quindi interpretabile e traducibile. In questo contesto il tema della traduzione si lega alla vocazione del design di occuparsi di codici e di integrare elementi comunicativi nel sistema dei prodotti. La traduzione è un’azione che mette in relazione, che determina un passaggio; più che mai questo aspetto è importante se si parla di design e pratiche artigianali, di valorizzazione della tradizione attraverso linguaggi innovativi. La traduzione è quindi da considerare come un’operazione di creazione attraverso la quale si “inventano” nuovi oggetti rappresentativi che trovano una propria autonomia e un rinnovato valore culturale. Nel caso studio in oggetto una delle espressioni traduttive avviene in termini “inter-iconografici”: la texture del prodotto tessile si traduce visivamente nei paesaggi che caratterizzano il territorio dove questo viene realizzato. Si tratta di un’associazione visiva che esprime una coerenza cromatica e narrativa di grande evocatività. Secondo l’antropologo Arjun Appadurai il tessuto è da sempre oggetto di migrazioni e traduzioni, ha una propria “vita sociale” e una “biografia culturale” perché “passa tra differenti mani, in contesti differenti e per usi diversi, accumulando così una biografia o un insieme di elementi biografici singolari” [1]. In questo caso studio interviste, fotografie, raccolte di scarti tessili e un inventario cromatico-materico sono gli strumenti e gli esiti di un’indagine sul territorio dedicata alla tessitura artigianale del pezzotto in Valtellina. Si propone quindi una riflessione critico-progettuale che parte proprio da materiali fotografici e materici per tratteggiare le logiche di un paesaggio cromatico che in parte restituisce l’identità del territorio.File | Dimensione | Formato | |
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