Stiamo vivendo gli anni della gamification: game designers e teorici del game design dibattono sui modi di trasporre meccaniche di gioco in servizi, applicazioni e marketing tools non strettamente legati al gioco. La gamification è finalizzata a determinare nel giocatore/utente un comportamento. Nella retorica che supporta la gamification traspare una visione del gioco fortemente orientata al reward, cioè alla gratificazione in termini di premi e obiettivi. Senza dubbio esistono casi studio che supportano questo approccio anche nel game design tradizionale. La letteratura che tratta la teoria e la pratica del game design, spesso, riflette questa visione insistendo sul forte legame tra meccaniche e obiettivo di gioco. Esistono però esempi che non si adattano a questo modello: pensiamo ai giochi di Tale of Tales come The Path o Graveyard nei quali l’esperienza del gioco è, per dichiarata intenzione degli autori, avulsa dall’obiettivo apparentemente espresso dalle regole. È ragionevole pensare, quindi, che alcuni designer di giochi possiedano conoscenze empiriche su come rendere avvincente un loro prodotto al di là degli obiettivi di gioco. Il nostro articolo suggerisce che questa modalità di progettazione, che deriva le meccaniche di gioco (implementate) dalle dinamiche emergenti (progettate), sia fortemente collegata alla traduzione di schemi e modelli mentali, fenomeni psicologici e teorie del comportamento in dinamiche di gioco. La nostra teoria è che un gioco sia avvincente quando l’esperienza di questo tipo di dinamiche avviene, sul piano cognitivo-psicologico, in maniera analoga a quella delle illusioni ottiche sul piano percettivo, cioè quando esiste un contrasto tra aspettative e realtà conosciuta. Nell’articolo descriviamo quindi, con esempi, come alcune dinamiche cognitive possono essere applicate nel game design, generando attività di gioco dove la gratificazione non deriva dal raggiungimento dell’obiettivo ma dall’esperienza del contrasto tra i propri modelli mentali e quelli impiegati dal gioco. L’ambizione è quindi formalizzare in sapere trasferibile quello che è, oggi, una cultura empirica esclusivamente connessa all’esperienza del singolo.

Scienze cognitive e game design. Progettare dinamiche di gioco non finalizzate a un obiettivo

RIGHI RIVA, PIETRO
2012-01-01

Abstract

Stiamo vivendo gli anni della gamification: game designers e teorici del game design dibattono sui modi di trasporre meccaniche di gioco in servizi, applicazioni e marketing tools non strettamente legati al gioco. La gamification è finalizzata a determinare nel giocatore/utente un comportamento. Nella retorica che supporta la gamification traspare una visione del gioco fortemente orientata al reward, cioè alla gratificazione in termini di premi e obiettivi. Senza dubbio esistono casi studio che supportano questo approccio anche nel game design tradizionale. La letteratura che tratta la teoria e la pratica del game design, spesso, riflette questa visione insistendo sul forte legame tra meccaniche e obiettivo di gioco. Esistono però esempi che non si adattano a questo modello: pensiamo ai giochi di Tale of Tales come The Path o Graveyard nei quali l’esperienza del gioco è, per dichiarata intenzione degli autori, avulsa dall’obiettivo apparentemente espresso dalle regole. È ragionevole pensare, quindi, che alcuni designer di giochi possiedano conoscenze empiriche su come rendere avvincente un loro prodotto al di là degli obiettivi di gioco. Il nostro articolo suggerisce che questa modalità di progettazione, che deriva le meccaniche di gioco (implementate) dalle dinamiche emergenti (progettate), sia fortemente collegata alla traduzione di schemi e modelli mentali, fenomeni psicologici e teorie del comportamento in dinamiche di gioco. La nostra teoria è che un gioco sia avvincente quando l’esperienza di questo tipo di dinamiche avviene, sul piano cognitivo-psicologico, in maniera analoga a quella delle illusioni ottiche sul piano percettivo, cioè quando esiste un contrasto tra aspettative e realtà conosciuta. Nell’articolo descriviamo quindi, con esempi, come alcune dinamiche cognitive possono essere applicate nel game design, generando attività di gioco dove la gratificazione non deriva dal raggiungimento dell’obiettivo ma dall’esperienza del contrasto tra i propri modelli mentali e quelli impiegati dal gioco. L’ambizione è quindi formalizzare in sapere trasferibile quello che è, oggi, una cultura empirica esclusivamente connessa all’esperienza del singolo.
2012
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