È ben nota e universalmente utilizzata la triplice distinzione delle forme di traduzione da parte di Roman Jakobson: “Noi distinguiamo tre modi di in-terpretazione di un segno linguistico, secondo che lo si traduca in altri segni della stessa lingua, in un’altra lingua, o in un sistema di simboli non lingui-stici. Queste tre forme di traduzione debbono essere designate in maniera diversa: 1) la traduzione intralinguistica o riformulazione consiste nell’interpretazione dei segni linguistici per mezzo di altri segni della stessa lingua; 2) la traduzione interlinguistica o traduzione propriamente detta con-siste nell’interpretazione dei segni linguistici per mezzo di un’altra lingua; 3) la traduzione intersemiotica o trasmutazione consiste nell’interpretazione dei segni linguistici per mezzo di sistemi di segni non linguistici” (Jakobson 1963: tr. it. 57). Ma questa tripartizione presenta un limite, o meglio è concepita per essere valida solo all’interno dei limiti dei “sistemi di significazione”. Tutti i tre tipi di traduzione di Jakobson, in altri termini, sono traduzioni da testo a te-sto, seppure fra testi appartenenti a differenti lingue o sistemi espressivi. Anche rimanendo dentro tali limiti il design come traduzione ha molto da indagare e da dire. Rimane però un lato scoperto. Infatti, che cosa accade quando il lavoro traduttivo deve prendere avvio non da un testo, ma da un insieme di dati non strutturati né articolati? Se il design può essere inteso come traduzione, il testo di arrivo della traduzione, in questo caso, ossia l’artefatto, si configura come un atto di interpretazione non di un testo, bensì di un pensiero o insieme di pensieri che non hanno né forma né sostanza semiotica. La necessità di questo passaggio traduttivo è del resto già implicita nei due maggiori fondatori della semiotica moderna. Nel suo Corso di linguistica generale, Ferdinand de Saussure parla del pensiero della nostra mente come di «una nebulosa in cui niente è necessariamente delimitato», e dove «niente è distinto prima dell’apparizione della lingua»; per contro, la lingua è «il regno delle articolazioni» (Saussure 1922: 136-137, tr. it.). Dalla nebulosa indistinta al testo articolato secondo l’azione normativa di una lingua (o al-tro sistema di significazione) il passaggio, possiamo dire, è una traduzione. Da parte sua, Charles Peirce aveva ben definito il ruolo del suo concetto di interpretante, che oltre a essere l’atto momentaneamente conclusivo di un processo semiotico, e oltre che a essere espresso in un giudizio dalla forma proposizionale, svolge nell’attività cognitiva una funzione mediatrice fra mondo e conoscenze diverse e distanti: «Una tale rappresentazione media-trice può essere detta interpretante, perché svolge la funzione di un interpre-te, il quale dice che uno straniero dice la stessa cosa che egli stesso dice» (CP 1.553). Da qui quindi l’esigenza di completare le forme di traduzione delineate da Jakobson, attraverso un “quarto tipo” di traduzione, particolarmente presen-te nell’attività inventiva e progettuale, la quale prevede il passaggio da una qualsiasi “nebulosa”, inarticolata e indistinta, a un artefatto che ne sia l’interpretante.

Come una traduzione. La traduzione del senso nel design

ZINGALE, SALVATORE
2016-01-01

Abstract

È ben nota e universalmente utilizzata la triplice distinzione delle forme di traduzione da parte di Roman Jakobson: “Noi distinguiamo tre modi di in-terpretazione di un segno linguistico, secondo che lo si traduca in altri segni della stessa lingua, in un’altra lingua, o in un sistema di simboli non lingui-stici. Queste tre forme di traduzione debbono essere designate in maniera diversa: 1) la traduzione intralinguistica o riformulazione consiste nell’interpretazione dei segni linguistici per mezzo di altri segni della stessa lingua; 2) la traduzione interlinguistica o traduzione propriamente detta con-siste nell’interpretazione dei segni linguistici per mezzo di un’altra lingua; 3) la traduzione intersemiotica o trasmutazione consiste nell’interpretazione dei segni linguistici per mezzo di sistemi di segni non linguistici” (Jakobson 1963: tr. it. 57). Ma questa tripartizione presenta un limite, o meglio è concepita per essere valida solo all’interno dei limiti dei “sistemi di significazione”. Tutti i tre tipi di traduzione di Jakobson, in altri termini, sono traduzioni da testo a te-sto, seppure fra testi appartenenti a differenti lingue o sistemi espressivi. Anche rimanendo dentro tali limiti il design come traduzione ha molto da indagare e da dire. Rimane però un lato scoperto. Infatti, che cosa accade quando il lavoro traduttivo deve prendere avvio non da un testo, ma da un insieme di dati non strutturati né articolati? Se il design può essere inteso come traduzione, il testo di arrivo della traduzione, in questo caso, ossia l’artefatto, si configura come un atto di interpretazione non di un testo, bensì di un pensiero o insieme di pensieri che non hanno né forma né sostanza semiotica. La necessità di questo passaggio traduttivo è del resto già implicita nei due maggiori fondatori della semiotica moderna. Nel suo Corso di linguistica generale, Ferdinand de Saussure parla del pensiero della nostra mente come di «una nebulosa in cui niente è necessariamente delimitato», e dove «niente è distinto prima dell’apparizione della lingua»; per contro, la lingua è «il regno delle articolazioni» (Saussure 1922: 136-137, tr. it.). Dalla nebulosa indistinta al testo articolato secondo l’azione normativa di una lingua (o al-tro sistema di significazione) il passaggio, possiamo dire, è una traduzione. Da parte sua, Charles Peirce aveva ben definito il ruolo del suo concetto di interpretante, che oltre a essere l’atto momentaneamente conclusivo di un processo semiotico, e oltre che a essere espresso in un giudizio dalla forma proposizionale, svolge nell’attività cognitiva una funzione mediatrice fra mondo e conoscenze diverse e distanti: «Una tale rappresentazione media-trice può essere detta interpretante, perché svolge la funzione di un interpre-te, il quale dice che uno straniero dice la stessa cosa che egli stesso dice» (CP 1.553). Da qui quindi l’esigenza di completare le forme di traduzione delineate da Jakobson, attraverso un “quarto tipo” di traduzione, particolarmente presen-te nell’attività inventiva e progettuale, la quale prevede il passaggio da una qualsiasi “nebulosa”, inarticolata e indistinta, a un artefatto che ne sia l’interpretante.
2016
Design è traduzione. Il paradigma traduttivo per la cultura del progetto. “Design e traduzione”: un manifesto
978-88-917-4426-5
Traduzione, Interpretante, Semiotica, Sistema di significazione, Design
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11311/1005172
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